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Che diritti ha la poesia?

Immagine: ThoughtCatalog

In campo legale, la poesia ha tutta una serie di diritti codificati dal diritto d’autore Ma possiede anche una serie di diritti che le derivano dalla sua natura artistica, creativa e culturale. Questi diritti non sono codificati come leggi, ma riflettono piuttosto l’importanza della poesia all’interno della letteratura. Abbiamo quindi voluto stilare un breviario in otto punti per sottolineare quelli che riteniamo essenziali, sia dal punto di vista dei lettori che da quelli dei poeti.

  1. Diritto all’interpretazione personale – La poesia è spesso aperta a molteplici interpretazioni. Come ogni poeta possiede il diritto di esprimersi liberamente, così ogni lettore ha quello di interpretare una poesia in base alle proprie esperienze, emozioni e prospettive personali. Questo diritto all’interpretazione consente alla poesia di essere significativa e rilevante per una vasta gamma di lettori.
  2. Diritto all’ambiguità – Molte poesie propongono domande senza risposte definitive, creando un senso di ambiguità. Questo diritto le consente di sfidare i confini della comprensione e di lasciare spazio a molteplici livelli di significato.
  3. Diritto alla sperimentazione linguistica – La poesia ha la libertà di giocare con la forma e il suono delle parole. Questo permette agli autori di sperimentare con la lingua, creando giochi di parole, ritmi e suoni unici che vanno oltre le regole grammaticali tradizionali.
  4. Diritto all’emozione e all’ispirazione – La poesia ha il potere di evocare emozioni profonde e ispirare riflessioni interiori. Questo diritto le consente di affrontare temi emotivi e universali, fornendo un mezzo per esprimere e condividere sentimenti complessi.
  5. Diritto alla critica sociale e politica – Molte poesie affrontano questioni sociali e politiche, offrendo una piattaforma per l’esplorazione critica della realtà. Questo diritto consente alla poesia di agire come voce per il cambiamento e la consapevolezza sociale.
  6. Diritto all’innovazione e alla sperimentazione – La poesia ha il diritto di rompere con le convenzioni letterarie tradizionali e di cercare nuove forme espressive. Questo le permette di adattarsi ai cambiamenti culturali e tecnologici, rimanendo una forma d’arte vitale.
  7. Diritto alla memoria e all’eredità culturale – La poesia è un modo di catturare momenti, emozioni e storie nel tempo, il che le consente di preservare la memoria e di contribuire alla ricchezza dell’eredità culturale.
  8. Diritto alla bellezza e all’estetica – La poesia ha il diritto di celebrare la bellezza delle parole e delle immagini, creando opere che ispirino un apprezzamento estetico.

Questi diritti contribuiscono a rendere la poesia una forma d’arte unica e preziosa che può connettersi profondamente con gli individui, la cultura e la letteratura. Non ce ne vogliano quindi i lettori che non sanno diguazzare con l’ambiguità, che detestano i doppi sensi e i giochi di parole, che non contemplano l’evoluzione di questo genere letterario, che non reggono l’emotività o che ritengono fuori luogo che la poesia si occupi del campo politico o di quello sociale, e così via: partono da pregiudizi tanto ritriti quanto fatui per non dover compiere la fatica di affrontare un linguaggio che è sì complesso, ma non complicato, e che li obbligherebbe a compiere la fatica del pensiero.

Noi siamo piuttosto sospettosi nei confronti dell’estetica superficiale e della poesia autoreferenziale, preferendo opere che affrontino temi universali. Non che i vari generi di poesia non possano o non debbano coesistere, o che la forma non voglia la sua parte – anzi, è indispensabile -, ma crediamo importante anche la sfida di conciliare l’arte con la politica e la società. L’alienazione e la superficialità presenti nella cultura di massa sono dovuti in parte al disimpegno e alla superficialità, ma anche a una direzione ben precisa indotta da chi detiene il potere, una strada che impone di adeguarsi allo zoppo, zoppicando con lui, invece di imparare a camminare: ecco dunque l’importanza di un impegno critico e intellettuale per comprendere il mondo circostante e cantarlo in poesia.

Non dimentichiamo però l’importanza della memoria e della tradizione letteraria: siamo circondati da improvvisati che la poesia non sanno nemmeno che cosa sia, ma che si pretendono poeti e scambiano prose più o meno infarcite di aulicismi scansiti da degli a-capo con la poesia vera e propria. Sarebbe bene, invece, che gli aspiranti poeti conoscessero i classici, pur scrivendo in versi liberi o sciolti: la poesia, come tutte le forme d’arte, dev’essere collegata al grande magma di cui è semplicemente l’istmo più recente, al calderone culturale che ha forgiato il presente; una solida base di cultura letteraria è dunque indispensabile.

Da qualche tempo ci stiamo occupando di poesia in maniera maggioritaria rispetto al passato. E anche in questo numero di Inkroci troverete pane per i vostri denti. Magari vi verrà anche la curiosità di collocare ciò che leggerete in una o più delle otto voci elencate sopra, sbizzarrendovi nello stabilire quanto quelle categorie siano o meno efficaci a identificare il materiale poetico sotto i vostri occhi. Siamo sicuri che questo vi porterà a riflettere su ciò che avete letto in maniera più attenta.

