Jordi Bonells – La seconda scomparsa di Majorana

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Il titolo di questo romanzo, naturalmente, fa riferimento al libro di Sciascia, ma, laddove nell’opera dell’autore siciliano il perno era la figura – peraltro parzialmente mitizzata – del fisico collega di Fermi e Segrè, in quello di Bonells la vicenda di Majorana si presenta come pretesto per parlare d’altro. Di fuga, probabilmente, di rinascita, posto che racconta, prima di tutto, della propria decisione, come autore e come voce narrante, di abbandonare una tranquilla quotidianità accademica in Francia per trasferirsi in Argentina e ricostruire se stesso in altro luogo. La sparizione che Bonells prende in considerazione, quindi, non è tanto quella fisica, tangibile di Majorana, quanto quella maggiormente simbolica, la “seconda”, appunto, legata al concetto di identità, di percezione di sé. L’enigma di Majorana diventa allora una semplice (?) linea narrativa, una direzione sulla quale innestare le ossessioni proprie dell’autore, le sue considerazioni sul senso di essere ciò che si è, sui tentativi di cambiare la propria prospettiva. Tanto che anche Héctor Mayor, che Bonells ci fa credere di aver rintracciato in Argentina come ingegnere della società Entel, appare solo come l’ennesima suggestione di un percorso che, nel tentativo di comprendere i passi che hanno condotto alla scomparsa di Majorana, mira verosimilmente a comprendere soltanto i motivi della propria.

Da questo punto di vista, anche la scelta dell’Argentina come ipotesi di nuovo approdo di Majorana dopo la sua scomparsa dall’Italia diventa altamente simbolica. Terra di desaparecidos, di corpi scomparsi e di velenose speranze che in qualche modo possano riapparire, l’Argentina si presta bene alle intenzioni dell’autore. E il corpo, quel corpo del quale sembra che Majorana si volesse liberare per svincolarsi dal proprio passato, diventa un altro dei molteplici temi trattati nel libro; rendendo quest’ultimo ulteriormente stratificato, e costruendone la bellezza proprio sulla complessità dei suoi livelli di lettura, che si muovono costantemente sul confine labile tra il dato biografico e la suggestione, tra il reportage e la finzione letteraria in cui tutto è impalpabile e la verità si confonde col sogno. Borges è certo un riferimento dell’autore, ma Bonells, con grande intelligenza, evita tanto gli schematismi quanto il compiacimento fine a se stesso, creando un amalgama letterario personalissimo e di indiscutibile densità. Inserisce con sapiente misura piccoli tasselli, riflessioni apparentemente casuali, minuscole vicende (la ricerca degli scrittori che hanno operato nel periodo del golpe – scrittori che parlano di scomparse, dunque –, la tartaruga che si volatilizza, la foto scattata nello stesso luogo nel quale anche Majorana era passato…) che vanno a costruire l’intelaiatura di una storia affascinante, misteriosa, palpitante.

Ci lascia con l’idea che, alla fine, ciò che conta, ciò che resta, è forse solo ciò che non c’è. Il vero soggetto di una fotografia si trova sempre oltre i suoi margini, in ciò che non si vede, dove l’immagine si perde, dirà Bonells, come se fosse proprio la scomparsa a dare veramente senso a tutto il resto – a tutto ciò che, in modo forse illusorio, consideriamo veritiero o importante.

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Ivan Zampar, nato nel 1972 a Udine, risiede da sempre a Cervignano del Friuli. Dopo essere stato avvocato e collaboratore del quotidiano “Il Piccolo”, attualmente è occupato come educatore professionale. Da sempre ama leggere, talvolta scrive. Ha pubblicato due raccolte di racconti (“Incontri”, CulturaGlobale edizioni, 2017; “Quello che ci portiamo dietro”, Besa Muci, 2022) e due romanzi scritti a più mani (“La follia dell’altrove”, con David Ballaminut, Voras edizioni, 2011; Ester – All’ombra del fiume, con David Ballaminute e Fabio Morsut, L’orto della cultura, 2021).

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