Marco arrivò all’appuntamento con largo anticipo. Parcheggiò la sua BMW un po’ distante dall’entrata principale, lontano da occhi indiscreti. Aprì la portiera e mise fuori la gamba sinistra: il sole batteva forte, ma durante il lungo tragitto aveva sempre tenuto l’aria condizionata al massimo e ora un po’ di calore non guastava.
Marco Muti, ufficialmente venditore per conto di un’azienda di condizionatori, non aveva calcolato male i tempi; semplicemente era arrivato prima per ricontrollare i dati in suo possesso: non voleva sbagliare qualche passaggio, durante la trattativa col cliente. Si fidava spesso della sua capacità di «andare a braccio», e quasi mai si preparava per un incontro di lavoro, ma quel giorno non era lì per il suo impiego ufficiale; e, per quello specifico prodotto, non poteva sbagliare nulla – commettere un errore sarebbe stato troppo rischioso.
In realtà era un po’ sorpreso da quella convocazione ma, tra le varie ipotesi, quella di un incremento di guadagno era al momento la prima in classifica. O almeno sperava che fosse così.
Prese l’iPad e pigiò il tasto ON. Avrebbe avuto tempo.
Nell’attesa che i programmi si attivassero, si guardò intorno. Vita varia si muoveva: un calzolaio, seduto all’esterno del suo negozio, batteva con un martello sul tacco di una scarpa consunta mentre una donna gli passava davanti spingendo un carrello da supermercato, vuoto. Tre uomini anziani giocavano a carte fuori da un bar, protetti da un ombrellone che probabilmente era più vecchio di loro. Poco più avanti un fruttivendolo urlava, in una lingua sconosciuta, quant’erano buoni i suoi prodotti.
Girò la testa dalla parte opposta: l’entrata di un cinema, ormai chiuso da tempo, era punto di ritrovo per giovani sfaccendati, che in quel momento stavano subendo le invettive di una donna che urlava loro di andare via. Pensò che per la sua auto da svariati zeri il retro della fabbrica dove lo attendevano non era forse il posto più sicuro, ma era sempre meglio che lasciarla in bella mostra nel parcheggio principale.
Che debolezza quello status symbol!
Riportò lo sguardo davanti a sé. Tra la sua auto e la grigia parete di fronte, uno spiazzo di terra era pronto ad accogliere un nuovo edificio; già le ruspe avevano cominciato a fare buche e a creare mucchi di terra. Da alcuni di quei cumuli arrivava uno schiamazzo: voci concitate, a volte gioiose, a volte perentorie. Due gruppi di bambini giocavano alla guerra, quattro per parte nascosti dietro le finte colline. Urlavano ordini e minacciavano il nemico, lanciando sassi che simulavano bombe e facendo gesti che imitavano le armi immarie che fingevano di avere in mano. Il capo di uno dei due schieramenti era quello armato meglio: puntava verso gli avversari un pezzo di legno a forma di elle. A ogni colpo simulava il rinculo dell’arma, accompagnandolo a voce con il rumore dello sparo. Non moriva mai nessuno: la loro guerra era un gioco che doveva durare tutto il pomeriggio, altrimenti avrebbero dovuto inventarsi qualcos’altro.
Marco scese dall’auto, si assicurò di sentire il bip della chiusura e si avviò verso l’entrata posteriore dell’azienda. Camminò guardando i bambini che battagliavano. Il capo, quello con la pistola di legno, incrociò il suo sguardo, gli puntò l’arma contro e fece fuoco. L’uomo sobbalzò portandosi la mano al cuore. Sorrisero entrambi.
«Signor Muti?» lo richiamò alla realtà una voce muliebre.
«Sì».
«Buongiorno! Prego, il direttore la sta aspettando». La segretaria del boss aveva gli occhi di un azzurro fulminante, ma Marco li notò appena, preferendo dirigere lo sguardo sulla perfetta aderenza del vestito, dal collo in giù.
L’uomo dell’appuntamento lo attendeva in piedi; gli strinse la mano e lo fece accomodare. «Signorina, non vogliamo essere disturbati per niente al mondo. Mi sono spiegato?».
La donna fece un cenno di assenso e sparì.
Il direttore chiuse comunque la porta a chiave. «Allora, signor Muti, cosa mi propone per combattere questo caldo?».
