Sor Juana Ines de la Cruz o la decima Musa

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Sentimientos de ausente

Amado  dueño mío,
Escucha un rato mis cansadas quejas,
Pues del viento las fío,
Que breve las conduzca a tus orejas,
Si no se desvanece el triste scento
Como mis esperanzas en el viento.

Óyeme con los Ojos,
Ya que están tan distantes los oídos,
Y de ausentes enojos
En ecos de mi pluma mis gemidos;
Y ya que a ti no llega mi voz ruda,
Óyeme sordo, pues me quejo muda.

Sentimenti di assenza

Amato padrone mio,
Ascolta per un istante i miei stanchi lamenti
Che al vento affido
Perché rapido li conduca alle tue orecchie
Che non svanisca il triste accento
Come le mi speranze nel vento.

Ascoltami con gli occhi,
Poiché le orecchie sono così distanti,
E di rabbia assenti
In echi della mia penna i miei gemiti;
E dato che non ti giunge la mia voce roca
Ascoltami sordo, poiché muta mi lamento.

Traduzione di Anna Ettore

Sor Juana Ines de la Cruz, o la decima musa

Sor Juana Ines de la Cruz fu una donna molto bella. Creola, discendente dei conquistatori spagnoli, nacque verso la metà del XVII secolo a San Miguel Nepantla, in una zona centrale del Messico non lontano dalla catena montuosa e dai vulcani attivi del Popocatepetl e dall’area di Città del Messico.
Era il mondo conosciuto come Viceregno della Nuova Spagna che, all’interno dell’Impero coloniale spagnolo, viveva il momento in cui questo territorio non si poteva definire né come Spagna né come mondo azteco, ma come predecessore storico da cui sarebbe nato il Messico.
Nacque come Juana Ines Ramirez Asbaje, figlia naturale, cioè illegittima, di Doña Isabel Ramirez de Santillana, a sua volta figlia di un grande proprietario terriero della zona, e di Pedro Manuel de Asbaje, un gentiluomo di cui non si sa quasi nulla.
Divenne una delle più grandi scrittrici del suo tempo e della letteratura in lingua spagnola in generale, che contribuì a rendere grande.
La sua vita la rese umanamente interessante, ma la sua fama sopravvive ancora oggi per la grandezza e il valore di un’opera letteraria in cui si esprime tutta l’eccezionalità della sua intelligenza. e che appartiene al periodo della sua vita trascorso in convento, includendo un arco temporale che va all’incirca dal 1669 al 1691 quando, con la Respuesta a Sor Filotea, uno scritto toccante e pieno di umanità, chiude repentinamente  la propria attività di scrittrice.
Durante il suo periodo di attività Sor Juana si espresse in tutti i generi dell’epoca con ricchezza di sfumature e con una passione intellettuale che, in seguito, le causò notevoli difficoltà.
Gli studiosi che nel corso del tempo si sono avvicinati alla scrittrice hanno congetturato non poco sulla complessità della sua personalità, non tenendo forse in giusto conto il fatto che, nel destino individuale, l’influenza della società e della cultura è tanto potente quanto le predisposizioni psichiche e caratteriali, e che quindi parte della sua storia personale è strettamente legata alla storia del mondo in cui visse.
Due grandi enigmi sono legati alla sua persona e a due scelte drastiche ed estreme che intraprese: le motivazioni che la spinsero a prendere i voti e quelle che la fecero rinunciare alla scrittura. Finché fece vita mondana, Sor Juana Ines portò il cognome della madre, prima nella famiglia materna e poi alla corte del Viceré, come damigella personale di Leonor Carreto, Marchesa de Mancera a Città del Messico. Verso i diciotto anni decise di entrare in convento, e lì rimase per il resto della vita dedicandosi allo studio e alla scrittura e trasformando la propria cella conventuale in un vero e proprio salotto culturale.
Il convento divenne per lei, appassionata di studio e speculazione filosofica, l’equivalente della biblioteca, un rifugio e un luogo per coltivare la prorpia attività mentale.
Juana Ines aveva una congenita inclinazione al sapere e rifiutò la vita matrimoniale, dichiarando di scegliere il convento perché era il modo più congruo per lei di assicurarsi la salvezza. Il convento a quel tempo costituiva un rifugio per una donna sola al mondo, come doveva considerarsi lei in quanto figlia illegittima priva di grandi mezzi finanziari, caso non infrequente per gli usi e i costumi della sua classe e della sua epoca.
