Cartoni animati

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La vita è sogno, direbbe Calderon. I fratelli Citti scrivono e dirigono un film proprio su questo tema romantico e decadente, aiutati da De Concini e Tocchi, restando sul già percorso solco del realismo magico. Cartoni animati è commedia grottesca, ambientata in un panorama degradato e realistico, intrisa di elementi fantastici che avrebbero reso felice Zavattini, basata su una storia evanescente, fatta della stessa sostanza dei sogni. Il filo conduttore del racconto è Salvatore Salvatutti (Fiorello), un venditore di sogni, che approda a Ostia con la sua zattera e si presenta al pubblico, in primo piano, parlando alla macchina da presa. Tutto il film nasce dai sogni contenuti nelle boccettine colorate che Salvatore distribuisce insieme ad altri prodotti: fiori finti (profumati) per le tombe, spray per rasserenare le foto dei defunti, pagnottelle con mortadella, comodi letti di cartone. Il sogno principale che compone la struttura del film è la storia d’amore tra Peppe (Franco Citti) e Maria (Melli), che comincia in un cimitero dove la donna riconosce l’uomo come il marito defunto il giorno delle nozze, investito da un’auto. Il regista ci conduce per mano fino al Villaggio Felice, sede di un’assurda comune insediata in un capannone dove tutti sono poveri ma in fondo lieti, grazie ai sogni dispensati da Salvatore. I personaggi sono surreali, dal borgataro innamorato di una donna di carta, al pittore che dipinge nel bosco, alla donna che sogna di essere violentata, fino alla coppia di assurdi sposi, lei ancora vestita di bianco, lui in giacca e cravatta.

Il film si svolge a Ostia, luogo del cuore dei fratelli Citti, tra la pineta e i nuovi palazzoni che hanno preso il posto delle borgate. Tra i motivi dominanti: la fame atavica (il furto del pollo), i soldi che non ci sono, la bramosia di diventare ricchi con la consapevolezza di non avere la faccia da signori (la coppia viene espulsa da ristoranti e alberghi), il mito della donna ideale (che è un travestito). La storia si sviluppa con il classico andamento on the road periferico dei film di Citti: i personaggi vagano per le strade di Ostia, dormono nei cartoni come barboni, vivono in una periferia degradata. Interessante la parte in cui Maria viene scambiata per la Madonna e tutti i poveracci vengono a chiedere un miracolo, fino a quando non interviene Salvatore con la solita ricetta: I sogni, altro che i miracoli!

I fratelli Citti affrontano ancora una volta un argomento che sentono vicino: la scomparsa delle borgate e della solidarietà tra poveri, a vantaggio di anonimi appartamenti assegnati agli indigenti. Vediamo il cambiamento di vita degli abitanti del Villaggio Felice, sfrattati da una multinazionale giapponese che insedia una fabbrica nel capannone: non appena diventano proprietari di una casa sfoggiano tutto il loro egoismo e grande litigiosità. Salvatore finisce per bruciare il carretto con cui distribuiva le fialette per sognare. Non serve più, mormora affranto. Resta il tempo per sognare il giorno delle nozze, per cambiare il finale con lo sposo che arriva in tempo e non muore, il prete che celebra il matrimonio con foto ricordo scattata da Salvatore. La vita è fatta di tanti piccoli sogni, dice il protagonista mentre prende il largo con la zattera e beve il contento dell’ultima boccetta. Sogna le persone che sognano, tutti i protagonisti del film sono presenti nel suo ultimo sogno, in un finale poetico, mentre il sole tramonta e le voci dei personaggi dicono in coro: Andiamo tutti a quel paese!

Il film nasce da un’idea di Franco Citti, ultimato grazie al fondo speciale del Ministero dei Beni Culturali, distribuito soltanto nel 2004 da Filmo, quindi trasmesso in televisione da Rete Quattro e altri canali Mediaset. La storia è costruita partendo da un protagonista noto al grande pubblico come Fiorello, impiegato in un ruolo insolito, poetico e interessante. Sergio Citti dirige con mano ferma ed esperienza, insieme al fratello, una commedia scritta con i toni della fiaba, dell’apologo surreale e fantastico, ricca di elementi lirici ma anche di estremo realismo. I debiti con il cinema di Pasolini ci sono tutti (in fondo voluti): l’accusa nei confronti del consumismo e dell’uniformità borghese, il rimpianto per una vita naturale perduta, l’avversione per omologazione di linguaggio e abitudini.

