L’epopea degli ultimi: intervista a Massimiliano Santarossa

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Pane e Ferro (Biblioteca dell’Immagine, 2019), l’ultima fatica di Massimiliano Santarossa, non è solo un romanzo: di fatto, e ce lo conferma l’autore nell’introduzione, siamo di fronte all’ambizioso e riuscito tentativo di far convivere la materia romanzesca con quella saggistica e storica. Pane e Ferro è un «corpo» e i corpi, si sa, cercano il movimento. Un corpo che racconta la storia che attraversa l’intero Novecento; all’interno della «grande storia» la «storia minima» di una famiglia che si svolge a Paesenovo, luogo dei fatti ma racconto di per sé. A Paesenovo, microcosmo al confine tra il Friuli e il Veneto, finzione e realtà s’intrecciano come Mito e Storia e al movimento fa seguito il cambiamento. Sì, il mito: il mito del progresso. Un mito che, ci dice Santarossa, è «unicamente sviluppo». Pane e Ferro è una lucida riflessione sugli aspetti del mito del progresso, appunto: qualcuno deve assumere posizioni scomode e ribadire che acquisire poteri attraverso le tecnologie non sempre conduce al benessere, lì dove si scalza la natura. Insomma, non è proprio la natura ad essere matrigna, quanto l’uomo ad arrogarsi il diritto di modificare intere regioni ignorandone le ripercussioni.
A Paesenovo vive Enea, è suo il punto di vista della narrazione. Con lui siamo bambini, adolescenti, adult:, è Enea a presentare l’epopea della sua famiglia tra contadini e metalmezzadri, tra la terra e la fabbrica. Con lui impariamo cosa vuol dire crescere in un piccolo paese che, ogni giorno immobile, d’improvviso viene investito dal passaggio della modernità. Con lui impariamo il sentimento del povero e quello del ricco, con lui guardiamo tramonti rosseggianti che sono sempre alle spalle, forse per darci la possibilità di allungare lo sguardo, lanciarlo oltre le case, i campi, le montagne. Con lui apprendiamo la durezza di un patriarca, la stanchezza di una madre-bestia, con lui ascoltiamo i racconti di guerra del nonno Ettore.
Enea viene descritto come un bambino coraggioso e fiero. Non poteva, questo personaggio, avere nome più adatto: nella mitologia è guerriero coraggioso secondo solo ad Ettore. «Enea che in spalla / un passato che crolla tenta invano / di porre in salvo, e al rullo di un tamburo / ch’è uno schianto di mura, per la mano / ha ancora così gracile un futuro / da non reggersi ritto»: in Giorgio Caproni diviene simbolo di una generazione, la generazione del secondo dopoguerra. Troia brucia, Paesenovo muta. Come Caproni, Santarossa pone domande cardine. Tocca temi fondamentali con una scrittura intensa, bruciante, realista, com’è nella sua condotta, ma in Pane e Ferro lo stile è il punto di forza, nell’argot che l’autore sceglie di utilizzare: diceva bene Céline che ciò che conta in un romanzo è lo stile e che venga fuori con leggerezza, proprio come accade in queste pagine.
«Che cosa siamo noi di Paesenovo?»: gente venuta su a «Pane e ferro», «metalmezzadri», migranti dal campo alla fabbrica, operai: «nuove bestie, animali del ferro», vittime del futuro: «è spesso la paura, a decidere il futuro delle donne e degli uomini».
Questo «corpo», però, mi sembra invochi non tanto la salvezza, quanto la resistenza. La consapevole resistenza di chi sopravvive alle mancanze, alla vita.

 Pane e Ferro è un titolo eccezionale, ce ne racconta l’origine?
Sono i due elementi cardine del Novecento, il Pane che viene dalla terra, dal grano, e il Ferro che viene dalla fabbrica, dalle macchine. A ben guardare tutte le famiglie italiane si sono sostenute in cent’anni grazie a questi due cardini. Un romanzo sul Novecento non poteva che portare tale nome.

Da Storie dal fondo a Pane e Ferro. Quali temi chiude, quali apre e quali restano inalterati dai suoi esordi?
Da Storie dal fondo a Padania, otto romanzi in quindici anni, sono stati il fulcro del mio racconto della periferia d’Italia, dagli anni Ottanta a ieri l’altro. A quel punto, o smettevo di scrivere, oppure affrontavo un percorso inedito per la mia letteratura, cioè andare alle radici della società italiana e da lì raccontarne lo sviluppo economico e la conseguente implosione umana, quindi affrontare il Secolo breve, ancora insuperato.

