Brendan Mac Evilly – Chauncey

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1928

Introduzione

È per me un grande piacere presentare Brendan Mac Evilly in questo numero di Inkroci e dare spazio a un estratto del suo racconto “Chauncey” – una storia di Dublino, se mai ce ne sia stata una. Incontriamo l’eroe eponimo nel suo momento quotidiano di gloria in uno dei più antichi e noti pub di Dublino e veniamo attirati nel bar come spettatori.
Con un umorismo tongue-in-cheek1 che ricorda lo scrittore satirico e giornalista Flann O’Brien, l’autore offre un racconto esilarante, con uno stile e un aplomb in contrasto col fatto che questa è la sua prima storia pubblicata.

Valerie Bistany
Direttore dell’Irish Writers’ Centre

Chauncey

Un severo vento orientale spinge Chauncey sulla porta di The Long Hall. Lui avvolge il grande cappotto attorno alla vita e alle gambe e marcia con determinazione verso i due orologi – uno posto orgogliosamente entro la partizione vittoriana, l’altro appeso tristemente sulla parete scura di fianco.
È il nono pub della giornata, e uno degli unici due o tre pub che visita sempre, per questioni che hanno a che fare col rituale.
Il barman è perplesso per una serie di motivi; in primo luogo, Chauncey è un buon settanta secondi in anticipo. In secondo luogo, ha tralasciato dalla sua routine la mossa di apertura, non ha bussato alla finestra aspettando che il barman lo invitasse. Da qui il suo anticipo. Ora per settanta secondi sarà un fascio di nervi.
«Santa madre di…», obietta sbalordito un cliente abituale, «stai per guardare che ore sono e lui è già dentro».
«Pettegoli, oggi è un po’ in anticipo; però potremmo tirargli fuori un po’ di ciarle», risponde il suo vicino. Ma da Chauncey non esce una parola. Cammina su e giù per il bar, consumando il tappeto, con gli occhi bassi, mangiandosi un’unghia.
Dei due orologi, uno solo funziona, l’altro è in stasi permanente.
Due volte al giorno entrambi gli orologi segnano l’ora corretta. Chauncey, date le misteriose macchinazioni del proprio segnatempo interno, è quotidianamente attratto a osservare questo rito.
(Almeno quotidianamente, perché si diceva – ed è stato comprovato in modo dubbio solo due volte – che la massa tintinnante di chiavi che pendeva dal fianco di Chauncey aprisse la porta di un grande numero di pub in città. Che lui, dopo aver letto i necrologi, se la svignasse dal bar e andasse in cerca di un pub conveniente nel quale mettersi a dormire. Chauncey, anche se non necessariamente amato dai barman, godeva della fiducia e del rispetto dai gestori dei pub. Un altro ‘affiliato’, Charlie Chalk, titolare di molti pub nella città di Dublino e dintorni, era sospettato di proteggere l’operato di Chauncey. Alcuni vociferavano che fossero fratellastri. Altri vociferavano diversamente. Altri ancora rifiutavano di vociferare, ma erano scarsamente diffusi.)
Chauncey sta ancora camminando. L’atmosfera riverente nel bar attira l’attenzione di altre persone presenti.
«Come va il Chaw?» fa un altro cliente. «Che notizie ci sono del brutto cattivo?».
Chauncey non risponde. Si ferma accanto agli orologi, gli occhi oscillano ipnoticamente tra i due quadranti. Rimangono venti secondi.
«Oh, Gesù, la vuoi piantare», continua il disinformato simulando una risposta al nulla, «sicuro che non ci si può fidare di quei ragazzi a Leinster House. Bisogna che qualcuno sistemi le cose, Chico – potresti essere l’uomo giusto!».
«Vuoi star zitto!» dice il barista, Mr Garry (due r-come in Kasporov). Questo è un pub dove i barman sono sempre ben vestiti in nero, essendo il barman il parente più prossimo al becchino. In particolar modo in un pub come questo. Mr Garry non è preso dalle battute di spirito, tranne che da quelle del suo diretto superiore.
Un pub di Dublino alla luce del tramonto nel tardo pomeriggio è un luogo solenne, e il barman è il custode di tale solennità. Particolarmente nella celebrazione di questo sacramento quotidiano. Particolarmente oggi.
Nonostante il suo ingresso insolitamente anticipato, Chauncey è più calmo di quanto ci si aspetterebbe, sempre concentrato sugli orologi, mentre un momento si avvicina sempre più all’altro. A soli quindici secondi di differenza tra i due, il braccio sinistro di Chauncey si alza verso il quadrante dell’orologio rotto. Il braccio dell’orologio vivente si avvicina sempre di più a quello del suo partner. Quando mancano dieci secondi, un lungo dito grigio di cera si allunga dalla sua mano e si libra sopra il vetro. Eccoci qui.
«E.T. telefono casa», fa un altro spiritoso dal profondo aldilà nel salone, ma nessuno lo considera.
Il silenzio cade e il silenzio regna. Sette secondi. Se le mogli dei due compari al bar potessero vedere le facce dei loro mariti: mai stati più seri. Concentrati. Mio dio. Uomini che hanno visto questo rito un centinaio di volte o più, ma che oggi sono pervasi da uno stato d’animo sacro. Cinque… quattro… e nonostante ci possano essere non più di sei o sette persone nel bar (e dato che l’essenza del racconto è declamare una bugia inaccettabile, ma accettata), la metà degli avventori dei pub di Dublino rivendica di essere stata in The Long Hall quel martedì pomeriggio (l’altra metà sostiene di essere stata a The Library Bar più tardi quella sera) in quello che (si dice) debba essere stato l’ultimo giorno di Chauncey in città.
Tre… le sue palpebre tremolano freneticamente. Due… e nessuno fiata. Uno, il suo dito si ritrae come una pistola caricata. Toc. Per un istante, entrambi gli orologi condividono l’ora e il dito di Chauncey picchia giù sul quadrante dell’orologio fermo.
Beh? Tutti quelli che erano presenti (e tutti quelli che non lo erano) giurarono di aver visto un certo grado di movimento. Alcuni sostengono semplicemente di aver visto un solo, minimalistico scatto in avanti della lancetta dei secondi (anche se è ben noto ai narratori e agli ascoltatori di questa storia che l’orologio rotto in The Long Hall è privo della lancetta dei secondi). In generale tutti concordano sul fatto che nella stanza sia stato notato un forte odore di incenso.
Un altro teoreta sostiene di aver assistito a due furiose rotazioni complete della lancetta delle ore. Quest’uomo, che ha bevuto talmente tanto da andare fuori di mente, e va avanti mantenendo la sua abitudine esclusivamente facendo affidamento sulle parole e sulla beneficenza degli altri, afferma anche che, a causa della rotazione delle lancette, oggi stia vivendo un giorno intero nel futuro. Fornisce generosi suggerimenti per le corse di cavalli del giorno seguente (Throw Away in 3’ e 15”) e per le partite di calcio (lo United vince, i Rovers pareggiano). Non sbaglia mai.
Naturalmente, come le migliaia di altre volte in cui Chauncey ha “toccato gli orologi’, non è successo niente. L’umore si è stabilizzato immediatamente e Chauncey è stato accompagnato da un grido dal fondo della sala: «E.T. vaffanculo». Ma è importante per il bene dei posteri e per la continuazione della storia nel pub di Dublino, che qualcosa sia accaduto. E così è stato.
(Per inciso, il cosiddetto “tocco degli orologi”, l’unico avvenimento fisso e cronometrato nel percorso di Chauncey, ha reso The Long Hall un locale frequentatissimo nel tardo pomeriggio – in particolare il martedì, e più in particolare nell’anniversario dell’ultimo tocco – ma tutto questo, naturalmente, solo dopo la scomparsa di Chauncey. Quello che un tempo era un fedele abbeveratoio per frequentatori incalliti di pub ora è pieno di fauxcoholics2 e visitatori giornalieri. A un certo punto, all’inizio del duemila, è sorta e tramontata in tredici mesi una nuova rivista letteraria a Dublino, The Touching of the Clocks [Il tocco degli orologi]. È inoltre trapelato che il prossimo album degli U2 sarà intitolato Touching the Clocks. Il teorico di cui sopra lo dà con buone probabilità).

