Madre, madre
quanto mi sei lingua
e quanto mi è madre il linguaggio
che s’impasta di parole forti e tenui
incommensurabilmente genuine
nel loro spaiarsi e ricomporsi
una lingua di odori, sapori, lacrime
sublimi masticazioni tattili
e suoni che precipitano
da padiglioni scoscesi
a un cervello che stordito
rimanda accenti e liuti
onoff, onoff, onoff,
e parole di carta
nella nera caligine
di inchiostri e caratteri
madrelingua, stranieri
comprensibili, incomprensibili
bislacchi, bis-muti
come la differenza
nel dialogo con un gatto
o un sesso iridescente
nel silenzio di sileno imbrunire
che mi s’attacca
che mi s’imprime
che mi stampa, acuto, di carne e sangue.
Lingua, quanto mi sei madre
sempre presente
accendi i sensi.
laboriosa maledetta formica
che mi tarli
e che m’affanni.
E io come un bambino
ancora apprendo
ignorante contadino
della lingua
che semino, coltivo
mai alle vertigini
dell’altezza
bramando gravità più lievi
e più severe
con la licenza di disfare
e rifare
con la paura di non essere
né madre né padre
ma solo
e senza veli
nel cammino.
Mi brucia mentre la tasto
– la lingua –
s’allima mentre me la rimangio
un altro morso alla gola
onoff, onoff, onoff,
come quella lingua che ho perduto
e quell’altra che non ho mai guadagnato.
Quanto mi sei madre, lingua
e quanto sono inferiore
alle mie aspettative.
Posia scelta da Emilia Mirazchiyska, curatrice della serie