Non ci resta dunque che augurarvi buona lettura,

la redazione

Il nuovo? Non è così importante

Immagine di Oberholster Venita (ArtsyBee)

L’estate è una stagione magica, un periodo in cui il sole splende radiante nel cielo, le giornate si allungano e il ritmo frenetico della vita quotidiana sembra rallentare. È anche un momento in cui spesso ci assale un senso di colpa, quella sensazione sottile che ci suggerisce che dovremmo utilizzare questi mesi estivi per recuperare tutto ciò che ci siamo persi durante l’anno: i libri che non abbiamo letto, i film che non abbiamo visto, le canzoni che non abbiamo ascoltato. La paura di rimanere indietro rispetto alle ultime novità culturali sembra spingerci a intraprendere una frenetica corsa contro il tempo. Ma forse, in questa ricerca del nuovo a tutti i costi, ci stiamo allontanando da una fonte essenziale di felicità: l’indifferenza verso il nuovo e la riscoperta dei classici.

L’era digitale in cui viviamo ci ha messo a disposizione un’abbondanza di contenuti e informazioni come mai prima d’ora. I social media, i servizi di streaming e le piattaforme online ci bombardano costantemente con una miriade di nuovi libri, film, serie TV, album musicali e molto altro ancora. È facile sentirsi sopraffatti da questa valanga di novità e credere che, per essere culturalmente rilevanti, dobbiamo stare al passo con tutto ciò che è appena uscito. Tuttavia, in questa corsa verso il nuovo, rischiamo di trascurare un aspetto fondamentale della nostra identità culturale: la memoria letteraria.

La memoria letteraria non riguarda solo la conoscenza dei grandi classici della letteratura, ma anche la capacità di apprezzare la bellezza intramontabile delle opere che hanno resistito alla prova del tempo. Questi capolavori, che hanno catturato l’essenza dell’umana esperienza in ogni epoca, ci offrono una finestra privilegiata sul passato e ci collegano a una tradizione culturale più ampia. Attraverso i classici, possiamo (ri)scoprire la profondità delle emozioni umane, le sfide universali e le riflessioni che hanno affascinato generazioni passate.

L’indifferenza verso il nuovo non significa ignorare completamente ciò che accade nel mondo culturale contemporaneo, ma piuttosto concedersi il permesso di non seguire ciecamente ogni tendenza effimera. È un invito a ritornare ai “fondamentali”, a immergersi nelle pagine di un romanzo che ha attraversato i secoli anziché affrettarsi a leggere l’ultimo bestseller. È un invito a riscoprire i film che hanno influenzato generazioni piuttosto che cercare disperatamente di vedere tutto ciò che è uscito quest’anno. È un invito a immergersi nella bellezza senza tempo della musica classica o del rock che ha plasmato la musica recente, anziché correre dietro alle ultime hit.
L’importanza della riscoperta dei classici risiede anche nella profondità dell’esperienza che ci offrono. I classici non sono solo intrattenimento; sono l’incarnazione di pensieri profondi, analisi della natura umana e riflessioni sulla società. Ci invitano a fermarci, a pensare, a discutere e a riconsiderare le nostre prospettive. Questo processo d’immedesimazione e riflessione è un antidoto contro la superficialità della cultura moderna, in cui spesso ci lasciamo trasportare da sensazioni effimere senza affondare mai veramente nelle profondità dell’arte e del pensiero.

L’estate, dunque, può essere un momento perfetto per riflettere sulla bellezza e l’importanza della memoria, che ci permette di cogliere riferimenti anche nel nuovo che altrimenti avremmo ignorato, scambiando spesso per inedito ciò che invece è solo fotocopia di qualcos’altro venuto prima. Perché ogni piccolo prodotto culturale è un elemento del grande contenitore che è la nostra storia culturale.
Così, per quest’estate e oltre, possiamo trovare gioia nel passato tanto quanto nel presente, celebrando anche i classici e arricchendo così la nostra cultura e la nostra prospettiva sui prodotti più recenti.

