Kafka, un giovane-vecchio, e Nakata, un vecchio-bambino, non s’incontrano mai direttamente, ma i loro destini si intrecciano per realizzare una profezia. Quest’ultima è legata all’odio non risolto di Kafka e dev’essere compiuta per liberarlo dall’ipoteca che grava sulla sua vita. Nakata, inconsapevolmente, diventa parte di questa missione. Entrambi vivono vite parallele, dove sogni e realtà si confondono, come parti di una stessa anima.
Il romanzo pretenderebbe di esplorare temi quali il destino, la colpa e il sacrificio, e in effetti riesce a creare un’aura di mistero (irrisolto), che ha affascinato e sedotto moltissimi lettori.
Ma la sensazione che mi ha lasciato questo libro è la nostalgia: nostalgia di una letteratura che abbia senso, di una narrazione che non si limiti a mescolare ingredienti noti e stranoti e a shakerarli per ottenerne una pietanza originale (in realtà indigeribile), nostalgia di una letteratura che badi al sodo e non si perda in infinite digressioni, dialoghi che non vanno a parare da nessuna parte e situazioni irrisolte.
L’unico pregio del romanzo è quello di essere scorrevole. Ma non lascia nulla, se non la rabbia di aver speso tanto tempo dietro una boiata pazzesca.