Erika Zini – L’amore non basta

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I miei genitori mi hanno insegnato che in una relazione, quando è arrivato il momento, devi prendere le tue cose e andartene. « È così che abbiamo fatto io e la mamma».
«Non vi volevate più bene?».
«Certo che ci volevamo bene, tesoro. È che a volte l’amore non basta».
L’amore non basta: è un concetto che non ho mai capito né giustificato. Secondo la mia opinione, se due persone si amano è possibile recuperare il rapporto; se non ci si vuole perdere, se non si vuole stare divisi, non importa che cosa si sta passando, se ci si ama c’è la possibilità di superare gli ostacoli insieme.
Così, quando sono diventata grande e mi sono fidanzata, ho giurato a me stessa di difendere sempre l’amore e di metterlo prima di qualsiasi altra cosa, e Mattia è diventato per me tutto quanto l’universo in una stanza.
Insieme a lui ho studiato per superare gli esami, ho cercato una buona coinquilina per trasferirmi, ho distribuito curricula in giro per Milano centro in attesa di un primo impiego, ho bevuto alla salute del negozio che mi ha scelta come stagista; con lui ho fatto l’amore quando il cuore mi scoppiava al pensiero di aver trovato una nuova casa più grande e una nuova coinquilina, con lui ho pianto la morte del mio coniglio adorato. Soprattutto, con Mattia ho diviso le serate felici con gli amici e i dolori di quando la vita per il verso giusto non va.
Poi, un giorno, ci siamo alzati nella nostra stanza, dove infine e finalmente siamo andati a vivere insieme, e abbiamo scoperto di non essere felici. Dopo nove anni d’amore, Mattia ha iniziato ad accaparrarsi sempre più turni per stare fuori casa e non dovermi vedere.
«Perché non riesci a stare con me? Non mi ami più?».
«Certo che ti amo».
«E allora perché?».
Mattia una risposta non l’ha mai avuta.
Meno ci vedevamo o parlavamo, e più mi attaccavo all’idea che in fondo, se mi amava, allora una speranza c’era. C’era davvero.
Memore dell’errore dei miei genitori al loro tempo, ho pensato di poter essere più furba, più brava a scovare le vie d’uscita da un rapporto morente, così ho perseverato per un anno intero.
«Ti va di organizzare qualcosa per il nostro anniversario?» gli ho chiesto una mattina di gennaio.
«Ristorante e filmino, classico?» ha risposto lui con un sorriso speranzoso.
È lì che ho capito che l’amore non basta. Quella piccolezza, quella minuscola mancanza d’inventiva per una data così piena di significato, e in un momento così delicato, mi ha fatto scoprire quanto l’amore che diceva di provare per me non bastasse a rendermi felice: mi mancavano le fondamenta, non avevo niente cui aggrapparmi se non la sua parola – e quanto può essere affidabile la parola di un uomo che non ti vuole guardare negli occhi la sera prima di dormire?
Sul momento comunque non ho risposto, ho solo annuito, e credo di essere stata anche abbastanza credibile nel mio mostrarmi entusiasta, perché non abbiamo discusso sul mio mostrarmi costantemente infelice delle sue azioni. O magari ha solo finto di non notare il dolore, o forse ancora guardava da un’altra parte, come sempre.
Tra lacrime, sceneggiate in casa e momenti in cui avrei voluto sbattere la mia e la sua testa, a turno, contro il muro, siamo riusciti ad andare avanti un altro mese. Il Nulla che aleggiava in casa nostra ha avvolto ogni cosa, snaturando in me l’amore per quelle pareti così tanto agognate in nove anni.
Mi sono chiesta spesso se la guerra silenziosa che ci siamo fatti nel portare avanti il cadavere della nostra relazione sia stata, a modo suo, dettata dalla convinzione ferrea che sì, l’amore davvero risolverà ogni cosa; così che, nonostante non si andasse più d’accordo su niente, almeno in questo nessuno avesse niente da ridire.
Quando Mattia si è ammalato di Covid, qualche settimana dopo, mentre io sono rimasta negativa, ho fatto una piccola valigia con tutto ciò che poteva servirmi nel breve periodo e sono andata a stare da un amico, in attesa di poter rientrare. Quando il terzo tampone ha ridonato la libertà al mio fidanzato, però, lui si è improvvisamente reso conto che l’origine del problema, evidentemente, non era non saper esprimere l’amore, ma non poter tollerare la mia presenza in casa nostra, così mi ha scritto un messaggio e mi ha chiesto di non rientrare.