Una rivista bilingue

Cari lettori,

nel darvi il benvenuto al nostro numero 5, cercherò di raccontarvi le ragioni di una scelta che ha reso Inkroci una rivista bilingue, cogliendo anche l’occasione per riflettere sul senso di quello che facciamo. Come tutti gli argomenti di un certo interesse, il tema si presenta complesso e può essere utile provare ad affrontarlo attraverso spunti di riflessione e sguardi differenti.
Una considerazione spontanea riguarda il legame strettissimo fra la lingua e la cultura. Secondo la definizione data da UNESCO (1970), a cui la nostra rivista si ispira, la cultura è un processo di comunicazione tra gli uomini, che esistono in quanto sono in relazione con gli altri. Osservando che l’inglese è ormai diventato una lingua franca per la comunicazione internazionale, siamo convinti che il suo uso ci permetta di raggiungere un numero maggiore di lettori e quindi ci dia la possibilità di agire con maggiore intensità e compiutezza la pratica della cultura.
Per tendere a questo obiettivo, non sarebbe bastato che la rivista uscisse solo in inglese?
Rispondiamo con le parole di Nelson Mandela: «parlare a qualcuno in una lingua che comprende consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre significa raggiungere il suo cuore». Inkroci si muove in campo letterario, con l’ambizione di costruire dialoghi, di condividere la rappresentazione di esperienze, di ampliare l’intersoggettività e di fare sperimentazioni sull’uso della parola. Poiché fra pensiero e linguaggio esiste un rapporto bidirezionale, riteniamo che promuovere la scrittura nella lingua dei nostri pensieri e delle nostre emozioni sostenga la qualità e la pregnanza dei nostri testi.
Inkroci non è insensibile alle sfide poste dall’internazionalizzazione, auspicata in molti ambiti dell’educazione e della ricerca, ma preferiamo attribuire a questo concetto il significato di multilinguismo e diversità culturale, declinandolo nello spazio che Inkroci dedica a una rubrica intitolata Letterature dal mondo, in cui si possono trovare anche pezzi in lingue diverse.
Questa scelta implica, di conseguenza, che Inkroci si cimenti con l’impegno di tradurre i propri testi dall’inglese o in inglese. Identificando la qualità della scrittura con la sintesi e l’asciuttezza, personalmente trovo grande soddisfazione nell’avvicinarmi alla lingua inglese. Per tradurre letteratura occorre essere appassionati. Come sappiamo, il termine passione ha in sé l’idea di patire. Ricordo lo studio dell’inglese alla scuola elementare come un’esperienza di estrema fatica. Forse proprio la fatica nel comprendere si è poi trasformata nel suo opposto, nel desiderio di chiarificare e rendere accessibile, a me stessa prima che agli altri, quindi nell’amore per la traduzione che in fondo è un amore per la parola, condiviso con tutto il gruppo di Inkroci.
La traduzione è una forma di conoscenza, un atto comunicativo e il luogo di un incontro dove si dissolvono le distanze nello spazio e nel tempo, dove si compiono la scoperta dell’altro e la coscienza di sé, rintracciando i fili della propria identità. Secondo Italo Calvino «tradurre è il vero modo di leggere un libro».
Naturalmente una lingua non è fatta solo di parole e l’atto del tradurre, come sostiene Umberto Eco, non è unicamente trasposizione da una cultura a un’altra, ma anche adattamento di contenuti preesistenti a contesti cambiati o mai esistiti prima. Questo è lo spazio della sfida, della bellezza e della libertà, un atto forzosamente imperfetto (http://cartaecalamaio.com/2012/07/09/lannosa-questione-del-tradurre-e-tradire/). In questo spazio trovano gratificazione il lavoro di cesello, l’attenzione al dettaglio, alla virgola, alla sfumatura, nella convinzione che forma e sostanza siano due polarità che richiedono di stare in perfetto equilibrio.
Milan Kundera, che ha sempre rivisto e corretto le traduzioni dei suoi libri con un accanimento ossessivo, ha scritto: «Si dice: la traduzione è come la donna: o è fedele o è bella. È l’adagio più stupido che conosca. Infatti, la traduzione è bella se è fedele».

Per concludere, mi piace citare un’intervista (sul nostro n. 2) in cui Erri De Luca descrive come l’esercizio di precisione, spinto da un sentimento di ammirazione per l’altra lingua, permetta di radicarsi nel proprio vocabolario: «Quando qualcuno mi chiede come si fa a diventare scrittore, io rispondo tranquillamente: diventando prima traduttori».

Anna Anzani

Calcio, bellezza e felicità

Cari lettori,

Forse qualcuno si stupirà apprendendo che questo numero di Inkroci è dedicato al calcio. Non è stata un’impresa facile convincere tutta la redazione ad accettare un argomento che la maggior parte di essa guardava con disinteresse, sospetto o pura e semplice incompetenza.

Tuttavia, chi oggi vi scrive ha saputo mettere in atto un’accorta tattica di persuasione. Calcisticamente parlando, la definirebbe una fulminea azione di contropiede o, se volesse usare un’espressione più moderna, una perfetta ripartenza. Per spiegarvi com’è andata a finire la questione (anzi, la partita), lasciate però che il vostro cronista continui a usare il gergo in cui fece le sue prime esperienze di lettore.

Davanti a chi, al solo sentir nominare il calcio, gli parlava in redazione della violenza dei tifosi, dello spreco inutile di denaro, dell’inclinazione verso il razzismo, l’omofobia e la corruzione di alcuni suoi esponenti, e persino del periodo negativo in cui versa la Nazionale italiana; davanti a tutto ciò, senza negare ma impercettibilmente sminuendo ogni argomento contrario, egli ha improvvisamente iniziato a citare libri e film.

Ha rapidamente ricordato la Storia critica del calcio italiano di Gianni Brera, scrittore sapido e coltissimo, che teorizza il calcio non già come un gioco, ma come l’immagine viva e autentica dello spirito del popolo da cui esso trae origine. E poi l’etologo inglese Desmond Morris, che in La tribù del calcio dà di questo sport (e della sua presunta carica di violenza) un’interpretazione sociologica, rappresentandolo come un nuovo tipo di caccia rituale, in cui il goal è la preda da catturare e il pallone l’arma per colpirla. E infine Nick Hornby e il suo romanzo autobiografico (e poi film) Febbre a 90°, ove si svela la natura della passione dei tifosi e si spiega che, per chi ama il calcio attraverso la propria squadra, esso non potrà mai, assolutamente mai, essere “solo un gioco”, ma piuttosto una posizione esistenziale o, ancor più giustamente, un destino.

Davanti all’improvviso sbandamento degli avversari, che certo non si attendevano questo dribbling, chi oggi vi scrive ha poi proseguito l’incontro definendo il calcio come fautore di bellezza, e ha infine chiuso citandolo come uno dei maggiori produttori di felicità. Per fare ciò ha chiamato a testimone Umberto Saba, il grande poeta di Trieste e della Triestina. Saba fu fra i pochissimi a intuire il segreto del calcio, il suo duplice dono di bellezza e di felicità, quella miscela preziosissima di intenso e di effimero che da esso scaturisce e che, per brevi istanti, può lenire le amarezze della vita:

Pochi momenti come questi belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
(da Goal)

Voi sapete per esperienza, cari lettori, che quando si parla di libri e di film alla redazione di Inkroci, il vantaggio è assicurato. E sapete anche che, quando il discorso tocca la bellezza e la felicità, il vantaggio si traduce nella vittoria più schiacciante. Non ci sono che la bellezza e la felicità per vincere la partita, nella redazione di Inkroci. E la partita è stata puntualmente vinta! Ecco perché il calcio si è conquistato un posto sulla nostra rivista.

