Håkan Nesser – L’uomo senza un cane

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1951

Sono pochi gli ingredienti per un giallo scandinavo: freddo, tanta neve, un mistero, un ispettore burbero e una crepa su una società erroneamente ritenuta un gioiello.

Ma serve di più per un buon giallo scandinavo: un occhio penetrante, un cervello acuto e una penna veloce e tagliente. E Håkan Nesser la differenza in un mare magnum di giallisti nordici la fa.

Siamo a Kymlinge, città immaginaria della Svezia nesseriana, durante il periodo natalizio. Karl-Erik festeggia il compleanno, la recente pensione e la prospettiva imminente di una nuova vita in Spagna. È il compleanno anche della figlia Ebba, e tutti gli Hermansson si riuniscono per le celebrazioni. A casa di Karl-Erik e della moglie Rosemarie confluiscono così, oltre a Ebba, suo marito e i due figli, Robert e Kristina, con il marito e il bambino.
Ma a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, due tra tutte queste persone scompaiono.
Ecco che il voluminoso giallo comincia. Ed ecco che per scioglierlo, entrerà in scena l’ispettore italo-svedese Gunnar Barbarotti.
E sì, certo, un enigma piacevole, un mistero difficile da sciogliere, con tempi ottimi e anticipazioni dosate alla perfezione. Ma non è questa la vera forza del libro, quanto piuttosto il modo in cui Nesser descrive i personaggi, cesellandone il carattere, le riflessioni, i piccoli gesti quotidiani, scavando nella loro intima fibra per restituirci qualcosa di davvero umano.
Umano e profondamente triste. È qui che entra in gioco l’abilità tutta scandinava di estrarre il torbido dal luminoso.
La famiglia, vera e propria istituzione attorno a cui ruota l’analisi sociale del romanzo, è presentata come un’istanza paralizzante all’interno di cui turbinano morbosità, odi, frustrazioni, silenzi (ma anche parole) carichi di rabbie represse.
E le figure che emergono maggiormente sono due personaggi apparentemente marginali ma in realtà concreti, capaci di analisi taglienti, quasi divorati dalla loro stessa umanità: Rosemarie, la moglie di Karl-Erik, e Kristoffer, uno dei due figli di Ebba.
L’interiorità di Rosemarie è forse quella che colpisce di più nella sua freddezza, nel suo essere silenziosamente spietata, soprattutto verso se stessa. La donna si rende conto delle sue incapacità e delle sue debolezze e si macera in un odio verso sé e verso il mondo, immaginandosi “in una maratona sott’acqua e al buio, una visione inedita e in un certo senso interessante della vita”. In poche righe sono racchiuse una crisi coniugale latente e una crisi di mezza età, in un parallelismo con il nipote Kristoffer, personaggio solo apparentemente remissivo ma con un’interiorità corrosiva. E le riflessioni dei due seguono uno stesso percorso comune, Rosemarie però con tutto il rammarico e la malinconia di un’anziana, Kristoffer con la freschezza e l’ingenuità dell’adolescenza.
Il largo utilizzo del discorso indiretto libero rende il ritmo di lettura serrato e soprattutto ci avvicina ai personaggi, quasi come se potessimo spiare i loro pensieri nel momento esatto della loro genesi.
Ciò che colpisce è l’acutezza dell’autoanalisi di ogni personaggio; ci chiediamo in modo ingenuamente socratico perché seppur consci di sé fino a quel punto, i personaggi agiscano come agiscono. Che poi, ripensandoci bene, non è ciò che facciamo tutti?
In sostanza, Nesser ci dimostra come gli scandinavi (e tra essi gli svedesi in prima posizione) abbiano decisamente trovato la chiave esatta: personaggi complessi, denuncia sociale, intreccio avvincente a cui si arriva di solito dopo un inizio dal ritmo pacato, che accelera vertiginosamente. Un fenomeno letterario, questo, che non dà finora segni di esaurimento e che ci lascia quasi sempre soddisfatti.
Unica nota dolente da cui è ovviamente sollevato l’autore, sono gli errori di traduzione: piccoli come uno “specialità” invece di “specializzazione” a proposito della facoltà di medicina, e madornali come “Come potrebbe c’entrare?”. È un vero peccato che ci si faccia intermediari di due lingue quando non si conosce bene la propria. Ed è un peccato che una casa editrice non rilegga accuratamente la traduzione prima di pubblicarla. Ma il lettore medio è più attento e spietato di quanto non si creda, e purtroppo è proprio questo tipo di errore che difficilmente viene perdonato.

Håkan Nesser, nato a Kumla, Svezia, nel 1950, è stato insegnante di lettere prima di dedicarsi completamente alla scrittura di romanzi polizieschi. Molti dei suoi romanzi vedono come protagonista risolutore il commissario Van Veeteren, mentre l’altra serie, come in L’uomo senza un cane, ci presenta l’ispettore Gunnar Barbarotti.
Nel 2000, con il suo romanzo Carambole, ha vinto il premio Glasnyckeln, consegnato ai migliori autori di gialli scandinavi.
Dai suoi libri, tradotti in molte lingue, sono stati tratti diversi film, in due dei quali compare Nesser in cameo.

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