John Mayall, On the Road Forever

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John, seduto alla sua scrivania, osservava attentamente il disegno che stava completando. La sua carriera di grafico gli aveva offerto una certa stabilità e una buona dose di soddisfazioni, ma qualcosa dentro di lui si agitava costantemente. Ogni giorno, mentre tracciava linee e riempiva spazi con colori, una voce interiore gli sussurrava desideri che non potevano essere ignorati. Ma quali? Non riusciva ancora a individuarli. Eppure faceva un lavoro creativo, nel quale era apprezzatissimo. Cosa poteva volere di più?

Un sera di tarda estate del 1963 John, stanco dopo una lunga giornata di lavoro in cui aveva dovuto creare una grafica così minuziosa e particolareggiata da fargli andare insieme gli occhi, decise di fare una passeggiata in centro. Ma Londra è una città che offre infinite possibilità di digressione ai camminatori solitari e ai curiosi, così si ritrovò a vagare senza meta tra strade e viuzze.
A un certo punto la sua attenzione fu attratta dalle note di una chitarra che provenivano da un piccolo locale poco più avanti. Si fermò davanti alla porta, indeciso se entrare o no, ma i suoni caotici eppure armoniosi che provenivano dall’interno non gli lasciarono scelta: il richiamo di quella musica era troppo forte. Spinse la porta e si trovò immerso in un mondo di blues.
Sul palco c’era una band locale, composta per la maggior parte di neri, che suonava con passione, e il pubblico, rapito da quelle note malinconiche, oscillava lasciandosi andare al ritmo di quell’ibrido musicale che stava a metà strada tra il jazz e il rock’n’roll. Ma non era né Chuck Berry, né Miles Davis: era qualcosa di più, di più grezzo ma ti più potente, un sound che ti scavava un solco nell’anima. E, per quanto conoscesse già Lead Belly, Albert Ammons, Pinetop Smith e Eddie Lang, nessuno di loro gli era entrato nell’anima come quella band di sconosciuti.
John si avvicinò al bancone, ordinò una birra e si sedette in un angolo, osservando e ascoltando. Ogni nota, ogni assolo, sembrava parlare direttamente al suo cuore. Alla sua anima, se pur ne aveva una.
Mentre sorseggiava la terza birra, i musicisti si presero una pausa e il chitarrista, un uomo anziano ma in forma, dopo aver appoggiato la chitarra all’apposito supporto scese dal palco e si sedette proprio accanto a lui.
«Ti piace la nostra musica?» chiese l’uomo, notando l’espressione assorta di John.
«Sì», rispose lui, «è incredibile. C’è qualcosa in questo suono che mi parla».
Il chitarrista sorrise. «Il blues ha un modo tutto suo di entrare nell’anima. Non è solo musica, è vita, emozione, verità. Hai mai pensato di suonare?».
John scosse la testa. «No, non come professionista. Ho già suonato, la chitarra elettrica e l’armonica. So anche strimpellare un po’ il pianoforte, ma non sono un musicista. Faccio il grafico. La mia vita è fatta di disegni, non di note».
L’uomo lo guardò intensamente. «L’hai detto tu stesso. Fai il grafico, non sei un grafico. La vita è troppo breve per non seguire i propri sogni. Se davvero senti il blues dentro di te, forse è lì che devi essere».

Quella notte, John tornò a casa con il cuore pesante di domande. Seduto al suo tavolo da disegno, lasciò che i suoi pensieri corressero selvaggi sulle rive dei sogni. Le parole del chitarrista gli rimbombavano nella mente: “La vita è troppo breve per non seguire i propri sogni”. Banale, forse, ma così vero…
Prese la sua vecchia chitarra e cominciò a suonare, a inanellare note quasi a caso. Le dita erano rigide e i suoni inizialmente dissonanti, ma con il passare delle ore, la musica cominciò a fluire più liberamente. Le note che uscivano dalla chitarra sembravano raccontare la sua storia, i suoi desideri, le sue paure.
Alla fine della notte sapeva cosa doveva fare. La mattina seguente andò al suo ufficio, si fece prestare una macchina da scrivere e consegnò la lettera di dimissioni. Era pronto per una nuova avventura. Aveva paura? Sì, tanta. Abbandonare un porto sicuro per una strada incerta e piena di sfide come quella del blues era una follia, ma era anche l’unica che potesse dar voce alla sua anima.

Da quel momento abbracciò il blues con tutto se stesso, e la sua vita cambiò per sempre. Non era più un grafico; era diventato John Mayall, un musicista, un cantastorie, un’anima libera che trovava nella musica il modo di esprimere il suo vero io. E così il mondo conobbe lui e il suo grandioso sogno, quello di un uomo che aveva trovato il coraggio di seguire il richiamo del proprio cuore. E già allora presentiva che sarebbe stato on the road per sempre, fino alla fine.


Questo racconto non ha alcuna pretesa di verosimiglianza, è basato su una fantasia che a sua volta paga il suo tributo alle classiche leggende del blues. Non ha dunque nemmeno pretese di originalità: vuole solo essere un omaggio a un grande musicista le cui canzoni hanno accompagnato la mia vita (ndA).
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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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