In questo numero di Inkroci, come si conviene d’estate, tratteremo di calcio con leggerezza. Di volta in volta compariranno pezzi allegri, nostalgici, un po’ comici e un po’ commossi. Parleremo di grandi e piccole partite, di onesti calciatori e di campioni. Ma soprattutto parleremo dei tifosi, non teppisti ma uomini, delle loro avventure e della loro sofferta ricerca della felicità.

Buone letture!

Cultura senza contesto

Consultando il catalogo della maggioranza delle case editrici italiane ci si rende conto che, in elenco, gli scrittori nostrani sono una minoranza. È vero che l’Italia, territorialmente piccola, è una minoranza anche geografica  ma è altrettanto vero che in ogni Paese del mondo si tende a dare ampio spazio agli autori nazionali: l’Italia, in questo senso, è in controtendenza.
Scelte editoriali imposte dall’alto? Non solo. A mio avviso, si tratta di una conformazione propria della cultura italiana: una cultura che soffre, ormai da molto tempo, di esterofilia; peggio, di una dipendenza (anche storica) dalla cultura statunitense.
In particolare, nell’ultimo ventennio l’Italia ha subito anche le conseguenze di una politica liberista che affonda le proprie radici negli anni Ottanta e nella cultura che quel periodo ha generato. Vorrei quindi soffermarmi sul concetto di “cultura”.
Il vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli ne dà innanzitutto la seguente definizione: “Complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento e sim., trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico di un dato gruppo sociale, di un popolo, di un gruppo di popoli o dell’intera umanità”.  La letteratura, quindi, non germina da sé stessa, ma è figlia dell’humus culturale in cui anche lo scrittore (che è prima di tutto un lettore, un fruitore) cresce e sviluppa il proprio pensiero.
I vocabolari stessi mutano le definizioni associate ai lemmi riportati a seconda del periodo storico e culturale che si sta attraversando, adattandosi così alla norma prevalente in quel momento. E sotto “letteratura”, adesso, troviamo questa descrizione: “Attività indirizzata alla produzione sistematica di testi scritti con finalità prevalentemente estetica e nei quali spesso l’invenzione predomina sulla descrizione della realtà” (ibidem).
Ci accorgiamo subito che questa formula si attaglia perfettamente alla letteratura italiana moderna. Sembra di leggere una descrizione sommaria ma precisa della maggioranza dei romanzi prodotti dagli autori italiani più popolari. Per questi scrittori la finalità è esclusivamente estetica e di pura invenzione, e le loro opere sono prive di contenuto, di un tema individuabile e di descrizioni della realtà viva nella quale lo scrittore dovrebbe essere immerso (non è un caso che buona parte della produzione sia dedicata a feuilleton pseudo-storici). Autori che non ci dicono nulla del nostro tempo, del tempo in cui vive il narratore, né della nostra storia, se non “l’estetica della parola vuota” (L. Gregori).
Dato che il nostro campo d’indagine è la letteratura degli anni in cui viviamo, vorrei ritornare proprio a questo. Scopro però, cercando le definizioni che mi servono, che queste, invece di restringere il campo d’indagine, lo allargano. Lo Zingarelli, infatti, dà di “romanzo”, oltre alle accezioni relative al mondo classico e a quello medievale, quella relativa al mondo moderno: “ampio componimento narrativo, fondato su elementi fantastici o avventurosi, su grandi temi sociali o ideologici, sullo studio dei costumi, dei caratteri o dei sentimenti”.
Balza all’occhio come la descrizione di “romanzo” sia ampiamente in antitesi con quella di “letteratura”. Improvvisamente si parla anche di temi sociali e ideologici, di costumi, caratteri e sentimenti (quindi di realtà), che non facevano neppure capolino nella definizione di “letteratura”; si parla, in senso ristretto, anche di “cultura”.
A questo punto sorge spontaneo un dubbio: ma dunque il romanzo non fa parte della letteratura quando tratta i temi succitati? O semplicemente il vocabolario, registrando i mutamenti epocali, aggiorna la definizione di letteratura ma deve necessariamente riportare quella storica di romanzo, indipendentemente dalla sua aderenza alla produzione attuale?
Un’altra domanda importante che dobbiamo porci è: chi scrive letteratura?
Tralasciando la risposta più lapalissiana – gli scrittori –, potrebbe venir spontaneo rispondere: gli intellettuali. Controlliamo dunque la definizione di “intellettuale”: “Chi si dedica prevalentemente ad attività connesse con il sapere ed il pensiero, ha vasti interessi culturali, produce opere di tipo letterario, artistico, scientifico e sim.” (ibidem). E, tra le definizioni di “cultura” troviamo, come seconda, la seguente: “Patrimonio di conoscenze di chi è colto” (ibidem).
Quindi la figura dell’intellettuale è legata alla cultura, e l’intellettuale, grazie alla propria cultura (sapere, pensiero), può produrre opere di tipo letterario. Ma se “proprio della cultura è suscitare nuove idee e bisogni meno materiali, formare una classe di cittadini più educata e civile” (De Sanctis), a che cosa ci troviamo di fronte quando pensiamo a esponenti letterari che producono solo vuoti di senso, pur atteggiandosi a intellettuali e pur essendo dotati di una buona erudizione?
Mi limito a sottolineare come le opere di questi scrittori dei nostri tempi, figli della cultura che ci ha soggiogati nell’ultimo ventennio, non suscitino nuove idee e bisogni immateriali, non contribuiscano a formare cittadini più civili, non esprimano pensieri e sapere, non stimolino interessi culturali. Perché, dunque, un tale successo? E un tale tipo di scrittore può correttamente autoproclamarsi intellettuale? Produce veramente letteratura?
Dunque, perché non ci sono che pochi scrittori italiani pubblicati? Per provare a rispondere a questa e ad altre domande su questa latitanza occorre, secondo me, prendere in considerazione la civiltà in cui lo scrittore nasce, cresce e si esprime poiché lo scrittore, come qualsiasi altro componente la società, ne è un prodotto. E occorrerebbe quindi analizzare la questione anche da un punto di vista sociologico, psicologico, antropologico e, soprattutto, politico ed economico. Il che, francamente, va al di là delle mie possibilità.
Una risposta parziale, a mio modo di vedere, si trova, in nuce, in una frase di Claudio Magris: “la vera letteratura non è quella che lusinga il lettore, confermandolo nei suoi pregiudizi e nelle sue insicurezze, bensì quella che lo incalza e lo pone in difficoltà, che lo costringe a rifare i conti col suo mondo e con le sue certezze”.
La frase citata, però, apre a sua volta una riflessione sulla società in cui viviamo, e più marcatamente su quella italiana: una società che cerca in ogni modo di evitare ai suoi componenti di dover fare i conti con il proprio mondo e con le proprie false certezze.

