C’è un uomo che nel 1944 è ricercato dalla polizia tedesca ed è costretto a rifugiarsi in montagna. Qui scriverà, nell’arco di pochi mesi, uno dei romanzi simbolo della Resistenza. Quell’uomo è Elio Vittorini e il romanzo è Uomini e no.
“Uomini e no” si svolge nell’inverno del 1944 a Milano. Protagonista è Enne 2, il capitano di un gruppo di partigiani, innamorato follemente di Berta, donna sposata che ricambia il suo sentimento, ma si trova costretta a negarglielo. Da qui prende avvio la storia tragica che porta il lettore nella cucina di Selva, a bere vino con Enne 2 e con Berta; nelle camere d’albergo delle S.S., dove Figlio-di-Dio, infiltrato partigiano, progetta la fuga per i pastori tedeschi dei nazisti; nel cortile di san Vittore insieme al povero Giulaj, sbranato da quegli stessi cani per vendetta. Infine tra Largo Augusto e Piazza Cinque giornate, dove i cadaveri di uomini, donne e bambini uccisi durante una rappresaglia vengono esposti alla folla, che può solo piangere in silenzio. Ma anche piangere è sbagliato, ci dice Vittorini, perché se piangiamo accettiamo, se piangiamo li perdiamo. E non bisogna accettare, non bisogna perderli. Che facciamo se piangiamo?, chiede Enne2 a Berta. Rendiamo inutile ogni cosa. È importante non dimenticare che i morti insegnano: insegnano quello per cui sono morti.
Elio Vittorini conduce la storia con uno stile da neoavanguardia, utilizzando domande retoriche e anafore per rafforzare le immagini. Una scrittura non convenzionale per l’epoca, che scaturisce da un preciso progetto dell’autore, sempre alla ricerca di una sorta di conciliazione tra la realtà e la letteratura. Il che non gli impedisce di essere estremamente simbolico: ad esempio nel rapporto tra Figlio-di-Dio e Blut, uno dei cani delle S.S., costretto a sbranare Giulaj, il venditore di castagne. Risulta estremamente toccante la vergogna provata dal cane per la propria azione, che lo costringe a rifugiarsi sotto il letto. Non potrà più essere un cane dell’uomo, amico dell’uomo. È qui che Vittorini si interroga maggiormente, chiedendosi se è nell’uomo quello che gli uomini fanno quando offendono. Chiedendosi se lo stesso Hitler, nelle circostanze stesse, con un Figlio-di-Dio per lui, e lui che si rendesse conto di quello che fa, e guaisse, corresse sotto un letto a gemere.
Particolari e molto incisive queste incursioni dell’autore, scritte in corsivo, che sembrano quasi segnare un linguaggio della dissociazione e che mettono in evidenza le sue riflessioni attraverso il mondo interiore di Enne 2, combattuto tra il lato umano, rappresentato sopratutto dall’amore doloroso e impossibile per Berta, e il lato combattivo, violento, da partigiano d’azione. Da questa lotta chi risulterà sconfitto sarà comunque lo stesso Enne 2, che si lascerà morire nella sua camera in attesa dello scontro con Cane Nero, che simboleggia il Nemico.
Pubblicato subito dopo la fine della guerra, nel 1945, “Uomini e no” è riconosciuto come uno dei primissimi romanzi a porsi domande sulla guerra, su che cosa sia giusto e che cosa sbagliato. Su chi davvero siano gli uomini.
E su chi, invece, no.