«Avrei un nuovo catalogo di condizionatori, ma…». Marco ruotò la testa, guardando negli angoli della stanza.
«Tranquillo, non ci vede e non ci sente nessuno». Il direttore aveva abbassato il tono della voce, e questo tranquillizzò entrambi.
«Questo il contratto dei condizionatori: mi serve solo la sua firma e l’ufficialità del nostro incontro è a posto».
«Ecco fatto!». L’uomo pronunciò la frase mentre siglava la carta con una firma illeggibile.
«Bene, allora direi di passare agli affari seri, non trova?».
«Sono d’accordo. La data della consegna è confermata?».
«Confermata».
«Ottimo. Come sa, non possiamo permetterci ritardi». Il direttore distolse lo sguardo, prese un sigaro e lo accese, rilassandosi sulla poltrona. Non l’offrì a Marco: sapeva che non fumava.
«Mi tolga una curiosità: lei mi ha fatto venire qua solo per chiedermi conferma della data di consegna? Se così è, lo trovo piuttosto inutile. Bastava una telefonata, quindi la cosa è un po’ sospetta».
Il direttore si alzò e andò alla finestra. Spostò uno dei listelli delle tende verticali e guardò fuori: a quell’ora il sole batteva forte e in giro c’era poca gente. «L’ho fatta venire perché mi serve un’altra fornitura, questa volta di articoli più sofisticati, o comunque qualitativamente superiori a ciò che mi ha appena confermato».
«Beh, direi che la cosa m’interessa molto. E… se non sono troppo indiscreto, posso sapere dove andranno questa volta i colli?».
L’uomo alla finestra non si mosse. Sembrò che neanche la bocca si muovesse, quando diede la risposta, se non per un accenno di sorriso:
«Nello stesso posto dove andranno quelle in arrivo».
Marco aggrottò le sopracciglia. La cosa lo stupì non poco. Impiegò qualche minuto a cercare una risposta, ma era troppo surreale per trovarne una logica. «Cioè il governo che appoggiamo ha bisogno di più armi?». Una breve riflessione gli aveva fatto correggere la parola appoggiate con appoggiamo. Lo tenne per sé.
«No, questa volta andranno ai ribelli che osteggiano il governo».
Ora lo stupore era solido: Marco restò in apnea per qualche secondo. «Non capisco, ma presumo abbia un senso».
«Normale strategia: sono subentrati interessi differenti e il governo che abbiamo sostenuto ora non ci serve più. Deve cadere».
«Un altro golpe?».
«Diciamo… una diversa strategia industriale. In quel Paese hanno scoperto nuovi giacimenti che quel governo vuole sfruttare per far crescere la nazione: per questo li darà al miglior offerente, e a noi non va bene. Abbiamo comprato le fazioni ribelli: caduto il governo, cadrà l’asta per lo sfruttamento di giacimenti e forza lavoro, cadranno le richieste dei nostri concorrenti e anche il loro tentativo di superarci nella produzione che lei sa. Sarà un effetto domino. Semplicemente».
Seguì un silenzio che sorprese entrambi e che non faceva parte di quel tipo di trattativa. Un silenzio sbagliato.
L’uomo in piedi porse al venditore un foglio scritto a mano. «Questo è l’elenco di ciò che ci serve, e abbiamo altrettanta fretta».
Marco prese la lista e la lesse velocemente. Era parecchio materiale e faceva presagire che lo scontro non si sarebbe risolto rapidamente. Parlò d’istinto, dando voce al suo silenzio:
«Prevedo una carneficina».
«Per lei è un problema? Non credo se lo possa permettere».
«Era tanto per dire. Nessun problema».
«Sa bene che una grossa percentuale dei nostri interessi, e di conseguenza dei suoi, arriva da quelle parti: se non fossimo noi a gestirli, sarebbero ricchezze che verrebbero sprecate».
«Siamo d’accordo».
«E poi, parliamoci chiaro: sono solo dei negri che si ammazzano tra loro. A parte qualche titolone sui giornali, e i soliti commenti buonisti che durano qualche giorno, non interessa a nessuno. Ma ciò che arriva dalle loro miniere e dalla loro mano d’opera fa tutti felici e contenti dalle nostre parti».
