Scacchi e vita
Gli scacchi, si sa, sono la metafora della vita. Ma il dato di fatto, che la sua stessa forza ha ormai trasformato in luogo comune, fa rischiare, al romanziere che lo fa proprio, uno sconfinamento nel banale.
Non è questo il caso del bel romanzo di esordio di Stefano Sala. Il felice accostamento dei temi, quello scacchistico del sacrificio e quello umano del suicidio, ci restituisce un aspetto nuovo e originale di quella metafora: rifiutare il sacrificio di un pezzo sulla scacchiera, come opporsi al suicidio di uno sconosciuto, diventa una scelta illogica e controproducente che innesca meccanismi paradossali e si trasforma in uno sbaglio.
Può sembrare strano, ma anche sulla scacchiera ci sono violenza e prevaricazione, amore disperato e solitudine. Sala, con la sua scrittura garbata, ce li declina con leggerezza e semplicità, senza compiacimento e senza strizzare l’occhio al lettore solo per carpirne la benevolenza; rinuncia a fornirci un finale facile e rassicurante, e instaura col lettore un rapporto stretto e diretto. Leggendo non percepiamo lo scrittore, e da subito ci ritroviamo ad ascoltare la voce suadente e misurata di un vecchio, seduto vicino al caminetto acceso, che, con la sapienza del cantastorie, dosa ad arte timbri e toni. E alla fine, quando quel vecchio si alza e ci saluta, lasciandoci soli davanti alla fiamma, il romanzo non ci abbandona. Continua a girarci intorno, aspettando con noi che il fuoco si spenga del tutto.