Michela Murgia – Accabadora

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“Colei che finisce”. Questo il significato del termine sardo Accabadora, la donna che agevola il destino negli ultimi istanti della vita, quando la speranza svanisce e rimane solo la sofferen-za. Partendo da questo spunto sull’eutanasia l’autrice ci parla di amore universale.

E dell’amore di una madre per la propria figlia, adottiva e fortemente voluta, raccontato soprat-tutto con il linguaggio dei gesti. Una donna di poche parole che tuttavia comunica in maniera efficace, con la precisione chirurgica di un bisturi.

Maria fill’e anima, come viene chiamata in lingua sarda la figlia in affido, imparerà a convivere con questa madre singolare che le tra-smetterà il mestiere di sarta e soprattutto le insegnerà l’umiltà di accogliere con la stessa gra-vità sia la vita, sia la morte.

In secondo piano una comunità popolata da donne forti, che sopportano il peso di amministra-re con giustizia le realtà oggettiva del quotidiano. Mentre le figure maschili si esprimono con difficoltà, con quella rudezza apparente che fatica a nascondere l’incapacità di portare il peso del giudizio altrui.

Una storia di Sardegna raccontata con garbo antico, con saggezza ed esattezza di linguaggio, che ricorda al continente come la morte sia una parte della vita e quanto sia sciocco e vigliacco nasconderla.

Un messaggio planetario che scaturisce da un piccolo mondo, dove ogni gesto ha un preciso significato, un suo equilibrio segreto. Un sistema arcaico che ha normative non scritte, fatte di veti e precetti, una comunità che si muove istintivamente ma in cui niente è la-sciato al caso.

Ben diverse le regole della grande città dove, a dispetto dell’ordine apparente, Maria sperimenterà il caos e la solitudine dell’anima.

Un romanzo pieno di poesia, nel quale ogni pagina rivendica la propria precisa collocazione, come nell’abbecedario di Maria, dove ogni cosa aveva un suo comodo posto, e solo uno, e tessuto con una lingua ruvida e appassionante al tempo stesso, usando l’alfabeto elementare di quando gli oggetti e il loro nome erano misteri non ancora separati dalla violenza sottile dell’analisi logica.

Una narrazione che non lascia spazio alla retorica. Memorabile.

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Giorgio Olivari nasce a Brescia nel secolo scorso. È professionista nel campo del disegno industriale da più di trent’anni. Dopo i primi quarant’anni da lettore scopre la scrittura per caso: uno scherzo della vita. La compagna di sempre lo iscrive a un corso di scrittura creativa: forse per gioco, più probabilmente per liberarsi di lui. Una scintilla che, una volta scoccata, non si spegne ma diventa racconto, storie, pensieri; alcuni dei quali pubblicati dai tipi di BESA in "Pretesti Sensibili" (2008). La prima raccolta di racconti brevi, "Futili Emotivi", è pubblicata da Carta & Penna Editore nel 2010. La sua passione per la letteratura lo ha portato a “contagiare” altri lettori coordinando gruppi di lettura: Arcobaleno a Paderno Franciacorta, Chiare Lettere a Nave.

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