Lo scopo principale di Riccardo Burgazzi nel suo saggio Il maschilismo orecchiabile è quello di analizzare come la componente comunicativa delle canzoni degli ultimi cinquant’anni sia caratterizzata da un linguaggio sessista. Potrebbe sorprendere (o anche no) come alcuni testi cui siamo affezionati utilizzino termini non proprio consoni, o addirittura offensivi, verso il genere femminile. Parole adoperate in modo leggero potrebbero inoltre veicolare messaggi cui il cantante o l’autore non aveva neanche pensato. Eppure le parole hanno il loro peso specifico e rispecchiano la cultura del tempo in cui vengono usate.
Il problema comunicativo viene declinato in diverse categorie, definite in base a come è rappresentata la donna. Si parte dalla donna angelo più bella del mondo per arrivare poi alla Circe moderna ammaliatrice, passando per la donna immobile. Senza sorprese sono i due capitoli dedicati rispettivamente alle donne tradite o abbandonate (a cui si dice “mi dispiace, devo andare” cercando compassione) e a quelle che invece pongono fine alle relazioni (che vengono giudicate, insultate, attaccate e odiate: “la mia mano, dove prima tu brillavi, è diventata un pugno”). Tra gli ultimi capitoli, ve n’è uno dedicato ai rifiuti e allo stalking (secondo me il migliore, impreziosito da una citazione di Bianca Pitzorno).
Dovremmo smetterla di ascoltare il centinaio e più di canzoni citate invocando la cancel culture? No: far sparire le cose sbagliate non elimina il problema. Inquadrare il contesto, sottolineare quali siano gli errori, le mancanze e le discriminazioni va invece nella direzione giusta per superarlo, per prestare maggiore attenzione al linguaggio che si usa, in qualsiasi situazione e ambiente, sia con i propri familiari e conoscenti, sia sul lavoro e nei prodotti creativi quali canzoni, quadri, libri. Ed è quanto suggerisce di fare questo libro.
Alcuni collegamenti risultano un po’ forzati e qualche approfondimento poteva essere dedicato a confrontarsi con canzoni più recenti (tra i pochi artisti giovani citati c’è Sfera Ebbasta). Infatti, negli ultimi anni si sta prestando davvero molta più attenzione alla parità e al linguaggio di genere per essere più inclusivi. Ho avuto l’impressione che Burgazzi sia rimasto in superficie, ed è un peccato. Ciò che è poco esplicito è la contestualizzazione degli anni dei testi menzionati; solo in qualche punto si fanno riferimenti all’evoluzione della società. Forse un’altra classificazione possibile sarebbe stata quella cronologica, magari per decenni, per descrivere se anche nella musica stiamo facendo passi verso la parità di genere.
Ma è un peccato veniale per un saggio piacevole da leggere e che ci induce a riflettere.