Silvio Donà – L’esordiente e la presentazione di un nuovo romanzo: cronaca di un disastro annunciato

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Per dritto, per rovescio, perché siete il genio del millennio, perché avete pagato, perché avete avuto culo. Sia come sia: avete pubblicato un libro.
Minchia! Adesso tocca fare una presentazione! Certo che tocca farla, sennò che avete pubblicato a fare?
Che vi vergogniate come un verme o, al contrario, che la sola idea vi esalti e vi faccia gonfiare come uno di quei palloncini pieni di elio a forma di coniglio che volano via dalle mani dei bambini nelle fiere di paese, in entrambi i casi vi tocca.
“Ti aiuto io, che ci vuole?” afferma con tono deciso il compagno o la compagna o la mamma o la sorella o l’amico di turno. Che un libro non solo non l’hanno mai presentato ma, a volte, manco letto. E nonostante ciò si sentono capacissimi di organizzarne la presentazione.
Già, che ci vuole? In realtà ci vuole. Ma lo scrittore esordiente non lo sa e fila dritto e sorridente verso il baratro.
Basta trovare un posto. Basta fare un po’ di inviti. Basta trovare uno che presenti e faccia due domande. Basta portare uno scatolone di libri (“meglio due, non si sa mai, che poi non ci troviamo a corto se c’è richiesta…”).

Per quanto riguarda il posto, spesso si prende al volo il primo che capita, ritenendo che, in fondo, si tratti solo di uno spazio neutro in cui asserragliare torme di potenziali lettori, avidi di conoscere ogni dettaglio del nostro capolavoro.
Così capita di vedere romanzi erotici presentati nella sala parrocchiale (con interessante corollario di svenimento del vice parroco durante la lettura dell’incipit) o saggi sulle virtù salvifiche del libero mercato presentati alla sede dell’ARCI (con interessante corollario di svenimento dell’autore quando un ex militante di Rifondazione in cassa integrazione si alza e gli spara un cazzottone in mezzo alla faccia) o libri sui cento modi di cucinare gli insaccati presentati al circolo dei vegani (con svenimento ritmato di quasi tutti i presenti non appena viene proiettata su uno schermo alle spalle dell’autore l’immagine di un enorme piatto di salsicce).
Riguardo agli inviti, poi, c’è chi si limita a “creare un evento” (evento?!?) su Facebook e pensa che basti e avanzi, e chi esagera e si mette a suonare i campanelli la domenica mattina come i Testimoni di Geova. Una volta ho sentito con le mie orecchie uno scrittore esordiente dire: “Ho già invitato cinquanta persone; direi che basta, tanto la sala è piccola!”. Bellino. Mi ha fatto più tenerezza dell’orsetto Winnie The Pooh!

Altro problemone è il “relatore”. Qualcuno sceglie di fare tutto da solo. Che non è proprio l’ideale, specie se siete uno scrittore balbuziente. A volte però sarebbe preferibile fare da soli se non si conosce nessuno, ma proprio nessuno, che faccia il giornalista o il critico, ma neanche, che so, il professore universitario. Magari non siete in buoni rapporti nemmeno con la professoressa di lettere della scuola media di vostro figlio (quella cretina che se l’è presa tanto solo perché il vostro pargolo le ha infilato un ramarro nella scollatura).
Così capita di partecipare a presentazioni in cui il relatore è il maestro di scuola della nipote o lo zio Peppino, che da giovane ha pubblicato un libro di poesie sulla mamma.
Può succedere di peggio. Può succedere che dopo due mesi di vergognose umiliazioni da parte vostra, con profferte neppure tanto velate di favori sessuali da parte della vostra compiacente signora, lo scrittore “appena appena famoso” che vive nella vostra cittadina accetti di farvi da relatore. Peccato che poi la fatidica sera arrivi con due ore di ritardo, sia di malumore, pretenda subito (a vostra insaputa) un acconto dei predetti favori da parte della vostra signora nel bagno della sala in cui si tiene la presentazione e poi passi due terzi del tempo a parlare del suo e non del vostro libro, che chiaramente non ha neanche letto, per poi, alla fine, far comparire come dal nulla qualche decina di copie del suo vecchio romanzo e venderle neanche tanto di nascosto in concorrenza con il vostro.
Risultato: dodici copie vendute del romanzo dell’autore appena appena famoso. Quattro del vostro. Collant smagliati della vostra signora. Autostima buttata nel gabinetto e fatta allegramente defluire lungo le tubature.