Qualcosa stava andando storto. Quelle parole gli si erano fissate in un angolino della mente e non sembravano volersene andare: per la prima volta, gli era venuto il dubbio che stavolta si stesse esagerando. Si sorprese del fatto che la sua ricchezza, la sua lussuosa automobile, il suo lungo conto in banca erano sporchi di sangue. Continuando a guardare la nuova lista, anche l’ultima voce lo fece trasalire: Armi dal peso leggero. Che significava? Non era Armi leggere, tipica definizione di quell’attrezzatura; era proprio una richiesta di armi che pesassero poco. Lui sapeva bene che, con qualche zero in più, le armi standard potevano essere trasformate come si voleva, ma la domanda ebbe quasi subito una risposta, e la cosa non gli piacque affatto: armi che pesano poco servono a persone che pesano poco. Moltiplicò lo sforzo per scacciare quel pensiero poco conveniente.
«Allora, siamo d’accordo? Vorrei lo ripetesse». Il compratore porse la mano e Marco ripeté ciò che era di prassi in quelle situazioni: per lui doveva essere un normale impegno lavorativo. Tutt’altro che ufficiale, ma sempre un impegno. In quelle trattative era pericoloso non essere d’accordo, le conseguenze potevano essere dolorose.
Le mani si strinsero, i sorrisi si sprecarono, le riflessioni si spensero.
Il venditore uscì dall’ufficio. Il vestito della segretaria era sempre perfettamente attillato.
Fuori il sole batteva rabbioso sui suoi occhiali scuri; intorno a lui la vita si riparava all’ombra e tutto sembrava rallentato. Il tavolo dei giocatori era libero, solo le carte non erano riuscite a scappare dalla calura. Le urla della donna non si sentivano più e gli sfaccendati di poco prima avevano lasciato libera l’entrata del cinema. Solo gli schiamazzi dei bambini riempivano ancora il pomeriggio: loro non si stancavano mai di giocare, e la loro guerra non era ancora finita. Neanche lontanamente si prospettava un vincitore.
Marco schiacciò il pulsante del telecomando e la macchina rispose con due bip e con effetti di luce che il sole nascose quasi del tutto, a ribadire, in quel momento, la sua supremazia su ogni cosa.
Quando passò vicino ai cumuli di terra, si fermò a guardare i piccoli giocare. Il pensiero delle armi dal peso leggero si rifece vivo e non poté sottrarsi all’incalzare delle riflessioni. La elle di legno che sparava momenti di gioco diventò per un attimo un senso di colpa. Le sue convinzioni si stavano indebolendo.
Alzò la testa: il capo-guerra di poco prima lo guardò, ma stavolta anche gli altri combattenti si fermarono a guardarlo. Marco tolse lentamente la mano destra dalla tasca dei pantaloni e, accendendo di un minimo il sorriso, distese l’indice nella loro direzione e alzò il pollice perpendicolare. Gli altri bambini avevano notato la scena e si nascosero tutti dietro al capo, sottolineando che lui era in effetti il loro leader indiscusso e probabilmente, a fine giornata, il suo quartetto avrebbe vinto la battaglia. L’uomo allungò il braccio e fece fuoco con le dita, simulò il gesto del rinculo e portò l’indice davanti alla bocca. Soffiò.
Il capo aveva sparato a sua volta con il pezzo di legno, ma era stato colto di sorpresa ed era stato troppo lento: si portò la mano al cuore e cadde all’indietro, colpito dal fuoco nemico. Tutti gli altri, messi in fila indiana, caddero a loro volta uno dopo l’altro, sollevando una nuvola di polvere.
Un effetto domino.
Con un solo colpo, Marco aveva annientato due interi eserciti. Si mise a ridere e i bambini lo imitarono rumorosamente. Alzò la mano e salutò i piccoli combattenti che si stavano rialzando: otto piccole mani fecero lo stesso.
Mentre saliva in macchina continuò a guardarli e, paradossalmente, i dubbi di poco prima se ne andarono definitivamente, liberando lo spazio per le convinzioni che facevano la sua ricchezza: quei bambini diventarono per un momento un suo futuro investimento, trasportati in ogni parte del mondo, dove sarebbero serviti. Per un attimo la loro pelle cambiò colore varie volte.
Nuova linfa per nuove guerre.
Nuove guerre per nuovi guadagni.
Tratto dalla raccolta di racconti Niente per cui uccidere (Calibano Editore, 2024), a cura di Heiko H. Caimi e Viviana E. Gabrini, per gentile concessione.