Ho visto Beckett l’altro giorno
sulla soglia di quel caffè
dove gli hai fatto la foto
Riconosci che era quello giusto
quando ha alzato gli occhi all’obiettivo
e rendendosi conto di come potesse
tormentarci tutti
“Ehi, Beckett,” dissi
con la gioia della mia scoperta di lui;
la sua mano sulla porta, i suoi occhi
che sfioravano l’immagine interna
di fumo di sigaretta e caffè.
Ero in piedi accanto a lui. Si strofinò la faccia
per riconoscermi. Sorrisi e
dissi che anch’io non sapevo cosa stesse
succedendo in questi giorni.
Nemmeno io potevo fermare la fine.
Annuì, tossì sornione; i suoi
denti erano
gialli sul rosa delle labbra.
Menzionò la fotografia. Disse che
la sua faccia
aveva raccolto vermi sotto la pelle come se
fosse stato pronto per
la morte, e sorrise per mostrare la loro danza
spasmatica con macchie e vene dell’età.
Qualcuno entrò nel caffè. Qualcuno ne uscì.
Beckett toccò i capelli sopra il mio orecchio.
Stavo in punta di piedi così da poter sussurrare
verso il basso.
Non disse nulla. Era solo un bacio
con il vento freddo ai nostri piedi e aria di
fumo e uovo
che usciva in correnti tra
l’apertura e la chiusura della porta del bar;
che lui attraversò per trovare il suo tavolo
ed entrò in qualche altro mondo,
sotto le luci unte
appaiate con lucido da tavolo e tazze da caffè,
e pensieri di morte, dove lei si trovava
pronta per entrare, sono stati trattenuti
strani momenti della vita
che avevano ancora appesi i respiri utili
Beckett era solito soffiare sul caffè per raffreddarlo.