Silvio Donà – Ma non è un Aifon?

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Scena: lo scompartimento affollato di un (lurido, ma che lo preciso a fare?) treno italiano. Un tizio con i jeans e una giacca sportiva cerca di estraniarsi dal mondo circostante immergendosi nella lettura di un romanzo sul suo lettore di e-book.
Stazione di Vattelapesca. Scendono un paio di persone, per qualche istante sembra si possa respirare, invece i tre posti liberi vengono subito presi d’assalto da un simpatico trio: marito e moglie, piuttosto giovani, con mamma di lei al seguito.
Problema: nessuno dei tre pesa meno di una tonnellata e ognuno di loro trascina faticosamente a rimorchio una valigia che, viste le dimensioni, contiene con ogni probabilità un cadavere, oppure una BMW in kit da montaggio.

Scusi di qua, riscusi di là, piede pestato, testa abbassata all’ultimo momento per schivare lo spigolo di uno dei valigioni, issati in qualche modo sulla rastrelliera porta bagagli. Infine i tre incastrano i loro sederoni nello spazio limitato dei sedili, piazzano i gomiti sui braccioli, colonizzandoli, e cominciano a sventolarsi, tutti affannati e sudati.
Il tizio coi jeans ora è seduto tra le due donnone e sembra una sottiletta tra due mezze pagnotte di pane pugliese. Ha lui stesso, per contrasto, l’impressione di essersi rimpicciolito.
Chiacchiere a mille watt di potenza: tutti – compresi i viaggiatori degli scompartimenti vicini e quelli che stazionano nel corridoio – devono sapere dove è diretto il trio, perché sta viaggiando, il caldo che fa e quanto è stato gentile lo zio Antonio a accompagnarli in macchina che sennò facevano tardi.
Calma. Ci vuole calma e sangue freddo, calma: il ritornello della canzone di Luca Dirisio incomincia a girare ossessivamente nella mente del tizio-sottiletta.
È giusto precisare che il tipo, da buon timido, è poco incline alle conoscenze occasionali e, da buon orso, è assolutamente refrattario alle chiacchiere fini a se stesse, utilizzate come riempitivo per far trascorrere il tempo. Se non c’è niente di interessante da dire, allora che silenzio sia. Il tipo adora il silenzio. Il silenzio è la condizione perfetta per fare le cose che gli piacciono di più e cioè leggere, scrivere e un’altra cosa che, a dire il vero, da un certo punto in poi non dovrebbe svolgersi proprio in assoluto silenzio, sennò vuol dire che non sta venendo tanto bene.
Ma questo è un alto discorso.
Il tizio tenta di mettere a frutto la classica tecnica utilizzata dall’orso in questi casi (no, non mi riferisco al grattarsi le schiena contro il tronco degli alberi!) e cioè immergersi nella lettura, fingendo di essere così preso da non sentire le conversazioni circostanti, in cui l’esuberante trio cerca di coinvolgere il mondo intero.
Peccato che il lettore sia sprovvisto del baluardo naturale dietro cui trincerarsi, e cioè il libro. Il libro ha un effetto respingente sul non lettore. Tipo kriptonite con Superman. Il lettore di ebook, invece, non solo non mette il tizio coi jeans al riparo dall’assalto delle chiacchiere ma, al contrario, le attira.
«Certo che a lei ci piace ciattare!» sorride la balena più anziana alla sua destra.
«Non è un aifòn, cos’è, un galacsi?» si informa il genero, seduto di fronte, che impugna – diciamo pure brandisce – l’ultimo modello di telefono melamozzicato e sembra già pronto a una sigolar tenzone sul tema il mio smartphone è più figo del tuo. Insomma, l’ennesima rielaborazione in chiave tecnologica della tradizionale diatriba tra maschi: io ce l’ho più lungo del tuo!
«Non è un telefono…» prova a puntualizzare l’orso-lettore.
«E’ un tablet! Ignoranti!» li redarguisce la balena di sinistra, che vuol mostrare di saperla lunga.
«No… non è neanche un tablet…».
Momento di silenzio. Sbandamento. Se non è uno smartphone e non è un tablet… Che cos’altro esiste al mondo che si possa tenere tra le mani guardandoci dentro?
«Un videogioco?» chiede speranzoso un ragazzetto che si affaccia dal corridoio.
Ormai siamo al dibattito pubblico. L’orso sospira.
«E’ un lettore di e-book».
Come se non avesse parlato. Tutti continuano a fissarlo. Per la serie: spiega che non si è capito una cippa.
L’orso continua a ripetere nella mente il suo improvvisato mantra-pop: calma, ci vuole calma e sangue freddo, calma.
«Serve a leggere i libri».
Delusione palpabile. Perplessità.
«Ahhhh!».
«Ah ecco…».
«… i libri!».
L’orso spera di avere chiuso la partita. Identificato l’oggetto come “libro” ora dovrebbe scattare l’effetto kriptonite. Invece no.
«Cioè lì dentro ci sta tutto un libro?» chiede la balena anziana.
«Veramente ce ne possono stare centinaia, volendo» si lascia scappare l’orso.
«Davvero?». Incredulità mal dissimulata.
«Ma si possono vedere anche i film?» chiede la balena di sinistra.
«Fa le telefonate?» chiede il marito, che non sembra avere altro dio all’infuori del cellulare.
«Ce l’hai Supermario?» chiede il ragazzino nel corridoio, che ormai si sente parte dello scompartimento.
