William Mc Ilvanney – Feriti vaganti

0
689

Chissà per quale oscuro esercizio di rimozione, quando parliamo degli ultimi pensiamo automaticamente all’immigrato clandestino che si sporge dal bordo di un’instabile imbarcazione, al bambino africano, ventre gonfio e cibo per insetti, al tossico abbrutito e divorato dall’eroina in cui cerca rifugio, all’ubriacone sdraiato, semicosciente, tra i rifiuti.
I racconti di McIlvanney sono la doccia fredda, verrebbe fin troppo facile dire la doccia scozzese, che ci risveglia amaramente dall’intontimento oramai trentennale (gli anni Ottanta sono stati nella storia dell’umanità l’equivalente di un deleterio big bang) mostrandoci il vero volto di un Occidente sedicente esempio di democrazia, autocandidatosi, senza mandato alcuno, a guida dell’intera umanità. Sì, perché gli ultimi, oggi più che mai, sono tra noi, siamo noi stessi. I feriti vaganti di cui parla l’autore non vivono al di là dello spesso e rassicurante schermo di vetro di un televisore, gli umiliati e offesi di oggi sono le nostre madri e i nostri padri, sfruttati e privati di ogni energia nelle loro fabbriche di sogno, svuotati fino a diventare inutili vuoti a perdere. Produco, dunque sono. Questo, il verbo nuovo e dogma assoluto della nostra fulgida e opulenta società. I reietti, gli intoccabili, non abitano ghetti isolati, sono i nostri vicini di casa che frugano tra i rifiuti dei mercati alla ricerca di un frutto non del tutto marcio, disoccupati o pensionati che dopo una vita intera di lavoro stentano oggi a sbarcare il lunario.
I feriti vaganti siamo noi, gente arrogante del primo mondo, numerini contenuti in un immenso bussolotto, con la costante paura di essere “pescati” ed esclusi per sempre dalla confraternita degli integrati, noi che abbiamo barattato per un briciolo di potere (anche il benessere è potere, o quantomeno il suo simulacro) il nostro tempo, i nostri affetti, l’intera nostra anima.

McIlvanney non si limita a mostrarci i suoi feriti vaganti e le cicatrici che essi portano sul corpo, appuntate sul petto come medaglie al valore, ci indica con un impietoso j’accuse chi quelle ferite ha provocato, fa nomi e cognomi, senza neanche sprecare il suo tempo nominandoli, dei pazzi criminali che hanno scambiato l’unico mondo che abbiamo per un personale parco di divertimenti, per un gioco di società, Monopoli of course, con cui passare le loro tediose giornate. Il protagonista di uno dei più bei racconti del libro, Sognando, grazie alla finzione letteraria, bacchetta magica che tutto permette di realizzare, riesce a estorcere al Primo Ministro del suo Paese (ma la Lady di ferro del racconto potrebbe tranquillamente essere Sua Emittenza il Cavaliere o il bugiardo petroliere texano) la verità sulle nefandezze commesse, facendole dire, in un impeto di surreale sincerità: I risultati di cui mi sono vantata in realtà non esistono. Quello che il mio governo ha davvero fatto è stato di cercare di smantellare generazioni e generazioni di progresso nella nostra società. Abbiamo creato la disoccupazione di massa. Abbiamo reso più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Abbiamo creato una nazione divisa. Abbiamo reso i vecchi miserabili e i giovani senza speranza. Il nostro primato è veramente abominevole e se voi aveste un po’ di buon senso non votereste di nuovo per noi.

Feriti vaganti è una raccolta di racconti scritti tra la fine degli anni Settanta e il decennio successivo, nel preciso istante in cui veniva posto il seme da cui sarebbe poi sbocciato quell’abominevole fiore del male che è l’odierno liberismo (concetto falso persino nel nome, che pretende di avere una comune radice col sacro termine libertà). McIlvanney quindi coglie sul nascere, riconosce e denuncia con sorprendente prontezza i sintomi di ciò che egli vede come una stortura, il bivio al quale l’umanità sta imboccando il lato sbagliato.

Benestanti frustrati, donne sole e disperate, delinquentelli d’infimo ordine, rispettabili detenuti, mariti abbandonati, disoccupati di mezz’età senza più speranze: questa la galleria di personaggi che fa capolino tra le pagine del libro, in una scrittura circolare che fa affacciare, a sorpresa, i tanti attori nei vari racconti e addirittura negli altri romanzi dello scrittore scozzese, che in questo modo ci ricorda che le sue non sono storie di singoli individui, ma un’unica, grande Storia di un paese, di una nazione, di un popolo. Ma tra il plumbeo presente di questa plebe, sempre china seppur non più all’opra, brilla di una luce accecante il sole della capacità di sognare e della fantasia dei due giovani protagonisti del racconto d’apertura e di quello di chiusura del libro. Il primo, Duncan, vuole seguire la nazionale scozzese nella sua avventura pedatoria ai campionati del mondo d’Argentina e sa che nulla e nessuno potrà impedirgli di realizzare il suo sogno. L’altro, Sammy, rifiuta lavori umilianti per il modo in cui gli vengono offerti, e sa bastare a se stesso, così pieno com’è di vita, di fantasia, di cultura, la sua cultura.
Mc Ilvanney guarda con simpatia e affetto a  queste sue luminose due creature nell’affidare loro l’arduo compito di indicare a noi l’uscita di sicurezza, la via del riscatto, di sconfiggere con la loro scanzonata, giovanile strafottenza e con un sonoro sberleffo i ridicoli signorotti dell’odierno Medio(cre) Evo.
Sarà alfine una risata, che li seppellirà?

SHARE
Articolo precedenteJuan Goytisolo
Articolo successivoJohn Steinbeck
Giuseppe Ciarallo, molisano di origine, è nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato tre raccolte di short-stories, "Racconti per sax tenore" (Tranchida, 1994), "Amori a serramanico" (Tranchida, 1999), "Le spade non bastano mai" (PaginaUno, 2016) e un poemetto di satira politica dal titolo "DanteSka Apocrifunk – HIP HOPera in sette canti" (PaginaUno, 2011); ha inoltre partecipato con suoi racconti ai libri collettivi "Sorci verdi – Storie di ordinario leghismo" (Alegre, 2011), "Lavoro Vivo" (Alegre, 2012), "Festa d’aprile" (Tempesta Editore, 2015); suoi componimenti sono inclusi in varie raccolte antologiche di poesia: "Carovana dei versi – poesia in azione" 2009, 2011 e 2013 (Ed. abrigliasciolta), "Aloud – Il fenomeno performativo della parola in azione" (Ed. abrigliasciolta, 2016), "Parole sante – versi per una metamorfosi" (Ed. Kurumuny, 2016), "Parole sante – ùmide ampate t’aria" (Ed. Kurumuny, 2017). Scrive di letteratura e non solo su PaginaUno e Inkroci, collabora con A-Rivista anarchica e Buduàr, rivista on line di umorismo e satira. Fa parte del collettivo di redazione di "Letteraria/Nuova Rivista Letteraria" e "Zona Letteraria – Studi e prove di letteratura sociale" fin dalla fondazione.

Lascia un commento

Scrivi un commento
Per favore inserisci qui il tuo nome

inserisci CAPTCHA *