Valerio Zurlini (Bologna, 1926 – Verona, 1982) è il poeta dell’amore, sensibile e profondo indagatore dell’animo umano e dell’universo femminile, non certo un regista di lacrima movie. Ci occupiamo de La prima notte di quiete, suo penultimo film prima di chiudere la carriera con Il deserto dei Tartari (1976), perché qualche critico inserisce la pellicola nel filone del cinema strappacuore, ma a nostro giudizio la classificazione è del tutto fuorviante. Zurlini è un regista colto, i suoi film sono intrisi di citazioni letterarie, pittoriche, musicali, fotografati con gusto estetico, montati con tempi da bolero. Comincia dai cortometraggi, debutta con Le ragazze di San Frediano (1954), gira due piccoli gioielli come La ragazza con la valigia (1960) e Cronaca familiare (1962) – suo capolavoro –, infine completa Come, quando e perché (1969) dopo la morte di Pietrangeli. Ci lascia troppo presto, a soli 56 anni, dopo aver insegnato cinema, lavorato al doppiaggio, come soggettista e sceneggiatore, ma anche come regista teatrale. Soltanto nove lungometraggi per una carriera intensa che, per il bene del cinema italiano, avrebbe dovuto essere più lunga.
Il film di Zurlini più fortunato al botteghino è proprio La prima notte di quiete, ambientato in una Rimini livida e spettrale, una sorta de I vitelloni trent’anni dopo, quando ogni illusione è caduta e restano solo i rimpianti. Daniele Dominici (Delon) è un supplente di lettere che ha fatto alcuni anni di galera, quindi ha deciso di esiliarsi a Rimini insieme alla moglie (Massari), per la quale non prova più amore, ma i due restano legati da tristi abitudini e da una comune crisi esistenziale. Il liceo del preside tradizionalista Salvo Randone accoglie un professore dai metodi strani, permissivo e moderno, che assegna compiti introspettivi e lascia gli studenti liberi di studiare o meno. Daniele finisce per legarsi a Vanina (Petrova), una bella studentessa fidanzata con un ricco playboy (Merli) che la madre (Valli) vorrebbe farle sposare per risolvere ogni problema economico. Nel frattempo intesse amicizie in un bar cittadino con l’omosessuale (non dichiarato) Spider (Giannini), Renato Salvatori e lo stesso Merli. Vita di provincia, partite a carte, serate in discoteca, notti brave in una villa signorile, compagnia di puttane e donne da night. Daniele sogna la fuga insieme alla sua bella, nonostante le minacce e le accuse del fidanzato; il rimorso per la compagna abbandonata e il dubbio che possa suicidarsi lo fa tornare indietro, incontrando una morte assurda per incidente stradale. I sogni di fuga dei vitelloni invecchiati muoiono all’alba, ma Daniele conosce la sua prima notte di quiete, la morte, proprio come aveva scritto in un libro di poesie giovanili.
La prima notte di quiete è un film malinconico, girato a tempo di bolero, fotografato in maniera splendida da Di Palma, accompagnato da una vera e propria sinfonia a base di tromba e sax composta da Nascimbene e diretta da Pregadio. Ottima anche Domani è un altro giorno, cantata da Ornella Vanoni al momento giusto, nella discoteca che registra occhiate furtive tra Delon e Petrova.
Storia d’amore atipica con venature psicanalitiche e letterarie, rapporti non convenzionali lontani mille miglia dalla logica del fotoromanzo e del feuilleton. Il finale tragico esiste, certo, ma non per questo possiamo classificare un capolavoro della cinematografia italiana come un semplice lacrima movie.
Attori in gran forma, soprattutto un intenso Alain Delon (doppiato da Luigi La Monica), ma Lea Massari non è da meno nei panni di una donna distrutta, così come non deludono la bella Sonia Petrova (Petrovna) nel ruolo della sua vita (a parte Ludwig di Visconti e La casa del sortilegio di Lenzi) e Giancarlo Giannini in un ruolo da omosessuale represso. Perfette le figure di contorno, anche il personaggio negativo di Adalberto Maria Merli, la madre perfida di Alida Valli, il preside antiquato di Salvo Randone e il buon Renato Salvatori, amico di tutti.
Sembra impossibile, visti i risultati, ma la lavorazione della pellicola non fu semplice, perché i rapporti tra Zurlini e Delon si mantennero sempre tesi. L’attore francese ricorda con piacere film e personaggio, un ruolo che lo vede passeggiare sul lungomare di Rimini indossando un cappotto di cammello e un maglione verde, abiti personali del regista. In Francia, Delon – coproduttore insieme a Titanus – pretende il taglio di ben 37’ che rendono il film incomprensibile e ne decretano il flop.
Titolo francese: Le Professuer. Titolo tedesco: Oktober in Rimini. La prima notte di quiete viene restaurato nel 2000 da Philip Morris. Girato a Rimini, Ancona, Riccione, Val Marecchia, in altre località della riviera romagnola e nella Pieve di Pontemessa.
Vediamo la critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Uno dei migliori film di Zurlini: parabola autodistruttiva di un piccolo eroe che, pur grondando di letteratura, riesce a trovare accenti sinceri. Splendida l’ambientazione in una livida Rimini invernale, suggestiva la musica di Mario Nascimbene e azzeccate tutte le figure di contorno”. Roberto Poppi: “Troviamo i temi più cari al regista ne La prima notte di quiete, dove ricrea quelle atmosfere provinciali e quei ritratti di uomo e donna che più si avvicinano alla sua sensibilità di poeta dell’amore”. Morando Morandini (tre stelle e mezzo, quattro per il pubblico): “Sotto i segni della precarietà e della morte e in cadenze di melodramma disperato, è la storia di un naufragio. Un professore di lettere, angelo caduto e insabbiato, arriva al capolinea della sua vita in una Rimini invernale. S’innamora di Vanina, sua allieva, vaso d’iniquità nel guscio d’un’insondabile malinconia. C’è un eroe maledetto, un ambiente, un’atmosfera, ci sono i personaggi di contorno, soprattutto c’è scrittura, anche se la seconda parte è un po’ ridondante”. Pino Farinotti concede tre stelle ma come sempre non commenta. Marco Giusti (Stracult): “Titolo ripreso da Goethe, attenti: La morte, la prima notte di quiete. Cultissimo di tutta una generazione di cinefili che riscoprirono Gozzano, il mélo, Delon, Zurlini, Visconti via Medioli e via Valli e il piacere soprattutto di piangersi addosso e di indossare cappotti di cammello”. Sergio Germani: “La resurrezione del mélo nel momento e nel modo più impensati”. Giovanni Buttafava: “Uno dei titoli più ricorrenti nelle liste dei piaceri perversi di tutti noi. Fra ridicolo e sublime”. Marco Locatelli (Nocturno): “Un feuilleton colto, ancorché saporito. Restano le interpretazioni dei protagonisti e dei personaggi di contorno. Resta quel senso di agonia lenta, di sconfitta spalmata sui volti e sui luoghi”.
A nostro giudizio le cose migliori del film sono un incipit straordinario composto da mare d’inverno e solitudine interiore e poi certe sequenze inserite ad arte come a sottolineare il passaggio da un capitolo all’altro della storia, quei flash musicali e pittorici a base di sax, tromba e fotografia livida che separano la narrazione dalla poesia. Zurlini mette la sua firma, il suo stile letterario, tutto il suo saper fare cinema al servizio di un melodramma decadente intriso di tristezza e pervaso da un costante senso di morte e di autodistruzione.