Chuck Tatum, magistralmente interpretato da Kirk Douglas, è un cinico giornalista, ormai emarginato, alla ricerca di una storia che lo rilanci. Quando un uomo rimane intrappolato in una miniera in un piccolo villaggio del New Mexico, Tatum intuisce l’opportunità perfetta per creare una storia sensazionalistica che lo renda famoso. La sua capacità di manipolazione dei media, la sua inesauribile ricerca del sensazionale e la sua totale mancanza di scrupoli lo porteranno sull’orlo del successo, facendoci desiderare che si realizzi il proverbio “chi troppo vuole, nulla stringe”. Kirk Douglas è impeccabile nel rendere un personaggio complesso, sbruffone e moralmente ambiguo.
Billy Wilder fa un lavoro straordinario nel raffigurare la disperazione umana, la cupidigia dei media e l’opportunismo in un film ancora attualissimo nel mettere in evidenza come la tragedia di un uomo possa diventare uno spettacolo, un evento mediatico che il pubblico si appassiona e diverte a seguire, ignaro e allo stesso tempo complice nello sfruttamento dell’altrui sofferenza. Il che ricorda piuttosto da vicino la vicenda di Alfredino, che colpì l’Italia trent’anni dopo, incollando una nazione intera agli schermi televisivi per giorni, in una diretta ininterrotta[1].
La regia è di altissimo livello, e si sposa perfettamente con la fotografia (del veterano Charles Lang) nel congegnare scene che catturano l’atmosfera claustrofobica della miniera e la frenesia dei media. Nonostante sia stato girato più di settant’anni fa, L’asso nella manica continua a essere attuale nel modo in cui solleva questioni sulla moralità, sull’etica giornalistica e sull’ossessione della società per le notizie sensazionalistiche.
Wilder confeziona un lungometraggio straordinario che ci impone di riflettere sulla natura umana anche nelle sue sfaccettature più sgradevoli, costringendoci a fare i conti con noi stessi e con il nostro voyeurismo (anche noi ci appassioniamo alla vicenda dell’uomo intrappolato e speriamo che si salvi). Una narrazione acuta e spietata, che mette a nudo la ricerca di clamore e di audience dei media (non a caso il titolo originale è The Big Carnival, “Il grande carnevale”). Un film che merita di essere visto e discusso ancora oggi, in grado di porre domande scomode.