Heiko H. Caimi

La morte del romanzo; o la morte della realtà?

Riflettevo su un post che ho letto qualche giorno fa su facebook. Tema trito e ritrito sulla morte del romanzo e che questo non rappresenterebbe più il linguaggio attraverso cui comunicare il nostro tempo. Si citano al solito gli stessi scrittori, Joyce in primis: dopo di lui – a suffragio di questa tesi – non esisterebbe più nulla. Ci sono altri lignaggi espressivi quindi cui soccombere, che riuscirebbero a rappresentare l’epoca che viviamo.

Questa storia del romanzo morto la conosco da una vita, e un po’  la sostenevo pure io, soprattutto durante il periodo del master, quando la mia arroganza sfilava sotto i portici bolognesi rumoreggiando la sua pretenziosa verità.

Sbaglierò ma mi sembra un ragionamento piuttosto pretestuoso, che coinvolge pochi eletti, per lo più annoiati, inclini a mantenere le distanze con la guarnigione di lettori che nel romanzo trovano ancora il luogo migliore ove custodire una storia.

Romanzo morto è argomento da salotto, di un salotto liberale e conservatore.

Alessandro Magno si addormentava con il testo dell’Iliade e sognava epiche imprese come il suo idolo Achille, Don Chisciotte faceva lo stesso con i suoi romanzi cavallereschi e milioni di altre persone sognano grazie a questi blocchi di carta.

Piuttosto, penso, prima di parlare di morte del romanzo, bisognerebbe immunizzare la popolazione, a cominciare dalla nostra, attraverso la lettura; perché passare ad altri linguaggi, ipoteticamente più adatti a rappresentare la realtà, bypassando quello primordiale, nonché mitico, si finisce a far la sponda a istituzioni come la chiesa, che per secoli ci ha raccontato la parola di Dio in latino.

Identità

Nella convinzione che la nostra identità sia aperta e interculturale e che la cultura sia comunicazione, scambio reciproco fra differenti forme, visioni e generi artistici, Inkroci, dopo un anno di vita, ha l’onore e il piacere di dedicare questo numero speciale a dare il benvenuto agli autori dell’Irish Writers’ Centre.

Il nostro amore per l’Irlanda e per la letteratura irlandese non sorprenderà i nostri lettori, che sicuramente ricorderanno la pubblicazione, in precedenti numeri della rivista, di un’intervista di Michele Curatolo a Catherine Dunne, di un racconto di Seumas O’Kelly, delle recensioni della sua raccolta di racconti Lungo le strade tradotta da Anna Anzani oltre che di due romanzi di Liam O’Flaherty, L’anima nera e Il traditore.

Una felice coincidenza ha voluto che il nostro primo contatto con IWC risalisse al 2010, anno in cui Dublino venne nominata Città UNESCO della Letteratura, come riconoscimento del suo alto profilo culturale e della sua reputazione internazionale come città dell’eccellenza letteraria. L’occasione fu la presentazione da parte di Catherine Dunne del suo romanzo Missing Julia (Tutto per amore). Nel 2011, ancora su invito della nostra amica Federica Sgaggio, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare alla prima fase dell’Italo-Irish Literature Exchange, creato dalla collaborazione fra Catherine e Federica e attualmente gestito dall’Irish Writers’ Centre a dal suo omologo italiano, ònoma.

Quattro anni fa Inkroci era solo un’idea o, piuttosto, un sogno. Il nostro soggiorno a Dublino, e l’entusiasmo cordiale e gentile che abbiamo ricevuto all’IWC, hanno contribuito a farci credere che il sogno potesse realizzarsi. Ora Inkroci è una realtà piccola ma brillante: da marzo 2013 abbiamo infatti pubblicato sei numeri on-line della nostra rivista bilingue. Grazie all’IWC, ora abbiamo la possibilità di accrescere la qualità del nostro progetto.

