Roma, anni Settanta. Durante uno scontro di piazza rimangono uccisi uno studente, militante extraparlamentare, e un poliziotto. Della morte del poliziotto viene sospettato Max (Luigi Diberti), ma il vero colpevole è Fabio (Massimo Ranieri), figlio del giudice Sola (Martin Balsam), che viene incaricato di indagare sul caso e decide, senza sospettare la verità, di indagare anche sulla morte dello studente.
Inserito nel filone del cinema civile, il film di Bolognini, pur con ottime premesse, non riesce a convincere fino in fondo. La trama, interessante e carica di riferimenti politici precisi, si avvolge attorno ad uno dei temi più cari al regista: il conflitto generazionale tra padri e figli. Ma i personaggi sono di superficie, e non riescono a incidere nella coscienza come nel ben più riuscito La corruzione.
Nonostante la sceneggiatura (di Ugo Pirro e Ugo Liberatore) affondi le proprie radici nel presente (il film è del 1972: il 30 marzo dello stesso anno le Brigate Rosse organizzarono il sequestro lampo del dirigente della Sit-Siemens Idalgo Macchiarini), il tentativo di raccontare l’inquietudine di un’epoca viene travolto dalle vicende familiari, e non riesce a graffiare come altri film di quel fecondo periodo, perdendo per strada la vena anarcoide che Pirro riuscì a creare insieme a Elio Petri. I poliziotti sono veramente odiosi, ma siamo distanti mille miglia da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, e il quadro d’epoca viene affrontato da Bolognini con un certo schematismo retorico.
Peccato: un’occasione che il grande regista non riesce a trasformare in un film memorabile, che comunque vale la pena vedere.
La colonna sonora, di Ennio Morricone, è notevole.