Angela Carr – Tre poesie

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Introduzione alle poesie di Angela Carr

Ho visto per la prima volta Angela Carr recitare alcune delle sue poesie ad un lancio della rivista Stinging Fly presso l’Irish Writers Centre lo scorso anno. La sua performance e le sue parole hanno elettrizzato il pubblico. Parlando da un punto di vista personale, in quell’occasione le sue poesie hanno catturato tutta la rabbia e il dolore di una generazione di giovani presi nel declino della Tigre celtica irlandese, del quale vivono le conseguenze economiche. L’acume delle sue parole ha toccato un punto nevralgico che ha fatto rabbrividire tutti coloro che la ascoltavano e che l’hanno percepito.

La poesia di Angela ha la capacità di essere al tempo stesso delicata e minacciosa, intima e politica, al tempo stesso interna ed esterna alla sostanza del suo oggetto; giustapposizioni che coesistono l’una accanto all’altra in modo equilibrato. C’è molto da assaporare e su cui meditare nella sua raccolta, di cui queste tre poesie sono solo un modesto campione, che dimostra l’ampiezza del suo repertorio e la sua capacità di presentare senza sforzo idee complesse in modo semplice, visivo e con l’anima.

Valerie Bistany
Direttore
Irish Writers Centre

La Coda della Tigre

Città: un urlo di risate chimiche;
la minaccia gratta l’aria, cercando l’acquisto
nel covare ubriaco di stradine strette.
Le ragazze lanciano cortine di ferro di capelli d’ebano,
un copricapo tribale condiviso; tigri lattanti,
con le gambe a x, vitelli dagli occhi di luna, si posano sulle alture
di un trionfo imprestato: Prada, Miu Miu, Louboutin.
Bambine brutali, quasi selvagge, strappano con foga
gioia dai denti di una nuova calamità:
la notte sbadiglia profondamente, ma loro non lo sanno.
I fari delle auto spazzano l’incrocio, echeggiano i clacson;
il terreno scivola sotto di loro ancora una volta, le ragazze
vacillano nella fioritura delle tenebre,
ognuna su lattee gambe, pallide e sottili come betulle.

 

Storie sul giornale

Il giornale, sventagliato a strati
sul pavimento del bagno e, mentre mamma taglia

i miei capelli, questi cadono in mezzelune nere –
barchette su un fragile mare di carta –

cerchi chiari di squali finanziari
e correnti politiche sotterranee,

a galla grazie alla zattera a scacchi
di un cruciverba incompiuto

e gettato sulla riva screziata
di nascite e morti della scorsa settimana.

 

Tomografia Assiale Computerizzata

Un vento indigesto mi prende ed io passo
attraverso i guardiani dei cancelli, la svolta delle ringhiere,
nei giardini dell’ospedale; l’ipodermico
beve dall’oscurità profonda, la porta alla luce:
La buccia di una mela non conoscerà mai il suo nocciolo.
Nel pungere di una stanza brunita,
vetro e disinfettante mi tengono al sicuro e distante,
il fruscìo del camice mi fa più piccola di quanto non sia.
Una voce incrinata entra tagliente nella cavità
della macchina, mentre gira e mi affetta
come prosciutto. Non si preoccupi, dice. Ha quasi finito.
All’interno il lampeggio e lo stridore, il ringhio della plastica-
profondo e immoto- e vedo un campo nella penombra
del crepuscolo estivo, colgo un prato dai lunghi fili d’erba,
il nucleo della sua testa morbida, bagnato come un bacio.
Tre linee nere, una traccia verso un altrove,
oltrepasso la casa e il fienile, il loro contorno ritagliato,
gentile, un inevitabile ritorno a casa.
Scopro un volto in un albero, lì: occhi neri,
un muso a tartufo, la bocca aperta tra la pelle argento.
Reggo lo sguardo, sotto la pioggia delle tenebre,
canticchiando tra me e me; l’albero si china ad ascoltare.
Intono ancora la canzone, nella sala tranquilla
dove mi dicono di andare; si rigirano l’albero, l’erba, la notte
di continuo tra le dita. Una volta in strada,
il vento cambia; mi preparo per la burrasca in arrivo.

Introduzione tradotta da Anna Anzani
Poesie tradotte da Silvia Accorrà

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