India, 1938, Chuya, una bambina di otto anni, viene data in sposa ma, com’era usanza, continua a vivere con i genitori in attesa dell’età fertile. Il marito però muore di lì a breve e Chuyia diventa vedova. Nell’India di allora, a causa di tradizioni culturali e credenze religiose e sociali profondamente radicate, le vedove erano costrette a vivere in luoghi chiamati ashram (simili come concezione ai nostri monasteri), residenze comunitarie in cui le donne si ritiravano dopo la morte del marito. Isolate ed emarginate dal resto della società, non potevano risposarsi ed erano costrette a condurre vita isolata, poiché erano gravemente stigmatizzate: si credeva che portassero sfortuna e che la loro presenza attirasse disgrazie. Inoltre dovevano indossare abiti bianchi e non potevano truccarsi né utilizzare gioielli, oltre ad essere sottoposte a restrizioni alimentari, evitando cibi “peccaminosi” come la carne e gli alimenti speziati. Né potevano risposarsi (Una donna che diventava vedova perdeva la sua funzione nella società, quella cioè di fare figli e servire il marito, e dunque cessava di esistere come persona: non era più né figlia né nuora. Non c’era più posto per lei nella società).
Dopo essere rimasta vedova, Chuyia viene quindi rinchiusa in un ashram, dove sarà condannata a trascorrere il resto della sua vita. Qui fa amicizia con la giovane vedova Kalyani, con l’adulta Shakuntala e l’anziana Bua, ma il luogo è gestito dalla crudele Madhumati, che all’insaputa di Chuya fa prostituire Kalyani per poter finanziare la propria tossicodipendenza e le vivande con cui si vizia. Una situazione opprimente, nella quale però s’intravvede una via di fuga. Ma ogni cambiamento ha un prezzo, e non sempre è un dazio che si può pagare.
Il personaggio di Chuyia è toccante, e simboleggia l’ingiustizia e l’oppressione che le vedove dovevano affrontare. È proprio la sua innocenza ad animare la sua determinazione a sfuggire al crudele destino che l’attende e a catturarci fin dalle prime pagine, oltre a portarci a conoscenza, attraverso la sua curiosità, delle storie drammatiche delle altre vedove.
La bella Kalyani, nonostante sia costretta a prostituirsi, coltiva un sogno di fuga, alimentato anche da Narayan, un giovane di cui si innamora, ricambiata, e che frequenta clandestinamente.
Narayan è un giovane idealista che segue gli insegnamenti di Gandhi, profondamente coinvolto nella lotta per i diritti umani e nella promozione di una società più giusta e più equa. La sua relazione con Kalyani lo rafforza nelle sue convinzioni e nel suo desiderio di combattere l’ingiustizia e l’ineguaglianza, non solo per sé, ma per tutti, come dimostrerà il finale del romanzo.
Anche Shakuntala lotta per trovare un senso alla sua esistenza, e si contrappone alla malvagia Madhumati mantenendo la propria dignità, pur attraversata da dubbi che il giovane sacerdote Sadananda non sa risolvere.
Bua, vedova molto anziana, è materna e premurosa nei confronti di Chuyia, per la quale diventa una sorta di nonna benevola. A lei la piccola farà un regalo che porterà a una svolta inasepttata nella vicenda.
Pur rimanendo sullo sfondo, il personaggio storico di Gandhi attraversa tutto il romanzo, e gioca un ruolo fondamentale, giacché in quel periodo, oltre a guidare il movimento per l’indipendenza dell’India dal dominio britannico, propugnava messaggi di e uguaglianza che influiscono sulle vite dei personaggi, in particolare su quello di Kalyani.
Lontano dagli stereotipi che lo accompagnano in occidente, Gandhi qui rappresenta la speranza di cambiamento di un intero popolo e il desiderio di una società più giusta e equa. Il suo messaggio e il suo impegno per i diritti umani ispirano alcuni personaggi a cercare la libertà e a ribellarsi alle norme sociali che li mantengono oppressi, facendone così anche un istigatore della lotta per i diritti delle donne, e delle vedove in particolare, contro tradizioni inique e obsolete.
Bapsi Sidhwa scrive con uno stile elegante e coinvolgente, al punto che non si avverte affatto che si tratti di una novelization. Le sue descrizioni dettagliate portano alla vita l’ambientazione e i personaggi, facendoci immergere completamente nella vicenda. La prosa, poetica ma mai leziosa, riflette efficacemente sia la bellezza che la crudeltà della storia.
Lettura potente e incisiva, Acqua affronta questioni universali di oppressione, libertà, tradizione e cambiamento. È un romanzo che fa riflettere anche dopo aver voltato l’ultima pagina, e dimostra il talento dell’autrice pachistana nel raccontare storie toccanti e significative. Un libro da leggere e rileggere, anche per non perdere la bussola morale contro i bigottismi nostrani.