The Who – Tommy

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Quando, molti anni fa, confrontai il testo inglese di The Catcher in the Rye di J.D. Salinger con la classica traduzione einaudiana di Adriana Monti (intitolata, come è noto, Il giovane Holden), fui molto stupito – e anche un po’ indignato – di trovare nel capitolo V del romanzo la locuzione pinball machine resa in italiano con un ineffabile e piuttosto sacrilego “il biliardino automatico”. Ricordo anzi di aver pensato: “Ma come è possibile? Dopo Tommy, la pinball machine o, più semplicemente, il pinball non può che essere tradotto con “il flipper!””.

Per me non era rilevante che quella traduzione fosse del 1961, e che Tommy fosse invece uscito nel 1969. Nemmeno mi importava che il testo tradotto fosse dell’amatissimo J.D., né che esso contenesse un evidente parallelismo fra il disadattamento dei due ragazzini, l’americano Holden Caulkins e l’inglese Tommy Walker.

Dopo aver assorbito in centinaia di ascolti il disco dei quattro Who – il chitarrista Pete Townshend, il bassista John Entwistle, il batterista Keith Moon e il cantante Roger Daltrey –, a stento sopportavo quella stonatura fra i due codici. Non solo: quella scelta desueta – il “biliardino automatico” che tanto mi ricordava i conformistici anni Cinquanta – mi appariva un oltraggio, se solo la confrontavo con il pinball di Tommy, uno dei simboli più celebri dell’epopea musical-libertaria degli anni Sessanta.

Anche per queste ragioni la traduzione di Adriana Monti, classica sì ma tremendamente antiquata, mi è sempre rimasta indigesta fino a quando, nel 2014, Einaudi ha rieditato Il giovane Holden nella nuova versione di Matteo Colombo.

Già, Tommy. Se non la prima, certo una delle prime rock opera, e sicuramente la più grande, di cui neppure Quadrophenia, degli stessi Who (1973), riuscirà a eguagliare la fama. Tommy, il doppio vinile e la splendida, evocativa copertina, con il volo di colombe nel cielo azzurro, cui si oppone una trama di nerissimi spazi ciechi.

Tommy che, dopo la sua uscita e il tour mondiale che ne seguì, trasformò una band londinese, fino a quel momento produttrice di una manciata di singoli di successo, in un supergruppo irresistibile dal vivo, di dignità autoriale assoluta. Tommy, che crebbe a dismisura e iniziò a vivere di vita propria, sfuggendo ai propri padri e quasi fagocitandone il successo. Tommy, l’album, che diventò Tommy il balletto, messo in scena nel 1970 dalla compagnia Les Grands Ballets Canadiens; e poi Tommy il film del 1975, diretto da Ken Russel, il visionario regista inglese che seppe allineare, oltre ai quattro Who, artisti come Ann-Margret, Oliver Reed e Robert Powell, e rockstar come Eric Clapton, Tina Turner ed Elton John.

Nell’album la vicenda di Tommy appare piuttosto illogica e frammentaria, ma viene largamente riscattata dalle canzoni. Mrs. Walker, moglie di un capitano inglese disperso durante la prima guerra mondiale (Overture), dà alla luce Tommy (It’s a Boy) e si innamora di un altro uomo. Dopo qualche anno il capitano ritorna e sorprende la moglie con l’amante. Fra i tre personaggi ha luogo un misterioso atto di violenza e Tommy, assistendovi, subisce un blocco psichico, diventando cieco, sordo e muto (1921).

Il bambino, cui è rimasto il senso del tatto, può percepire le vibrazioni (Amazing Journey/Sparks), ma è chiuso in una profonda apatia che gli impedisce ogni fruttuosa relazione con il prossimo (Christmas).

Dopo una serie di pericolosi incontri con il bullismo (Cousin Kevin), la pedofilia (Fiddle About) e la droga (The Acid Queen), Tommy cresce e, nonostante il suo stato, impara a giocare a flipper, diventando un campione (Pinball Wizard). Un medico (There’s a Doctor) trova una cura per lui, stimolandone la fascinazione verso la propria immagine allo specchio (Go to the Mirror!).

Ma la madre, che non accetta l’inerzia di Tommy perso nella contemplazione di se stesso, manda in frantumi lo specchio (Smash The Mirror), provocando nel ragazzo il ritorno dei sensi perduti e la conquista dell’illuminazione (Sensation, I’m Free). Interpretato come un miracolo, questo evento fa di Tommy un nuovo Messia: egli organizza raduni di massa e raccoglie i suoi fedeli in un campo vacanze (Welcome/Tommy’s Holiday Camp), ove li sottopone a un allucinato rito di liberazione.