Rinunciò al matrimonio anche se in quei tempi il matrimonio non era una scelta d’amore ma la decisione di intraprendere un tipo di vita: quello, appunto, della donna sposata. Amava il sapere e voleva dedicarsi allo studio.
Alla fine del XVII secolo Città del Messico, che aveva una popolazione eterogenea di circa 100.000 persone (indios, meticci, creoli e spagnoli), ospitava sul suo territorio 29 conventi di frati e 22 di monache. Per la maggior parte dei religiosi il chiostro era una carriera, una professione, non una vocazione. Anche se ciò non significava che dovesse necessariamente essere una scelta ipocrita. La funzione dei conventi nella società era triplice: religiosa, mondana, perché dava lavoro, e sociale, poiché svolgeva opere di carità e di insegnamento. Grazie alle monache infatti, in Messico è esistita una formazione culturale destinata alle donne.
Malgrado i voti di povertà in molti conventi le monache avevano rendite, servitù domestica, abiti, ornamenti e anche rapporti sociali complessi. Alcune monache non uscivano dal convento, ma al suo interno potevano ricevere visite anche di nobili e intellettuali, e in alcune situazioni si formavano dei veri e propri salotti artistici.
Sor Juana, una volta assolti gli obblighi conventuali, aveva molte ore libere, che dedicava alla lettura, allo studio e allo scrivere. Coltivò anche la scrittura epsistolare, ed ebbe una fitta corrispondenza sia in America che in Spagna.
A causa del suo temperamento nutriva un’ansia smodata di conoscere e di essere conosciuta, in parte forse per una forma di vanità personale, ma anche a causa della sua solitudine e della paura dell’isolamento sociale. Per una mente brillante e vivace come la sua il convento, ma anche l’intero Paese in cui viveva, erano troppo angusti e limitati.
All’interno dell’ambito più vasto della letteratura barocca fu poetessa della scuola gongoriana e concettista, ma con una personale interpretazione di questo stile e un innato razionalismo che la liberò da  quell‘influenza.
La fattura e la capacità realizzativa espressa nelle sue opera ha accenti di grande delicatezza e tuttavia di rigore, in alcuni casi di originalità unica.
Possiamo ricordare il poemetto Il sogno in cui espresse, nonostante le influenze stilistiche gongoriste, una notevole originalità e un grande desiderio di comprendere l’’universo intero, e la Respuesta a sor Filotea, che era in realtà indirizzata al Vescovo di Puebla, Padre Vieyra, scritta per difendersi dalle accuse che le vennero mosse di non essere sufficientemente dedita agli studi religiosi mentre, al contrario, si dilettava troppo di studi profani quali la filosofia.
Colse con gusto personale e senso della proporzione gli stili propri della sua epoca e l’originalità della sua opera risiede infatti nella perfezione con cui riuscì a realizzare una forma.
Fu autrice enormemente prolifica e scrisse opere teatrali, commedie e autos sacramentales,  cioè rappresentazioni cantate; opere in prosa di tipo mistico-filosofico, sonetti e poemi. In tutti i casi la sua opera ebbe echi di grandezza tale che le vennero riconosciuti i titoli di “Fenice d’America” o “Decima musa”, facendole  occupare un ruolo di grande rilievo nel panorama della letteratura in lingua spagnola, interpretando lo stile barocco in un contesto culturale che era all’apogeo della cultura della Nuova Spagna.
Ebbe anche capacità pittoriche ed eseguì dei ritratti. Nessuno dei suoi contemporanei fece riferimento a queste sue abilità mentre erano già conosciute le sue doti, oltre che nella poesia, nella musica e nel ricamo, anche se il tema dell’illusione e del disinganno dei ritratti è ricorrente nella sua opera poetica. Conosceva il latino e la letteratura latina, oltre alla poesia spagnola e alla poesia italiana, ma ignorava quella francese e inglese (non lesse Shakespeare) rimanendo parzialmente chiusa ad altri stimoli. Del resto l’Impero spagnolo era culturalmente chiuso, arretrato e antiquato.
Dopo il 1693 Sor Juana apparentemente smise di scrivere, forse per difendersi da ulteriori rischi di incorrere in censure ufficiali, anche se non vi sono documenti al riguardo. Morì il 17 aprile 1695 durante un’epidemia di peste. La sua immagine è tuttora impressa sul lato della banconota da 200 pesos emessa dalla Banca del Messico.

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