Per evidenziare l’inizio della nostra collaborazione con l’IWC, nel numero 7 di Inkroci pubblichiamo racconti e poesie di sette autori irlandesi che l’IWC ha selezionato perché prendano parte alla prossima edizione di IILE, che si terrà in Italia (http://italoirish2014.blogspot.it/) nel prossimo giugno. La storia e il contesto di IILE e gli autori di quest’anno vengono presentati dalla Direttrice dell’Irish Writers’ Centre, Valerie Bistany, che ha stretti legami con l’Italia e che, con estrema gentilezza, ha sostenuto la nostra interazione. A partire dal prossimo numero, l’IWC curerà una nuova rubrica totalmente dedicata alla Letteratura irlandese, dal titolo Words from Ireland. Abbiamo inoltre in programma di dedicare a Words from Ireland un numero speciale l’anno prossimo.

Per dare ai nostri lettori l’opportunità di apprezzare compiutamente i contributi irlandesi, in questo numero le sezioni italiane sono state ridotte. Tuttavia, avendo recentemente celebrato il 25 Aprile e il 1° Maggio, abbiamo deciso di pubblicare la prima parte di una lunga intervista all’attore e drammaturgo italiano Moni Ovadia che, fra gli altri temi, affronta il significato di questi due eventi. Nonostante la mancanza di impegno politico e sociale che il nostro Paese sta sperimentando negli anni più recenti, noi li consideriamo ancora essenziali per la nostra idea di libertà e per la nostra visione della vita.

In questo numero inauguriamo anche un’altra nuova rubrica dedicata alla letteratura classica. Per questa particolare occasione proponiamo un altro racconto di Seumas O’Kelly.
Grazie perché ci seguite. Buona lettura.

Anna Anzani
Michele Curatolo

Editoriale

Cari lettori,

eccoci al numero di apertura del nuovo anno che ci auguriamo sia fecondo per tutti voi e per la rivista.
Nel 2015 ricorre un anniversario fondamentale per il mondo: è il settantesimo della fine della seconda guerra mondiale e, per l’Italia, è il settantesimo della liberazione dal regime fascista. Un’occasione che Inkroci intende ricordare e celebrare nel corso delle prossime pubblicazioni con diversi articoli a tema così come ha fatto, durante lo scorso 2014, per il centenario della Grande Guerra.
Ma in questo Editoriale vogliamo cogliere l’occasione per ricordare gli avvenimenti più importanti dell’anno appena terminato e per ringraziare sia chi ci ha seguito e apprezzato, sia chi ha dato il proprio contributo con passione e competenza.
Facendo seguito al suo primo evento pubblico, documentato nel bel video di Enola Brain:  https://www.youtube.com/watch?v=VCwKb0RwnzI), Inkroci ha organizzato altre iniziative ampliando la sua rete di contatti.
In marzo, in collaborazione con l’associazione culturale Don Chisciotte e con la casa editrice abrigliasciolta, presso la Sala Consiliare di Roncadelle (Bs), si è tenuto un incontro con Robert Viscusi, l’autore del poema del cambiamento Ellis Island e il traspositore Sandro Sardella.
Attraverso la nostra associazione culturale di promozione sociale Magnolia Italia http://www.magnoliaitalia.com/arte_cultura/), Inkroci è entrata a far parte della rete di associazioni che fanno capo alla Casa delle Associazioni e del Volontariato del Comune di Milano, in via Marsala: una risorsa preziosa di cui avvalerci per creare occasioni di incontro, di collaborazione e di pratica della cultura.
Inkroci è entrata anche nel Forum della Città Mondo del Comune di Milano, attraverso il quale ha avuto l’opportunità di partecipare a Bookcity Milano nell’ambito degli Scritti dalla Città Mondo; il 14 novembre 2014, nel prestigioso contesto della Palazzina Liberty, si è svolto World Crossinks – Inkroci col mondo: una riflessione sulla figura del migrante, il viaggiatore dell’anima, con la lettura di brani che esprimono il “tentativo di riappropriarsi delle cose, del linguaggio, di una realtà che sono quelli dell’“altro”, per dimostrare che la morale e l’esistenza sono esperienze interne a una cultura e sono mutevoli, piuttosto che esterne e assolute” (Anna Ettore). Ringraziamo la lettrice Camilla Zurru e il maestro Claudio Ballabio che l’ha accompagnata alla chitarra.
Claudio ha partecipato anche alla festa organizzata da Inkroci il 5 dicembre scorso in collaborazione con il circolo ARCI Caffè Letterario Primo Piano di Brescia, dove erano in mostra opere di Fausto Capitanio, Sam Franza e Pierfrancesco Sarzi Braga. Qui, insieme a Giacomo Campiglio (alla chitarra elettrica) e a Carmelo Buccafusca (al pianoforte), ha accompagnato le letture interpretate da Luca Bassi Andreasi, Manuela Mantoan, Stefania Mariotto e Biagio Vinella. La serata, molto partecipata, ha visto la presenza degli scrittori Silvia Accorrà e Giuseppe Ciarallo e, ancora una volta, ci ha dato la possibilità di sperimentare come l’interazione fra parole, immagini e musica riesca a creare momenti di forte intensità e bellezza. Sul canale youtube di Inkroci https://www.youtube.com/user/InkrociMagazine), dove è già possibile visualizzare alcuni video di presentazione della rivista, si darà conto di questi e di altri eventi.
Da ultimo, non certo per importanza, siamo molto onorati di ricordare che, a partire dal numero 7, Inkroci collabora con l’Irish Writer Center di Dublino, città UNESCO della Letteratura nel 2010, grazie al quale abbiamo la possibilità di accrescere la qualità del nostro progetto. IWC cura infatti una rubrica totalmente dedicata alla Letteratura irlandese, dal titolo Words from Ireland. È per festeggiare questa collaborazione e per ringraziare IWC e la sua direttrice Valerie Bistany per il suo appoggio e la sua amicizia che abbiamo deciso di dedicare questo numero interamente alla letteratura irlandese. Ringraziamo inoltre Martin Doyle, per averci dato il permesso di pubblicare una sua intervista a Lia Mills apparsa sull’Irish Times, e anche Lia Mills, Niamh MacAlister e William Wall, i cui pezzi ci hanno consentito di costruire questo numero.
Concludiamo cogliendo l’occasione per ricordare come Inkroci sia una rivista indipendente basata sull’attività volontaria dei membri della redazione e dei suoi collaboratori e per invitare quindi i nostri lettori ad aiutare Inkroci a esistere, sia leggendoci e cliccandoci, sia anche attraverso donazioni grandi o piccole, necessarie per coprire le spese di gestione del sito e della pubblicazione della rivista.
Grazie perché ci seguite. Buon 2015 e buona lettura.

