
La risonanza delle gomme sulla strada bagnata è un mantra forte e costante. I tergicristalli scivolano via in lenti archi ritmici nel buio circostante. La pioggia cade lenta e costante, poi in raffiche, ricordandomi di Galway quando ero bambino dove i venti atlantici lanciavano fronde di alghe rotte sulla passeggiata durante l’alta marea. Prima che l’armonia di morte di Belfast mi seducesse.
Il vento continua a cercare di starci addosso. Ma continuiamo a navigare. L’asfalto nero e scivoloso canta sotto di noi. Rallentiamo e svoltiamo su una strada sterrata, il ritmo pulito ora spezzato, alti fanali tracciano lunghe canne che bordano la strada muovendosi ritmicamente avanti e indietro con il vento. Non ci sono luci ora, dalle auto in arrivo.
Ci fermiamo in una radura. Apro la porta. L’autista mi guarda. La pioggia sulla mia faccia è rilassante. I pungenti fumi della benzina mi confortano. La luna giace nascosta dietro nuvole nere e pesanti. Sblocco il bagagliaio.
Riesci a malapena a stare in piedi dopo aver dormito raggomitolata per ore. Dopo un po’ riesci a stare dritta. Tolgo il nastro dalla tua bocca. Respiri l’aria fresca. Respiri i fumi. Mi guardi. Non ti prego. Non piangi. Tu sei coraggiosa.
Ti tengo per un braccio e ti porto via dalla strada, in un campo, lontano dalla macchina, lontano dagli altri. La pistola in mano indica il terreno. Mi fermo. Ti bacio la guancia. Alzo la pistola. Ti sparo due volte in alto, alla tempia. Gli aloni di luce ti ungono. Cadi. La pioggia scorre e porta via il sangue. Sparo colpi in aria. I bossoli espulsi saltano via. Torno verso la macchina e ti lascio lì, sdraiata nell’alta erba bagnata.