Non è il Rossellini didattico quello che possiamo apprezzare ne Il generale Della Rovere, anche se alcune tracce del neorealismo spinto di Roma città aperta sono reperibili negli inserti d’epoca con la ricostruzione di ambienti bombardati, tra cadaveri e miseria. Siamo lontani dalle ambientazioni certosine e dalla macchina da presa che indaga e pedina l’esistenza quotidiana dei protagonisti, sia in Paisà che nel cupo e tormentato Germania anno zero.
L’opera d’arte non è nulla, la realtà è tutto resta il credo del regista anche passata l’esperienza neorealista, persino a fine anni Cinquanta – dopo la scoperta della televisione come mezzo di comunicazione – quando si fa convincere a mettere in scena un racconto di Indro Montanelli.
Vittorio De Sica veste i panni di un personaggio a lui congeniale, un napoletano vigliacco e opportunista che perde capitali al gioco, sfrutta la credulità degli altri, corrompe funzionari tedeschi per far liberare prigionieri in cambio di denaro, ma nel finale si riabilita e decide di morire da eroe, nei panni del generale che aveva accettato di impersonare.
Il generale Della Rovere vince il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia – ex aequo con La grande guerra di Monicelli –, due film dalla tematica comune, ma Rossellini pare quasi infastidito dal successo di una pellicola dall’impianto tradizionale, che non sembra interessarlo più di tanto. Nonostante tutto nella storia riesce a inserire parti documentaristiche, come inserti d’autore che ricordano bombardamenti e distruzione negli ultimi anni di guerra, in attesa dell’arrivo degli alleati.
La storia deriva da un’esperienza personale di Indro Montanelli che – imprigionato a San Vittore – conobbe un certo Giovanni Bertoni (fucilato dai tedeschi), uomo reale che in parte ricorda il personaggio di fantasia. Lavorano a questo film due aiuto registi d’eccezione come Tinto Brass e Ruggero Deodato (che mi ha sempre confidato d’essere figlio del cinema di Rossellini).
Il regista gira quasi tutto in teatri di posa, tra imponenti ricostruzioni scenografiche e una fotografia in bianco e nero intensa ed evocativa (Carlini), usa lo zoom (primo film italiano), inserisce nel formato quadrato e nelle riprese in primo piano alcuni importanti documenti d’epoca.
Molto scorrevole la prima parte, dove il regista presenta il personaggio di Bardone (De Sica) in tutta la sua spregiudicatezza, il rapporto con l’amante Valeria (Ralli) e con la prostituta Olga (Milo); un poco più macchinosa la parte carceraria, basata sull’intesa che nasce tra il colonnello tedesco (Messemer, uno specialista in caratterizzazioni di ufficiali nazisti) e il finto generale Della Rovere (De Sica), con la presentazione umana di un tedesco, non la solita macchietta stereotipata.
Il romanzo nasce dopo il soggetto, narrato dallo stesso Montanelli (subisce una causa per diffamazione, vista la realtà della storia) a Sergio Amidei e Diego Fabbri, che lo realizzano in scene. Produzione italo-francese per un Rossellini che vive a Parigi e che si lascia suggestionare dal richiamo di fare ancora un film sulla guerra, anche se la Resistenza resta sullo sfondo e quel che interessa è il rapporto umano tra l’italiano e il colonnello tedesco.
Tra le presenze interessanti ricordiamo Vittorio Caprioli nei panni del detenuto suicida dopo le torture, Franco Interlenghi in una breve apparizione come partigiano, oltre al regista stesso in un cameo come amico del capo della Resistenza in carcere.
Un film da recuperare, invecchiato benissimo. Rivisto su Rai Movie che lo programma nella serata celebrativa per la morte di Sandra Milo (29 gennaio 2024). Reperibile su Rai Play.