La via della salvezza consiste nel mimare, con i tamponi sugli occhi, la cuffia sulle orecchie, il tappo sulla bocca e il flipper davanti a sé, il comportamento di Tommy prima della guarigione. Quando i discepoli, nauseati, si ribelleranno e distruggeranno il campo (We’re Not Gonna Take It), Tommy si ritroverà di nuovo solo, in uno stato di apparente Nirvana (See Me, Feel Me, Touch Me, Heal Me/Listening To You).

È ben noto che il vero autore o, ancor meglio, l’ispiratore di Tommy è Pete Townshend. Nella vicenda di caduta e liberazione del personaggio, nella sua irrisolta alternanza di oscurità e di luce, Townshend rilegge metaforicamente la propria vita, e ne mette a nudo i più scabrosi tragitti: dall’infanzia solitaria e chiusa, in cui conosce le insidie della pedofilia e la violenza del bullismo, fino all’uso delle droghe; dal grigiore della vita quotidiana nella periferia di Londra fino ai colori abbaglianti ed effimeri del successo; dalle tenebre della depressione fino all’illuminazione interiore, cui approda dopo la scoperta del misticismo indiano e la lettura delle opere del guru Meher Baba (cui Tommy è dedicato).

Se, tuttavia, gli altri tre Who avessero lasciato a Townshend l’intera composizione, ne sarebbe probabilmente uscito un lavoro avviato sulla strada rischiosissima dello spiritualismo.

Al contrario essi, pur concedendo al loro leader la maggioranza degli spazi, impreziosiscono Tommy non soltanto con le loro performance artistiche, ma anche con alcune idee, apparentemente irriverenti rispetto al senso generale del progetto, intese ad alleggerirne la trama e a darle un tono umoristico deliziosamente britannico.

Due soli esempi: la trovata di far figurare come mezzo di liberazione interiore il flipper – che, stando al testo di Pinball Wizard, appare in tutte le sale da gioco di Londra e dintorni, “da Soho fin giù a Brighton”; e la grande pensata, attribuita a Keith Moon, di situare il centro spirituale di Tommy, invece che sulle rive del Gange come la beatlesiana ed esclusiva Rishikesh, in un umile Holiday Camp, sede prediletta dai proletari d’Inghilterra per le loro vacanze.

A qualcuno Tommy potrà apparire come un pastiche anglo-orientale un po’ indigesto, con una trama complicata, non esente da falle e contraddizioni; ma ciò che eleva l’album, e anzi lo sublima dalla prima all’ultima nota, sono l’energia e lo splendore della musica che contiene.

Perché Tommy è, prima di tutto, un album di rock inglese degli anni Sessanta e perché gli Who sono fra i campioni di maggior livello di quel rock. Perché Overture, 1921, Amazing Journey, Cousin Kevin, The Acid Queen, Pinball Wizard, Sensation, I’m Free, We’re Not Gonna Take It e altre sono grandi canzoni, in cui la forza selvaggia dei primi Who, senza nulla perdere dell’impatto iniziale, si è, non addolcita o stemperata, ma levigata e affilata, grazie a una scrittura musicale inventiva, a una strumentazione allargata ma mai eccessiva, e a un meticoloso lavoro di registrazione.

Perché Pete Townshend è un chitarrista monumentale, che spazia con fluidità dalle parti di accompagnamento a quelle soliste, alternando accordi poderosi a delicate scale cromatiche. Perché John Entwistle è un bassista geniale, che sa trasformare il suo strumento da produttore di scansioni ritmiche a creatore di melodie pulsanti.

Perché Keith Moon è un batterista instancabile e poliedrico, che fonde armoniosamente istintività e tecnica. Perché, infine, Roger Daltrey, cantante ruvido e potente, ma anche sensibile e misurato, rimarrà per sempre memorabile nell’interpretazione del ragazzino sordo, muto e cieco che si innalzava al Nirvana giocando a flipper.

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Un altro uomo invisibile che galleggia in mezzo al mare del nulla, è arduo definirlo sia per tratti somatici che per età. Campa la vita lavorando, di contraggenio, in uno dei templi assoluti della brescianità e, ciò nonostante, ne prende ispirazione per le cose che scrive. Espulso da tutti i circoli cui si è aggregato, gli amici lo chiamano “Wikipedia” a causa dei discorsi incomprensibili e della pronunzia, che confonde in un unico suono le erre, le elle, le vu, le pi, le bi, le esse e le effe. Sostiene di essere pacifista, ma si vanta di aver redatto, molto tempo fa, alcuni testi rivoluzionari per un ex-guerrigliero irascibile e avarissimo, ora convertitosi al libero mercato.