-Ma scrivere che cosa?
-Scrivere l’ossessione, la morte.
-Quale ossessione? Quale morte?
-Scrivere dell’ossessione, scrivere della morte.
-Non capisco.
-Non puoi. Non puoi, se non vuoi.
-Se non voglio che cosa?
-Riconoscere l’ossessione.
-Quale? Quale ossessione?
-Quella di scrivere, per esempio.
-Ma scrivere non è un’ossessione.
-E che cosa è, allora?
-Una passione. Scrivere è una passione.
-La passione non è mai del tutto estranea all’ossessione.
-Scrivere è anche un lavoro.
-Si. Scrivere con la pretesa di essere compresi. Farsi comprendere, è un lavoro. Farsi leggere. Fino a farsi leggeri, per essere letti. E poi tornare indietro, per aver tradito.
-Tradito che cosa?
-La propria scrittura.
-Sì. Forse. A volte. Mai del tutto.
-Ma mai del tutto fedele. Questo, nemmeno questo. Mai del tutto fedeli alla propria scrittura, a se stessi. Perché?
-Per essere letti.
-Ecco, questa è ossessione. Questa. Scrivere per essere letti. Ma anche scrivere, scrivere per se stessi. Non potrei mai smettere di scrivere, e non lo potresti neanche tu.
-Forse.
-Non mentire a te stesso.
-Non mento. Ma forse l’ossessione è altrove.
-Dove?
-Da un’altra parte. Altrove.
-In quale altrove?
-Nella solitudine. Ecco, sì, nell’altrove della solitudine. Dentro. E fuori. Quando si scrive. Quando si scrive si è soli, si è persone sole. Anche se non si è soli veramente. Ma lo si è quando si scrive, soli.
-E dov’è l’ossessione?
-Proprio nella solitudine. L’ossessione di essere soli, quando si scrive. Dopo non lo si è più. Ma è solitudine, la scrittura. Una solitudine lontana da tutto. Lontana da tutti. Dal mondo. Per poter penetrare meglio il mondo, per essere nel mondo.
-Per essere al mondo.
-Ecco, sì, per essere al mondo. Per nascere al mondo. Soli, fino a sentirsi smarriti. E dopo…
-E dopo, cosa?
-E dopo niente. Pagine non più bianche, il mondo.
-Quale mondo?
-Quello che hai creato, quello che ti ha creato. Plasmato. Quello che è sulle pagine non più bianche, e che c’era prima di te, e ci sarà anche dopo. Ma prima aveva un’altra forma. Scrivendolo l’ho riplasmato. Per me. E per chi vuole avventurarsi a leggere. Sono io, quel mondo.
-Tu?
-Si, io con me. Con il mio mondo. E con la parte di resto del mondo che ho imprigionato con righe nere sulla pagina bianca. La mia libertà. La mia prigione.
-La tua prigione?
-Si, la prigione del mondo. E della pagina bianca. Che è finita, ma infinita allo stesso tempo. C’è sempre un’altra pagina bianca.
-E un altro libro.
-E un altro libro, sì. O un altro frammento. Frammenti del mondo. Frammenti di me. La mia ossessione.
-Scrivere?
-Si, hai ragione tu. Scrivere, scrivere sempre. Anche per chi scriverà dopo di me.
FINE
Leggi un racconto breve di Heiko Caimi