Editoriale

Cari lettori,

benvenuti al nostro terzo numero. Siamo felici che l’elenco di persone ringraziate pubblicamente nell’editoriale n. 2 si sia allungato per il contributo di professionisti che, con entusiasmo e competenza, stanno collaborando all’uscita di questa rivista. Senza riuscire a nominare tutti, esprimiamo estrema gratitudine a chi ci sta sostenendo, permettendoci di crescere e di arricchirci di nuovi contenuti.

Inkroci è nata dall’incontro fra persone che condividono la passione per la lettura, il desiderio di raccontare, la voglia di fare cultura, cioè di creare occasioni per entrare in relazione con la comunità sociale, ricercando trasversalità fra diverse forme, visioni e generi artistici. Questo è anche il progetto narrativo che guida l’articolazione delle nostre rubriche.
La scrittura si sviluppa innanzitutto con la sezione “Racconti”, nucleo essenziale del nostro periodico. Crediamo nell’opportunità di riscoprire questa forma letteraria, meno frequentata in Italia che altrove: in ogni numero pubblichiamo cinque racconti, di cui uno lungo, con un occhio di riguardo a esordienti d’eccezione e a opere di autori stranieri, poco note in Italia. Non ci poniamo limiti di genere, ma soltanto di qualità.

La sezione “Interviste” è uno spazio dove conoscere chi ha fatto della letteratura il fulcro della propria vita e del proprio lavoro, qualunque sia la forma artistica che ha scelto. In un incontro dal vivo con l’autore o attraverso le sue opere, come nelle “Interviste impossibili” che inauguriamo in questo numero, concretizziamo il piacere della conoscenza e dello scambio, la curiosità e la scoperta di pensieri vicini o distanti.

La scrittura continua il suo viaggio e diventa analisi, riflessione, confronto e speranza in “Letterature”.
La rubrica “Letterature dal mondo”, curata da Anna Ettore, porta i risultati di una ricerca volta a esplorare narrazioni poco note o dimenticate, dando spazio e proponendo un avvicinamento a opere e autori che spesso da noi sono immeritatamente considerati gli ultimi.
Con “Parole di celluloide” abbiamo scelto di affrontare il connubio artistico riuscito fra un’opera letteraria e il film che ne è stato tratto: una storia che ne genera un’altra, una forma che ne assume un’altra.

“Sogni di carta”, spazio curato da Heiko H. Caimi, riguarda l’esperienza intima dell’incontro con la lettura o con la scrittura, attraverso lo sguardo in soggettiva dei singoli autori: un mondo interiore di sentimenti, domande e desideri intorno al senso di una passione.

“Il pensiero verticale” è una nuova rubrica curata da Sara Di Girolamo che presenta libri e video rilevanti di genere esoterico o, in senso più ampio, titoli per la mente, il corpo e lo spirito.

Le “Recensioni” sono un classico dei periodici di cultura e, naturalmente, non volevamo farcele mancare. Nello spirito che anima la rivista abbiamo scelto di introdurre una rassegna che contempli la maggioranza delle arti della narrazione, cioè libri, cinema e musica.
Nella sezione di apertura “Attenti al libro!” analizziamo ogni volta quattro differenti libri che riteniamo, di spicco. Sono i nostri “consigli o sconsigli per l’acquisto”.

Proseguiamo con “Making movies”, spazio dedicato a film più o meno noti e che riteniamo valga la pena di recuperare e (ri)vedere. Nel “Frullacinema”, rubrica curata da Gino Udina, indichiamo invece due pellicole appena uscite (o di prossima uscita) in formato DVD.

“Formidabili, quei dischi!” tocca il campo della musica, alla ricerca di quei dischi fondamentali e storici che hanno e che, ancora oggi, rappresentano a nostro parere una grandiosa esperienza dell’ascolto.
Infine, le dieci “Recensioni bonsai” commentano in breve libri vecchi e nuovi, perché riteniamo che di libri non si dialoghi mai abbastanza e che, nella congerie di pubblicazioni disponibili sul mercato, sia importante offrire ai nostri lettori, i primi dei quali siamo noi stessi, la possibilità di riflettere su un panorama che cerchiamo di rendere il più articolato possibile.

