Alan Bennett – La sovrana lettrice

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Nonostante la sua brevità (nemmeno cento pagine), su questo libro si potrebbe scrivere un manuale. Un manuale di scrittura, naturalmente, di metodo. Di forma, in ultima analisi, a ribadire che è di forma che si parla quando si parla di libri, perché senza di essa nessun contenuto potrebbe stare in piedi. Qui, la forma è quanto di più elegante si possa concepire. E lo è innanzitutto perché deve rappresentare l’eleganza dell’etichetta di corte, la ricercatezza delle coreografie di palazzo partendo da un, pur dissacrante, assunto: una regina – impossibile non identificarla con quella che al tempo della pubblicazione del libro era la regnante in carica, la quasi immortale Elisabetta II – viene colta da una passione divorante per i libri al punto da iniziare a trascurare i protocolli reali, comportandosi in maniera bizzarra, dicendo e facendo cose ritenute inopportune (nell’incipit, ad esempio, la cogliamo mentre, a un ricevimento ufficiale, si intrattiene col presidente francese a discutere non di questioni di stato, ma di Jean Genet, scrittore, oltre che attivista, tutt’altro che accomodante e che non poco imbarazzo crea all’interlocutore).
Le conseguenze di questo comportamento della regina avranno esiti esilaranti ma anche di estremo significato, permettendo a Bennett riflessioni terribilmente preziose sul nostro rapporto con i libri, sull’importanza della lettura, su come questa ci modifichi e, in alcuni casi, ci determini (È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile, dirà la regina in una delle sue tante, memorabili uscite di cui Bennett la farà protagonista).

La bellezza di quest’opera sta proprio nell’equilibrio, magico, che Bennett raggiunge tra le suddette istanze puramente formali e quelle concettuali, tra l’ironia (Per gli uomini (quindi Thatcher inclusa) quello era l’importante) e la profondità (Presto la regina decise che era meglio incontrare gli autori dentro le pagine dei romanzi, creature dell’immaginazione del lettore, come i personaggi), tra la leggerezza e le sferzate a un certo conformismo di etichetta (Il nome di chiunque, per lei, non aveva alcuna importanza come tutto il resto: l’abbigliamento, la voce, la classe sociale. La regina era un’autentica democratica, forse l’unica del paese).
Tutto questo Bennett lo fa elaborando una struttura che ha del prodigioso, mentre dà vita a un’opera incomparabilmente raffinata, di una misura miracolosa: la serata danzante di un’aristocrazia dai modi ineccepibili, dove tutto è perfetto, le posate sono sistemate in modo impeccabile, la tovaglia riluce di un bianco purissimo, le portate sono eccellenti, il vino abbondante e di pregio e la conversazione sempre avvincente. Una  serata, insomma, impossibile da dimenticare.

Ho parlato di magia. Volutamente, perché Bennett si muove allo stesso modo di un prestigiatore: chiacchiera, ci intrattiene, muove la sua mano destra mostrandoci qualcosa, ci distrae e, a un certo punto, con la mano sinistra tira fuori la sorpresa. E ci lascia a bocca aperta. Portandoci, dopo aver srotolato davanti ai nostri occhi un tappeto rosso di parole mirabili, all’ultima (letteralmente) riga, per condurci a un finale di arguzia e imprevedibilità assoluti, un punto nel quale fa convergere l’inaspettato, ma solo dopo essere riuscito a renderlo perfettamente plausibile. Una magia, appunto.
Ricordandoci, comunque, che i veri protagonisti di tutto il discorso sono proprio loro, i libri, creature con una propria forza vitale, un loro dinamismo e, perché no, una loro etica (I libri se ne infischiavano di chi li leggeva… un lettore valeva l’altro e lei [la regina] non faceva eccezione. La letteratura, pensò, è un Commonwealth; le lettere sono una repubblica). E per i quali, specialmente quando raggiungono questa qualità, non possiamo che essere grati.

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Ivan Zampar, nato nel 1972 a Udine, risiede da sempre a Cervignano del Friuli. Dopo essere stato avvocato e collaboratore del quotidiano “Il Piccolo”, attualmente è occupato come educatore professionale. Da sempre ama leggere, talvolta scrive. Ha pubblicato due raccolte di racconti (“Incontri”, CulturaGlobale edizioni, 2017; “Quello che ci portiamo dietro”, Besa Muci, 2022) e due romanzi scritti a più mani (“La follia dell’altrove”, con David Ballaminut, Voras edizioni, 2011; Ester – All’ombra del fiume, con David Ballaminute e Fabio Morsut, L’orto della cultura, 2021).

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