Pane e Ferro sta «sulla soglia della letteratura, della storia e anche della saggistica». Già in Padania aveva creato una corposa appendice, un breve saggio sul nord correlato da documenti e foto. Cosa manca alla forma romanzo?
Pasolini, nell’atto della stesura di Petrolio, scrivendo un’accorata lettera a Moravia, nel febbraio del 1975, avvertiva che era venuto il tempo dell’ampliamento del romanzo realista, tanto quanto si stava ampliando il caos nella società, quindi che il corpo del romanzo avrebbe preteso, per rendere al meglio, molto più di trama, personaggi, incastri eccetera; avrebbe preteso quindi documenti, apparati, pezzi organici di saggistica, e quindi avvertiva Moravia che i tempi erano maturi per un passo in avanti della letteratura. Credo sia oggi naturale, dopo quarant’anni, operare ciò nella scrittura.

«La storia dell’umanità inizia con i piedi» (André Leroi-Gourhan, antropologo): in qualche modo nel suo ultimo romanzo affronta anche il tema dell’emigrazione; perché è così complicato comprendere che l’uomo non smetterà mai di spostarsi?
In fondo il racconto del Novecento italiano non è nulla più che il racconto di parte delle abitudini sociali dell’Africa d’oggi, o dell’India, o del Sudamerica; il lavoro, e quindi la conseguente “crescita economica”, da sempre si sposta coi bisogni e la fame dei popoli, ma nei bisogni e nella fame dei popoli si muove anche la paura, e quando quella paura, quella fame, quei bisogni giungono dove c’è un benessere in fase morente, come nell’Occidente attuale, in “casa nostra” quindi, finiamo a rispecchiarci nei poveri che eravamo solo qualche decennio prima, ma nessuno vuole rivedere la propria povertà. Occorre un’enorme educazione alla povertà, al suo valore intrinseco, tanto narrato esempio da Padre Turoldo.

A narrare la storia è Enea: qual è l’aspetto di questo personaggio che più le appartiene?
Il protagonista di Pane e Ferro nasce a metà anni Cinquanta; ciò mi è stato utile per renderlo partecipe emotivamente dei racconti del nonno, nato alla fine dell’Ottocento, e del padre e della madre, nati al termine degli anni Venti. Il legame primo tra me ed Enea, me ne sono reso conto al termine della scrittura, durata anni, è la volontà del ritorno alla terra, alla storia, al passato famigliare; terra, storia, passato famigliare come strumenti per comprendere l’oggi e forse tentare uno sguardo verso il domani. In fondo prova a fare questo, Pane e Ferro.

Ogni capitolo contiene delle citazioni “guida” utili al lettore nel viaggio. In apertura della prima parte pone dei versi di Emily Dickinson, versi usati anche da Brondi in una canzone dell’album Terra: perché la poesia, questa poesia?
Perché è un’invocazione, una preghiera, un’educazione. Guarda alla guerra per capire la pace, guarda alla sete per capire l’acqua, guarda alla morte per capire la vita. Questo insegnavano, nelle profonde campagne, i vecchi ai giovani, nel Novecento. E così avviene in Pane e Ferro. E lì torneremo, alla vita, e alla sua poesia.

 Intervista uscita su La Città Quotidiano, allegato de Il resto del Carlino il 25/09/2019, con il titolo: “Pane e ferro: l’epopea degli ultimi tra la terra e la fabbrica”.


Massimiliano Santarossa, nato nel 1974 a Villanova (Pordenone), è oggi considerato uno dei principali scrittori del nuovo realismo italiano.

Romanzi
Storie dal fondo, Biblioteca dell’Immagine, 2007

Gioventù d’asfalto, Biblioteca dell’Immagine, 2009
Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, Baldini Castoldi Dalai editore, 2010
Cosa succede in città, Baldini Castoldi Dalai editore, 2011
Viaggio nella notte, Hacca edizioni, 2012
Il male, Hacca edizioni, 2013
Metropoli, Baldini&Castoldi, 2015
Padania, Biblioteca dell’Immagine, 2016
Pane e Ferro, Biblioteca dell’Immagine, 2019

Opere teatrali
Solitari, Padani, Umani? (testo teatrale/musicale scritto con il cantautore Pablo Perissinotto), E.B.I. Multimedia, 2017

Reportage
Viaggio a Nordest, reportage giornalistico in tre puntate, pubblicato nei cinque Quotidiani veneti e friulani del Gruppo l’Espresso, novembre 2017, gennaio 2018

Pamphlet Nordest, in solo ebook, collana Collirio, Antiga Edizioni, 2018

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