L’orso si sente chiuso nell’angolo, non ha dove scappare.
«No, questo è un Kindle…».
«Un Kinder?», chiede un’altra passeggera, che una mezz’ora prima ha scartato e sbocconcellato una merendina: adesso le deve essere andata in circolo, annebbiandole i neuroni.
«No… Kindle! È il nome del lettore di e-book… È un modello base, di quelli che servono solo a leggere i libri».
«Legge solo i libri?» ripete esterrefatto l’uomo aifòn.
«Ma non si stanca gli occhi tutto il tempo sullo schermo del computer?» si informa mamma balena.
«No, signora. Lo schermo è diverso da quello dei computer e non stanca la vista».
«Come, diverso…».
«I computer hanno lo schermo illuminato. Questo invece no».
«E come fa a veders,i allora?» chiede dubbioso Mr. Apple, già pronto a disquisire di schermi Retina.
L’orso non è un esperto di tecnologie innovative. Ha solo una vaga idea di come funzioni l’aggeggio. A lui interessa leggere, non gli frega niente di questioni tecniche. Messo alle strette è costretto a tentare di spiegare quel poco che ha capito: «Ha un sistema di inchiostro elettronico, se così vogliamo dire. Quando si preme un pulsante lo schermo viene attraversato da una piccola scarica elettrica che polarizza questo inchiostro e gli fa riprodurre la pagina scritta…».
«Quando si preme un tasto?» si scandalizza il devoto di Cupertino. «Cioè, non è tàch?».
«Questo modello no. Preferisco i tasti, così lo schermo si sporca di meno».
«E così lei passa il viaggio a leggere!» si stupisce la balena di sinistra, come se il tizio coi jeans trascorresse il viaggio a coltivare funghi nelle scarpe da ginnastica.
«Vorrei…» mormora questi, triste, guardando fuori da finestrino. «Invece sono arrivato e non ho neanche finito il capitolo…».
Spegne il Kindle, recupera il suo piccolo trolley, saluta ed esce dallo scompartimento.
Il treno entra nella stazione. Si ferma. Il tizio sembra seguire la marea di passeggeri che scendono, ma all’ultimo momento, inaspettatamente, salta l’uscita, attraversa le porte che separano i vagoni e prosegue in quello successivo. Che è strapieno, ma il tizio lo dava per scontato.
Adocchiato uno strapuntino in corridoio lo apre, ci si sistema sopra in qualche modo e tira di nuovo fuori il lettore di e-book. In realtà, infatti, mancano ancora tre ora prima della sua stazione di arrivo.
Scomodo, ma finalmente rilassato, si immerge nella lettura.
Passa un quarto d’ora, ma poi…
«Certo che a lei ci piace ciattare…».
Con uno straniante senso di dejà vu il tizio col Kindle alza la testa. Nello scompartimento di fronte a lui, sul sedile più vicino al corridoio, è seduta una signora non più giovanissima che però, con ogni evidenza, rifiuta cocciutamente di arrendersi al tempo che passa. Molto trucco, molto colore, un paio di “ritocchini” a zigomi e palpebre, due maestose borse di silicone sopra la cassa toracica.
Il tizio è tentato di rispondere, istintivamente, che non sta chattando. Ma all’ultimo momento si morsica la lingua. Riflette un istante e poi risponde, con la voce più sottile e cinguettante che riesce a produrre: «Oh sì… non riesco a stare neanche un’ora senza chiacchierare col mio ragazzo!».
La signora perde all’istante ogni interesse e si volta a guardare il paesaggio.
Due uomini di mezza età che vicino a lui, nel corridoio, stavano animatamente discutendo di pallone, si allontanano come per caso di un paio di passi.
L’orso-lettore esulta. Lo stratagemma è stato un po’ becero e vigliacco, ma finalmente ce l’ha fatta a creare intorno a sé un po’ di sano spazio vitale.
Soddisfatto sta per reimmergersi nella lettura quando, come dal nulla, compare un ragazzo coi capelli ossigenati, una pashmina sui toni del viola e gli occhi segnati con l’eyeliner che, sbattendo le ciglia con aria d’intesa, chiede: «Ma non è un aifòn? Cos’è, un galacsi?».

FINE

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Silvio Donà è nato in Veneto l’anno in cui la sonda Mariner 4 è atterrata per la prima volta su Marte. Vive in Puglia. Ha preso (inavvertitamente) una laurea in legge e lavora nell’ufficio legale di una banca. Ha pubblicato i romanzi di ambientazione fantascientifica "Pinocchio 2112" (Leone, 2009) e il romanzo breve "Luisa ha le tette grosse" (Leone, 2011). Finalista nell’edizione 2011 del Torneo letterario Io Scrittore, ha pubblicato in formato ebook per GEMS (Gruppo Editoriale Mauri Spagnol) il romanzo "Nebbie" (2012). Ha pubblicato anche il romanzo "La ragazza che non sapeva respirare le nuvole" (Cento Autori, 2017) e collabora con svariate riviste. Ama scrivere anche storie brevi e ha pubblicato numerosi racconti. Ha vinto concorsi letterari nazionali (tra gli altri, il Premio Mondolibro e Il Premio Orme Gialle). Per il cinema, insieme a Antonio De Santis, ha scritto soggetto e sceneggiatura del film "Mi rifaccio il trullo", con Uccio De Santis e Lorena Cacciatore, regia di Vito Cea, uscito nei cinema a marzo 2016.

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