Altra convinzione patetica è che la presentazione di un libro basti da sola a muovere folle oceaniche. Ma siamo seri! Voi, che pure scrivete, vi muovete forse con tanta facilità per andare ad ascoltare un altro illustre sconosciuto che presenta il suo sconosciuto libro? Naturalmente no. Perché allora pensate che gli altri siano disposti a farlo?
Siamo brutalmente concreti: cosa riesce a smuovervi dal vostro rimbambimento serale davanti alla Tv? Fondamentalmente tre cose: il cibo, l’alcool, le “gnocche”. Quindi, cosa non deve mancare alla vostra presentazione? Bravi, vedo che siete svegli: il cibo, l’alcool, le gnocche (o se siete scrittrici e volete convogliare pubblico femminile: i “manzi”).
La presentazione ideale, quindi? In teoria un’orgia romana! Ma le orge romane costano. Più di quello che potrete mai ricavare vendendo libri. Per cui tocca ripiegare su qualcosa di meno coinvolgente. Diciamo che alcuni vassoi di pastarelle e quattro bottiglie di prosecco possono in qualche modo dare una mano alla diffusione dell’arte e che, se raccontate in giro che verrà anche quella vostra nipote arrivata seconda al concorso Miss Maglietta Bagnata, può essere che si riesca almeno a riempire le prime due file.
Gli esperti di marketing librario consigliano di inserire diversivi per non fare annoiare il pubblico. Per cui è ormai frequente assistere a presentazioni librarie inframmezzate da qualsiasi cosa: proiezione di video e diapositive, magari quelle delle ultime vacanze a Ladispoli, esibizione di band locali emergenti che aspirano a partecipare a X Factor, schiere di nipotine col tutù che replicano improbabili saggi di danza classica, maghi di quarta serie a cui scappa il coniglio dal retro della giacca mentre cercano di farlo comparire dal cilindro.
Mi sento di consigliarvi di non esagerare, perché c’è il rischio che questi diversivi prendano il sopravvento e il giorno dopo si ascoltino dialoghi di questo tenore:
“Ciao, dove sei stato ieri sera?”
“Sono stato in un posto in cui suonavano i Black Minchias”
“Foooorte!”
“Mah, insomma… Ogni tanto c’era uno che interrompeva per parlare di un libro…”
“Che libro?”
“Boh, non mi ricordo, sono ancora un po’ sbronzo di prosecco, e poi c’era una con la maglietta bagnata che non ti dico…”.

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Silvio Donà è nato in Veneto l’anno in cui la sonda Mariner 4 è atterrata per la prima volta su Marte. Vive in Puglia. Ha preso (inavvertitamente) una laurea in legge e lavora nell’ufficio legale di una banca. Ha pubblicato i romanzi di ambientazione fantascientifica "Pinocchio 2112" (Leone, 2009) e il romanzo breve "Luisa ha le tette grosse" (Leone, 2011). Finalista nell’edizione 2011 del Torneo letterario Io Scrittore, ha pubblicato in formato ebook per GEMS (Gruppo Editoriale Mauri Spagnol) il romanzo "Nebbie" (2012). Ha pubblicato anche il romanzo "La ragazza che non sapeva respirare le nuvole" (Cento Autori, 2017) e collabora con svariate riviste. Ama scrivere anche storie brevi e ha pubblicato numerosi racconti. Ha vinto concorsi letterari nazionali (tra gli altri, il Premio Mondolibro e Il Premio Orme Gialle). Per il cinema, insieme a Antonio De Santis, ha scritto soggetto e sceneggiatura del film "Mi rifaccio il trullo", con Uccio De Santis e Lorena Cacciatore, regia di Vito Cea, uscito nei cinema a marzo 2016.

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