La commare secca è la morte, citata dal Belli (…e già la Commaraccia / Secca de strada Giulia arza er rampino) nella frase finale che funge da epigrafe per un film dolente e appassionato, un esercizio di stile colto e raffinato firmato Pasolini, Citti e Bertolucci.
La storia viene introdotta da un poetico piano sequenza, la macchina da presa stacca dalla strada per finire nei campi, tutto intorno il vento incalza, fa svolazzare ritagli di giornale in mezzo al prato, dove vediamo il corpo senza vita di una donna. Si tratta di una prostituta, uccisa da un cliente dopo uno dei soliti incontri di una notte di borgata, ma al regista e agli sceneggiatori non interessano la trama gialla, le indagini, la ricerca del colpevole, quanto l’analisi e l’approfondimento delle singole esistenze disperate.
La commare secca è il primo film da regista di Bernardo Bertolucci. La storia è più nelle corde di Pier Paolo Pasolini (autore del soggetto) e di Sergio Citti (che scrive i dialoghi in romanesco), ma il regista mostra una tecnica matura portando la macchina da presa a perlustrare le povere strade d’una borgata che non conosce, quartieri cadenti e polverosi, abitazioni fatiscenti arredate con l’essenziale. Tutti luoghi ben noti a Citti, di riflesso a Pasolini, cantori terminali di una vita naturale che sta compiendo un processo di cambiamento inarrestabile.
I dialoghi sono in perfetto romanesco, il suono è in presa diretta per accentuare il realismo, la musica di Piccioni, suadente e romantica, inserisce nella colonna sonora due brani di Claudio Villa (Addio Addio) e Nico Fidenco (Come nasce un amore).
Neorealismo permeato di quel cinema di poesia tanto caro a Pasolini, ma la macchina da presa è memore della lezione di Cesare Zavattini, perché pedina i personaggi e mostra ogni aspetto delle loro esistenze malandate. Molte soggettive mostrano i campi della borgata, una stupenda fotografia in bianco e nero di Narzisi (come regista farà cose meno memorabili) illumina squarci di vita con borgatari ladruncoli che derubano coppiette innamorate, foreste di periferia, pioggia sui vetri, incontri d’amore rubato nei quartieri periferici, tra case popolari e cinodromi. Troviamo persone che vivono in case cadenti arredate in maniera essenziale, talmente povere da essere costrette a pagare i debiti in natura, con una radio a transistor, persino con un cane dato in ostaggio. L’indagine mostra militari di stanza a Roma che frequentano prostituite e provano nostalgia di casa; uno di loro è friulano – proprio come Pasolini – e raccoglie la terra con le mani, quindi la porta al naso per sentirne il profumo.
Bertolucci racconta il modo di divertirsi tipico del tempo, la musica che proviene dal Sudamerica, il mambo e il cha cha cha in versione italiana; non mancano la povera cucina a base di gnocchi al sugo e il divertimento in borgata con il gioco del calcio praticato in borghese. Filo conduttore resta l’indagine: alla fine della storia avremo un colpevole, riconosciuto per un particolare del suo abbigliamento, ma gli autori sono interessati a presentare una serie di tipi umani che caratterizzano un’epoca e che ancora oggi portano lo spettatore ad assaporare il profumo del tempo passato: un ladruncolo che deruba coppiette, un soldato nostalgico della sua campagna, un mantenuto, due ragazzini adolescenti. Comincia a imperversare la pubblicità indiretta nel cinema italiano con dei giganteschi cartelloni Campari Soda che campeggiano in borgata – difficile pensare che l’inquadratura ripetuta sia dovuta a motivi culturali. E poi ci sono il Tevere che scorre, il vento che soffia, la povertà palpabile per le strade e le case scalcinate della periferia in contrasto con una città austera e solenne che osserva la vita da lontano.
Un buon affresco neorealista, un esercizio di stile ancora acerbo, in ogni caso un momento importante che riprende uno spaccato di vita quotidiana attraverso l’indagine intorno a un delitto di periferia, ricostruendo le ultime ore di vita di una prostituta.
La critica. Paolo Mereghetti (due stelle): “Esordio di Bertolucci che sceglie un soggetto di Pasolini e costruisce la propria misura narrativa sui registri dell’attesa e della memoria. In ogni caso un esercizio di stile, ancora appesantito da una preziosità del racconto (le varie storie si incastrano secondo regole più estetiche che temporali) e uno sguardo liricheggiante che deve troppo alla volontà di fare un cinema d’autore”. Morando Morandini (tre stelle): “Primo film di Bertolucci, il più giovane esordiente del cinema italiano (21 anni). Il soggetto è di Pasolini, ma il film non è pasoliniano nello stile. Gusto, fantasia e due momenti di poesia”. Pino Farinotti (tre stelle): “Esordio di Bertolucci, sotto l’ala di Pasolini”. Sorprende il giudizio drastico di Pasolini stesso: “Questo film è stato girato contro di me”.