Mi sveglio, e non so bene dove sono. Una luce pallida attraversa la finestra, e mi sembra di sentire il canto lontano di qualche coro di Natale. Ma forse è solo il vento. L’odore è quello di un qualche tipo di minestra, come di patate e cipolle, che fa sobbalzare un’immagine nella mia mente: mia madre, accanto alla cucina, intenta a preparare il pranzo di Natale. Ma a Natale preparava il cappone, mica la minestra. La minestra era per la sera, quando bisognava star leggeri dopo il pranzo luculliano.
Eppure per un istante mi sembra di essere lì, con lei. Poi però apro gli occhi e davanti a me c’è solo il muro bianco. Il maledetto muro bianco.
«Signor Gianni, vuole un po’ d’acqua?» chiede una voce gentile che non riconosco. Sorrido per educazione e annuisco, e poi me ne scordo subito, come se non avessi mai risposto.
È la vigilia di Natale, vero? Mi sembra di sì, ma non mi ricordo chi me l’ha detto. Mi pare d’aver avuto dei figli… anzi, sono sicuro di averli avuti. Mi ricordo una piccola che rideva, con i capelli arruffati, e una moglie – perché non mi ricordo il nome? – che faceva le smorfie di rimprovero quando raccontavo battute stupide per far ridere i bambini. Quindi non c’era solo la piccola – come si chiamava? – ma anche un fratellino, Guido? Sì, mi pare Guido. Rivedo il nostro albero, addobbato come un pasticcio, perché li lasciavo sempre scegliere dove mettere le decorazioni. Ricordo la sala addobbata in modo confuso, ma con un calore che adesso non sento. Per un attimo, mi sembra quasi di sentire un odore di mandarini. Mia moglie metteva le bucce dei mandarini sui caloriferi per profumare la casa. Ma è solo un ricordo, perché qui di mandarini non ne vedo mai.
«Signor Gianni, vuole un po’ di minestra?». La voce torna, mi riporta alla realtà di questa stanza fredda, impersonale, con il maledetto muro bianco. Non è casa mia, no, io qui non ci abito. Lo so. Non so dov’è casa mia, ma so che non è qui. Ma allora che ci sto a fare qua? Non sarà mica un manicomio? No, se non mi ricordo male li hanno chiusi. Allora sarà un albergo. Ma allora dov’è mia moglie? E questa donna qui? Cosa ci sta a fare? Non ricordo di aver ordinato il pasto in camera.
«No, grazie», le rispondo.
«Ma deve mangiare», insiste quella.
«E allora la lasci qui, guardi, me la metta sul comodino, fra poco la mangio». Ma non ha un buon odore, aspetterò che se ne vada e la butterò nel water.
Penso: “Forse i ragazzi stanno arrivando.” Me lo ripeto, convinto. Arriveranno di certo. Li ho sempre visti, per Natale. Guido e… e… Marta, forse? Sì, mi pare proprio Marta, la sua sorellina. Arriveranno fra poco.
Il buio arriva presto, con il freddo. Non vedo nessuno, e le ore scivolano via senza che accada nulla, come una stanza vuota che non si riempie mai.
Mi metto a letto, con il cuore che mi si stringe. Mi sembra di avere dimenticato qualcosa d’importante. Avverto un vuoto dentro di me, come quando perdi una cosa cara e non la trovi più. Mi sento abbandonato, come quand’ero bambino e cercavo la mano di mia mamma e non la trovavo. Mia mamma aveva sempre da fare.
La notte passa lenta lenta. Il mattino dopo apro gli occhi, e vedo mia moglie accanto a me, con il suo sorriso di quando mi dava la sveglia. La stanza è illuminata dalla luce di Natale, e fuori dalla porta c’è il profumo di arancia e di cannella, come quando lei preparava il panettone a casa. I bambini scendono dalle scale ridendo, e si lanciano sotto l’albero per vedere i regali. Il piccolo ha trovato il trenino di legno, quello che voleva, e corre verso di me per mostrarmelo.
“Siamo tutti qui,” penso. Siamo davvero tutti qui. Sento le loro voci, i loro abbracci caldi, li vedo ridere, e il mio cuore si riempie, trabocca d’amore come una sorgente improvvisa. Ricordo ogni dettaglio, ogni gesto, ogni risata. E l’albero di Natale, con sotto tuti i doni. Guardo mia moglie e le sorrido, perché adesso so che se n’è andata da tempo, è in Paradiso, ma per questo Natale è tornata, è tornata per me, e siamo di nuovo insieme, tutti quanti.
Sì, siamo tutti insieme. Insieme scarteremo i regali. Luisa ed io. Ecco come si chiama mia moglie, Luisa. Sono felice di ricordarlo. Mi sento bene. Oh, come mi sento bene. Peccato solo per questo dolore al petto. Sempre più forte, qui a sinistra. Non mi sento neanche più il braccio, accidenti. Ma passerà presto. Mi sento dentro una pace, ma una pace… Che bello essere tutti qui.