Cartoni animati è un contenitore di piccole storie, a metà strada tra sogno e realtà, ispirato a Miracolo a Milano per il tono fiabesco, per l’attenzione verso i poveri e le esistenze marginali, riscattate dai sogni.  La fine di tutto è l’omologazione: passare da una comune disorganizzata a un condominio fatto di regole e normalità produce la rottura di un incantesimo basato su fragili equilibri. Non resta più spazio per i sogni. Tutto diventa inutile.

Musiche fiabesche e poetiche di Morricone, fotografia sporca e luminosa di De Maria, montaggio compassato di De Rossi. Molto bravi Fiorello e Franco Citti nei ruoli principali, resi con realismo visionario, al limite del grottesco. Elide Melli è una credibile sposa disperata che insegue il suo amore e dà il meglio di sé nei panni di una finta Madonna di borgata. Premio Casa Rossa al Festival di Bellaria 2005.

La critica non è uniforme. Paolo Mereghetti (tre stelle) è il più condivisibile: “L’evocazione iniziale di Miracolo a Milano stabilisce un tono fiabesco. I fratelli Citti (Franco esordisce alla regia) accettano l’anacronismo come protesta verso un mondo inaridito. Sono temi non nuovi e sono molti gli echi di film precedenti di Sergio, dalla fame de Il minestrone al cimitero di Mortacci, ma non c’è stanchezza, le deviazioni narrative (bello l’episodio di Maria scambiata per Madonna) hanno la forza del racconto orale e la poesia arriva imprevista dopo aver superato la prova di un sano cinismo plebeo. I cartoni del titolo sono quelli in cui si riparano i senzatetto. Purtroppo inevitabile la marginalità di un film così: prodotto nel 1998, ha ottenuto una piccola distribuzione in sala solo nel 2004”. Pino Farinotti concede solo due stelle, parla di Slvatore come nipotino del Totò di Miracolo a Milano, di incantesimo che si rompe, di magica armonia interrotta del Villaggio Felice. Morando Morandini (critica due stelle e mezzo/ pubblico una, ma pochi l’hanno visto): “Tenuto in cantina per sei anni e mal distribuito nell’estate 2004 con la vana speranza di sfruttare la popolarità TV di Fiorello. Frutto acerbo e, insieme, sfatto dell’inerte tentativo di coniugare l’impianto favolistico con una rabbiosa denuncia sociale. Stanca, confusa e riduttiva imitazione del primo cinema pasoliniano con lampi di poesia e un’iniziale omaggio a Miracolo a Milano. La sua debolezza di fondo risiede nella regia dell’esordiente Franco Citti, a disagio anche come attore, nonostante la fraterna collaborazione di Sergio Citti (già malato), la cui vena narrativa – è bene ricordarlo – stava a monte, non a valle di quella di Pasolini”.  Riportiamo la frase pronunciata da Salvatore Salvatutti, che cita esplicitamente Miracolo a Milano e funge da raccordo con il neorealismo magico di Zavattini: “A Milano una volta mio nonno inventò le scope volanti, proprio le scope volanti che uno piglia e vola. E così fu. Tanta gente con queste scope volanti salì in cielo e, una volta arrivati in mezzo alle nuvole, trovarono un paese dove uno quando dice Buongiorno significa veramente Buongiorno e per questo non fecero più ritorno”. I fratelli Citti, nipoti di Zavattini e fratelli di Pasolini, alla ricerca di un’irrecuperabile felicità perduta.

Regia: Franco Citti, Sergio Citti. Soggetto: Sergio Citti, Franco Citti, Marco Tocchi, Ennio De Concini. Sceneggiatura: Franco Citti, Sergio Citti, Marco Tocchi. Montaggio: Ugo De Rossi. Fotografia: Felice De Maria. Musiche: Ennio Morricone. Scene e Costumi: Mario Ambrosino. Aiuto Regista: Enzo Di Terlizzi. Direttore di Produzione: Marco Pistolesi. Assistenti alla Regia: Ferdinando Raffone, Elena Ferla, Marius Mattei. Produttori: Francesco Pamphili, Felice De Maria. Case di Produzione: Morgan Film, Lumina, Mediaset. Distribuzione: Filmo (2004). Durata: 90’. Genere: Commedia, Grottesco. Interpreti: Franco Citti, Fiorello, Elide Melli, Pietro De Silva, Olimpia Carlisi, Ermanno Castriota, Guerrino Crivello, Daniele Ferretti, Franco Iavarone, Vera Gemma, Barbara De Pace. Anno: 1998.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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