Slam bang
La slam poetry è oggi abbastanza di moda: si tratta di gare poetiche o di recital che da un lato riprendono una tradizione che rimonta ai trovatori medievali (e, se vogliamo, addirittura ai pastori dell’Arcadia), dall’altro riescono a dare nuova linfa a un genere che per decenni è stato avvertito come morente o incomprensibile – la poesia lirica. Ma i “poeti della voce” che partecipano a questi tornei corrono diversi rischi: quello di risultare macchiette sempre uguali a se stesse (si prenda ad esempio il noto e simpatico Guido Catalano), di produrre testi che sulla carta lasciano a desiderare (ad esempio le opere di Guido Catalano) oppure, peggio, di scimmiottare modelli di successo (per esempio Guido Catalano).
Chi ha affrontato questi rischi, e con gran valore li ha vinti, è senz’altro Paolo Agrati. Non solo un poeta, ma anche un cantante, un attore, un comunicatore; insomma, uno showman che sa ben dosare qualità e leggerezza: risultato mirabile ottenuto solo dagli artisti che studiano e lavorano e si dedicano interamente alla propria disciplina.
In questo spazio, dunque, si segnalano un libro e un omonimo spettacolo teatrale, Partiture per un addio, che Agrati porta in scena sulle musiche di Simone Pirovano, una raccolta sul tema del suicidio che racconta “l’universo nascosto che ognuno di noi si porta dentro”.