La metafora degli scacchi
La vita è un gioco crudele: in questo romanzo le pedine degli scacchi sono personaggi, e i personaggi sono pezzi di un destino più grande, forse già scritto. Sono pedine e strumenti di una partita eterna, scaturita da una leggenda indiana sulla nascita del gioco degli scacchi e che è metafora della Storia, della sua opprimente ciclicità […], nella vittoria e nella sconfitta, come scrive l’autore.
Pantò dipinge una Sicilia del Settecento suggestiva e spaventosa, teatro di intrighi inquietanti attorno a una misteriosa scacchiera scomparsa e dal possesso della quale dovrebbe discendere un grande potere, in grado di donare ricchezza infinita.
Bianchi e neri, buoni e cattivi, si sfidano nella ricerca del prezioso oggetto e il risultato della partita, sviluppato sapientemente attraverso le tredici mosse dei ventisei capitoli, è tutt’altro che scontato: accanto alla vicenda principale si snodano sottotrame che svelano, a poco a poco, la genealogia e le vicissitudini dei proprietari della scacchiera, fino a scoprire che il suo segreto si nasconde nei meandri sibillini della Storia dell’isola. Compare anche una Mercedes Uzeda, chiaro riferimento ai Viceré di Federico De Roberto.
Sono pochi i romanzi ancora in grado di destare meraviglia. Chaturanga ci riesce.
Perché la narrazione è avvincente e i personaggi sono costruiti con maestria; perché lo sfondo storico è accuratamente documentato senza essere pedante; perché la scrittura è nitida e mai banale. E il finale è inaspettato.
Giuseppe Pantò sforna un’opera intelligente, con tutte le potenzialità per diventare un best-seller, rivelandosi scrittore fine, di quelli che resistono al logorio del tempo e che fanno onore alla grande tradizione letteraria della Trinacria.