Ma poiché la narrazione si concretizza anche in forma non scritta, Inkroci ha scelto di esprimersi anche attraverso le immagini. Con le illustrazioni di Samantha Franza e degli altri autori e con le opere dei nostri fotografi nella sezione “Fotografarte” offriamo prospettive diverse per incontrare il mondo e i mondi, attraverso le voci dell’arte per vivere, vedere e sentire la cultura con lo sguardo più aperto e dialogante possibile.
Dulcis in fundo, per varcare le frontiere, la nostra rivista esce anche in inglese. Ma questa è una storia che vi racconteremo un’altra volta.

Buona lettura

la Redazione

Afric McGlinchey – Il dovere di una giuria letteraria: perché la recensione è importante.

Afric McGlinchey

Immagino che molti recensori siano essi stessi poeti. Molti di noi conoscono la sensazione di cuore in gola nell’attesa del verdetto del critico, quello che potrebbe influenzare le percezioni del nostro lavoro. E siamo iperconsapevoli del fatto che è un risultato assolutamente da pubblicare; che la maggior parte dei libri di poesia non vendono più di qualche centinaio di copie, e una recensione negativa potrebbe influire negativamente anche su quei piccoli numeri. Inoltre, dal punto di vista dell’autoconservazione, c’è il rischio della rappresaglia! Ricordo Derek Mahon che diceva di aver scritto una volta una recensione critica. Vent’anni dopo, una sua opera fu rappresentata nel West End. La mattina seguente apparve sul giornale una recensione che era così schiacciante, che la pièce dovette essere chiusa. Avete indovinato – lo stesso poeta. Il piatto freddo della vendetta! Il consiglio di Mahon era: non essere un recensore, se sei un poeta!

Ma se i poeti non scrivessero recensioni, chi lo farebbe?

Joel Brouwer ha detto che i poeti hanno la responsabilità di scrivere commenti seri e saggi sui loro contemporanei, anche quando la prospettiva sembra scoraggiante. “Chiamatelo un dovere di giuria letteraria”, disse.

Anche così, che campo minato è! Ovviamente, potremmo tutti elogiare l’uno il lavoro dell’altro in maniera effusiva, ma sarebbe utile? Sicuramente è responsabilità del recensore identificare e promuovere la buona poesia il più possibile. Come disse una volta Douglas Duncan: “Una critica onesta, descrittiva, dettagliata e chiarificatrice mantiene la poesia in buona salute – è l’erbicida della poesia e, nella misura in cui incoraggia il meglio della scrittura, può nutrire anche la poesia”.

Questo è il motivo per cui è importante che un revisore acquisisca una reputazione di integrità, correttezza e, soprattutto, capacità di riconoscere la buona poesia. È una cosa che richiede tempo. Ho scritto oltre 45 recensioni per Sabotage (così come una dozzina di altre per riviste diverse), e direi che sto ancora imparando.

Ovviamente nessuna raccolta è perfetta, e nessun recensore di valore scriverà una recensione brillante senza avere una singola riserva. Come poeta, quello da cui imparo di più sono le critiche. Le debolezze identificate da un recensore, se supportate da prove, possono essere di enorme valore nell’allertare un poeta sui propri tic stilistici o semantici. Certo, uno può sempre ricordare a se stesso che è solo l’opinione di un individuo, e sentirsi libero di non essere d’accordo!

È una strada a doppio senso, essere un recensore. Ho un debito di gratitudine con tutti i poeti che ho recensito, perché ho imparato molto, come poeta, studiando il loro lavoro, imparando sia dai loro punti di forza che dalle loro debolezze.

Uno dei motivi per cui inizialmente ho scelto di scrivere per Sabotage è che potevo evitare le insidie ​​che derivano dal conoscere un poeta di cui si sta esaminando il lavoro, un particolare pericolo nella nostra piccola comunità di poesia irlandese. Di solito, non ho mai sentito parlare dei poeti che sto recensendo, quindi posso essere completamente imparziale. È anche facile essere influenzati dalla reputazione, quindi tendo a non cercare su Google e a concentrarmi solo sul lavoro.

Sabotage Reviews è una piattaforma fantastica, non solo per i poeti, ma anche per i recensori, per affinare le loro capacità critiche. Claire Trévien è una editor eccezionale e ha creato una rivista che ha una meritata reputazione per la qualità delle sue recensioni. L’anno scorso il suo apprezzamento per la lunga lista di revisori di Sabotage ha portato all’idea di questo premio.

Essere selezionata come seconda classificata per il Premio dei Recensori dello scorso anno è stata una vera spinta alla mia autostima come critico. Proprio come è gratificante per i poeti, è importante che anche i recensori ottengano una validazione. Questo premio dà valore al tempo e allo sforzo necessari, così come alla sensibilità e all’abilità indispensabili per valutare il lavoro dei colleghi. E per questo, vorrei ringraziare Claire Trévien e il suo team in crescita presso Sabotage.

22 marzo 2015

La raccolta di Afric McGlinchey, The lucky star of hidden things (La fortunata stella delle cose nascoste), è stata pubblicata da Salmon Poetry nel 2012. Tra i successi ricordiamo l’Hennessy Emerging Poetry Award per il 2010, Editors Choice per il Premio Nord Liberties 2012 (USA) e il Poets Meet Politics per il 2015. Afric è attualmente poeta residente presso l’Uillinn Arts Centre, West Cork. Di recente ha ricevuto una borsa di studio del Consiglio della Contea di Cork per consentirle di completare la sua seconda raccolta, Ghost of the Fisher Cat (2016). www.africmcglinchey.com – Twitter: @itosha

Traduzione di Silvia Accorrà

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