Wilfred Owen nacque nel 1893, in un’Inghilterra ancora intrisa di sogni imperiali, un mondo che predicava il coraggio e l’onore, esaltando la guerra come rito di passaggio per i giovani uomini. Eppure, il suo nome sarebbe diventato il più feroce simbolo della disillusione, il canto tragico di una generazione sacrificata al fango e al fuoco della Prima Guerra Mondiale.
Di educazione modesta, figlio di un ferroviere, scoprì presto l’amore per la poesia, affascinato da Keats e Shelley e forse sognò un’esistenza dedicata ai versi e alla bellezza. Ma il 1914 spazzò via ogni suo sogno, come quelli di un’intera generazione.
Quando l’Europa precipitò nella guerra, il giovane Owen si arruolò nel 1915, senza lo zelo patriottico di molti suoi coetanei, ma semplicemente con la volontà di fare il proprio dovere.
Ciò che trovò nelle trincee del fronte occidentale lo marchiò per sempre. Non c’era nulla di eroico nell’orrore che lo circondava: il gas asfissiante che divorava i polmoni, i corpi maciullati nei crateri di fango, il cieco avanzare verso la morte in seguito a ordini senza volto, e spesso senza senso. Questo divenne il cuore pulsante della sua poesia: una denuncia spietata, lirica e crudele, di quella carneficina insensata. Nessuno più di lui seppe smascherare la menzogna di chi predicava la guerra con toni epici. Nei suoi versi, l’immagine dei soldati non è quella dei cavalieri nobili e gloriosi della propaganda, ma quella di uomini sfiniti, piegati dal peso delle divise madide di sudore e di sangue, trascinati verso una fine irragionevole.
In ospedale per una grave commozione cerebrale e i segni di uno stress devastante, incontrò Siegfried Sassoon, un altro poeta e soldato che, pur essendo un eroe decorato, condannava la guerra con rabbia e disincanto. Fu Sassoon a incoraggiarlo a dar voce a ciò che aveva visto. Da quell’incontro, la poesia di Owen si affinò in un realismo ancora più lacerante, costruito su immagini vive, dolorose, pulsanti di verità.
“Dulce et Decorum Est” demolisce con crudezza il falso mito della guerra gloriosa: mostra uomini che “camminano curvi come mendicanti”, “annegano nel gas” con “occhi bianchi che si contorcono nel volto”. La famosa chiusa, che riprende l’antico detto latino “Dulce et decorum est pro patria mori” (È dolce e decoroso morire per la patria), lo ribalta con ferocia: è una “vecchia menzogna” che ha ingannato generazioni.
“Inno per la gioventù condannata” (Anthem for Doomed Youth) è una marcia funebre per i soldati morti senza onore, senza campane né preghiere, solo “il crepitare furioso dei fucili” e “il coro dei pallidi pianti delle ragazze”. Non c’è spazio per la retorica nei suoi versi: solo il dolore di una generazione bruciata, i “giovani condannati” inghiottiti dal massacro.
Nonostante la possibilità di rimanere lontano dal fronte, Owen volle tornare a combattere. Forse per lealtà verso i suoi uomini, forse perché sentiva di non poter scrivere della guerra senza condividerne il destino. Morì il 4 novembre 1918, colpito mentre attraversava un canale sotto il fuoco nemico. L’armistizio sarebbe arrivato esattamente una settimana dopo.
Oggi il suo nome sopravvive come quello di testimone imprescindibile, una voce che grida ancora contro la follia della guerra. Le sue poesie non appartengono solo al passato, perché ogni guerra, ancora oggi, nasce e si nutre della stessa menzogna che Owen smascherò con le sue parole. Leggerlo significa non dimenticare, significa rifiutare l’idea che il sacrificio di vite umane possa essere celebrato con pompose frasi di gloria.
Wilfred Owen non scrisse per diventare immortale, ma perché nessuno dovesse più morire in nome di un ideale vuoto. Eppure è proprio attraverso i suoi versi che la memoria degli innocenti perdura, ammonendo il mondo a non ripetere gli stessi errori. Morì in guerra, ma le sue parole sopravvivono al fragore delle bombe. E ancora oggi sussurrano un monito implacabile: la gloria è un’ombra, la guerra un inganno, e l’unico vero eroismo è non averne bisogno.
Di Wilfred Owen su Inkroci:
Inno per la gioventù condannata
Dulce et Decorum Est