Inutile dire che mi è caduto il mondo addosso: non avevo più una casa, il mio amico non poteva certo ospitarmi all’infinito e il mio lavoro – a cui comunque dovevo andare – si trovava troppo lontano per poter pensare di rimanere in quella situazione sospesa ancora a lungo. Rimanendo con lo sguardo fisso al messaggio sul mio cellulare, ancora aperto, ho cercato di calcolare l’entità dei danni che la tanto agognata forza di fare qualcosa, qualsiasi cosa, da parte di Mattia mi aveva infine causato, e ho scoperto che mi era rimasta tra le dita solo l’amarezza di non aver capito i segnali in tempo, quando al nostro ultimo saluto, e con la valigia pronta già oltre la porta, non aveva avuto il coraggio di guardarmi.
Nella mia abitudine a essere invisibile, non avevo capito la differenza dal solito sguardo e sono arrivata impreparata al disastro, così mi sono ritrovata dispersa e senza niente, come dopo il passaggio di un uragano su una casa costruita male, le cui fondamenta si basavano sulla speranza e l’amore basterà: la realtà mi ha soffiato addosso come raccontano le fiabe, portando via con sé qualsiasi presunzione di poter fare meglio dei miei genitori.
Ho anche imparato che, quando poi la vita ricomincia, quando ti rimetti in piedi e provi qualche timido passo verso l’ignoto, ci saranno un’infinità di momenti in cui la nostalgia tenterà di tenerti ancorata a terra, forte che il suo sussurro di ricordi e sensazioni che non torneranno più ti impedirà di guardare oltre; e ho imparato che, così come la guerra non finisce solo quando lo decide la Storia, ma molto dopo la fine della ricostruzione, bisogna procedere a piccoli passi e cercare di vincere contro se stessi, ritornando a scommettere su frasi vuote come «Non hai perso tutto, hai perso solo lui», che mi rifilò mio madre nelle settimane seguenti al mio essere improvvisamente senza casa, o come «Passerà tutto e riderai di questo momento, vedrai» delle mie amiche quando Mattia, in un estremo tentativo di rimanere amici, mi ha gentilmente consigliato Pavia, se Milano si fosse rivelata troppo costosa per rimanerci da sola.
Ancora oggi, a distanza di un anno, non riesco a identificare un momento preciso in cui tutto quello che credevo solido e forte contro le intemperie ha iniziato a mostrare le prime crepe, e immagino che sia un cliché anche solo il pensarci di tanto in tanto ancora adesso. Per ora l’unica cosa che so è che la vera sfida, dopo, è stata la ricostruzione di me stessa: quando l’uragano è passato, quando la Storia ha dichiarato finita la mia guerra, mi sono ritrovata con niente. Ho dovuto trovare un altro lavoro, una nuova casa, dei nuovi amici e ho dovuto tornare a sperare che, se anche l’amore da solo non basta, forse qualcuno disposto a combattere con me là fuori ci sarebbe stato lo stesso.
Così ho recuperato i cocci di me stessa e del mio ego distrutto e sono tornata a ricostruire. Se esistesse una cronaca scritta di quello che ho fatto fino adesso probabilmente farebbe sorridere, perché ogni piccolo passo sembra immenso quando devi ricominciare: una nuova casa con nuovi coinquilini, i primi amici dal nuovo impiego con cui esci a bere, il primo bacio dato a un’altra persona per la felicità di una sera fuori, e il ciclo ricomincia. A chi, come me, combatte non ho consigli da dare, se non uno: l’amore verso un’altra persona non basta e non basterà mai.
Però ci sono altre cose che non si riveleranno frutto della vostra fantasia: la forza di alzarsi dal letto per andare a scoprire chi diventeremo e il senso di conquista per essere riusciti a tornare a fidarci del prossimo, per esempio.
L’amore è un’avventura, ma non è tutta la storia dell’eroe che siamo. Per avere un quadro d’insieme, bisogna anche considerare l’aiutante, l’obbiettivo, l’oggetto del desiderio e il finale della storia: vale la pena scoprirli.

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Erika Zini è nata nel 1995 a Brescia e vive in provincia di Milano. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università Statale di Milano, ha frequentato la Scuola Annuale di scrittura di Belleville. Ha pubblicato vari racconti contenuti in antologie: “Ambra” (per “Anch’io, storie di donne al limite”, Prospero Editore, 2021), “Datti tregua” (per “Oltre il confine, storie di migrazione”, Prospero Editore, 2019), “Sto aspettando” (per “I racconti di Cultora, Lombardia”, Historica Edizioni, 2015).

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