Lo scrittore come prodotto: il rischio della mercificazione nell’era contemporanea

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Nella contemporaneità, caratterizzata dall’iperconnessione e dall’imperativo della visibilità, si afferma con sempre maggiore forza l’idea che lo scrittore non sia più solo un autore, ma un prodotto da commercializzare. Questo fenomeno è il riflesso di una logica di mercato che permea ogni aspetto della produzione culturale e che riduce l’atto creativo a una prestazione misurabile e vendibile. Scrivere non è più concepito come un’espressione autentica, ma come un processo che deve rispondere a dinamiche di marketing, algoritmi e metriche di successo. Non a caso c’è già chi scrive romanzi e racconti con l’intelligenza artificiale.

L’idea di essere “appetibili”, “visibili” e “notati” alimenta una forma di ansia culturale che trasforma lo scrittore in un agente del proprio brand personale. I social media e le piattaforme digitali incentivano questa dinamica, offrendo agli autori strumenti per promuoversi, al prezzo di una costante esposizione. Lo scrittore si trova così a inseguire un’idea di successo basata su parametri quantitativi: follower, copie vendute, like, recensioni reali e prezzolate. Il valore dell’opera è subordinato al suo rendimento, e il processo creativo rischia di essere snaturato dalla ricerca di approvazione.
Questo meccanismo ha implicazioni profonde. L’autorità dello scrittore non si misura più attraverso la qualità della sua voce o l’originalità del suo pensiero, ma attraverso la sua capacità di aderire a modelli di consumo. La scrittura diventa una performance calibrata su ciò che “funziona”: il linguaggio si piega alle mode, i temi si appiattiscono su ciò che è già noto e rassicurante per il pubblico. Si perde, così, l’autenticità dell’esperienza artistica.

La riduzione della scrittura a merce comporta una ridefinizione del rapporto tra autore e opera. Non è più l’opera a definire l’autore, ma il contrario: l’autore diventa un veicolo per la vendibilità dell’opera. La scrittura viene deprivata della sua dimensione simbolica, ridotta a un insieme di parole pesate, confezionate e messe in vendita come un prodotto da scaffale. Questo processo genera un cortocircuito: l’autore, ossessionato dal riscontro esterno, finisce per non scrivere più per comunicare un’idea o esplorare una verità interiore, per provocare e per mettere in discussione, ma solo per soddisfare aspettative altrui: estranee e imprigionanti.
A complicare ulteriormente questo scenario, si aggiunge l’uso crescente dell’intelligenza artificiale nella scrittura non solo di testi tecnici, ma di narrativa. Algoritmi addestrati su enormi volumi di testi sono in grado di generare racconti, poesie e persino romanzi in pochi secondi. Sebbene queste tecnologie siano strumenti potenti, il loro impiego per produrre letteratura solleva interrogativi etici e artistici: può un testo generato da una macchina avere lo stesso peso di un’opera nata dall’esperienza e dalla riflessione umana? L’uso dell’intelligenza artificiale rischia di spingere ulteriormente verso una standardizzazione della scrittura, annullando la voce unica dell’autore e rafforzando l’idea che i testi siano meri prodotti replicabili, piuttosto che espressioni irripetibili di un’identità.
La conseguenza più grave di questa dinamica è la perdita di profondità. La scrittura, anziché essere un mezzo per interrogare il mondo e noi stessi, diventa una superficie levigata, priva di spigoli o asperità. L’opera si conforma a ciò che il mercato richiede: ritmo incalzante, temi accattivanti, strutture prevedibili. Il rischio è che la letteratura si svuoti, riducendosi a un intrattenimento fugace e dimenticabile. E lo scrittore si riduca a un pigro, triste esecutore.

Eppure, proprio in questo contesto emerge la necessità di resistere a questa mercificazione. Scrivere non può essere solo un atto di vendita: deve tornare a essere un gesto di autenticità, un’esplorazione del linguaggio e delle possibilità umane. Questo non significa rifiutare ogni forma di visibilità o promozione, ovviamente, ma riconoscere i limiti di questa logica e sfidare l’idea che il valore di un’opera sia determinato esclusivamente dal suo successo commerciale e dalla nostra personale abilità nel marketing.
La resistenza passa anche per una riscoperta della scrittura come atto di libertà. Lo scrittore deve rivendicare il diritto di essere complesso, contraddittorio, autentico. Deve accettare che il valore del suo lavoro non sia sempre immediatamente riconoscibile, che il vero impatto di un’opera non si misura in copie vendute, ma nel suo potere di trasformare chi la fa propria.

Nel panorama attuale, la sfida per la letteratura è dunque quella di sfuggire alla gabbia del prodotto. Gli scrittori devono resistere alla tentazione di adeguarsi alle logiche di mercato e riscoprire la scrittura come spazio di libertà e di verità. Solo così potranno continuare a creare opere che non siano semplicemente consumate, ma vissute, interrogate e amate. In un mondo che vuole tutto immediatamente comprensibile e vendibile, l’atto più rivoluzionario è scrivere per il piacere di cercare ciò che non può essere ridotto a un prezzo.

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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