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Altri nomi dati a Chauncey:
Reverenziale: Lo Spirito Santo (Chauncey è un grande uomo per le persone che affermano di averlo visto quando, in realtà, non l’hanno visto); Mosè (ovviamente, un grande camminatore); Lazzaro, Matusalemme (qui non molto originale, un nome cui risponde la maggior parte degli uomini irlandesi di mezza età); Zaccheo (i Dublinesi sono sempre stati duri verso quelli attaccati ai propri soldi anche se, a essere onesti, nei confronti di Chauncey, lui non ne ha mai fatto molto uso); Pietro (c’era stata una volta in cui uno ubriaco perso sosteneva di aver visto Chauncey camminare sull’acqua; si è poi appurato che, in effetti, era stato in una pozzanghera poco profonda, ma per un periodo il nome fu di moda); Bud (da Buddha, un altro grande uomo portato per le passeggiate).

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Così Chauncey è alla ricerca di Deasy. Deasy è un uomo enorme. A quel tempo, mentre Chauncey perlustra le strade, Deasy siede di fronte a un gentiluomo dal viso assente di nome Anatoly Karpov. Karpov e Deasy risalgono ad anni addietro. A quanto pare. All’insaputa di Chauncey, stanno proprio dall’altra parte della strada in The Library Bar del Central Hotel, tra loro una scacchiera posta su un tavolo basso. Karpov, tra una mossa e l’altra, si bagna le labbra con un doppio vodka liscio, il gelido bastardo. La pinta di Deasy sta andando a male.

 

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Note
1 parodia garbata
2 chi si finge ubriaco per attirare l’attenzione

Questo estratto da “Chauncey” è pubblicato per gentile concessione di The Stinging Fly. La storia completa appare nel numero corrente della rivista (numero 28, volume due/estate 2014).
The Stinging Fly è stata fondata a Dublino nel 1997 e si propone di pubblicare e promuovere il meglio della nuova scrittura irlandese e internazionale.

http://www.stingingfly.org

 

http://www.stingingfly.org/issue/summer-2014

 

Tradotto da Anna Anzani

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