Questa band è di un’importanza fondamentale. Prima di tutto perché è capostipite del family tree dei Police. Se sono esistiti i Police è perché dieci anni prima sono esistiti i Dantalian’s Chariot. Il capo di questo family tree ha un nome, ed è Andy Summers.
I Dantalian’s Chariot sono stati una meteora durati lo spazio di un anno, ma quanto basta per farli entrare nel culto, fra le formazioni più oscure della psichedelia inglese.
È stato grazie a un articolo su Rockerilla che li ho incrociati per la prima volta, e rimasi davvero sorpreso dalla presenza nella band di una mia vecchia conoscenza fin dai tempi dell’adolescenza: l’Andy Summers che dieci anni dopo sarà futuro Police assieme a Sting e Stewart Copeland. I Dantalian’s Chariot sono le remote origini musicali di Andy Summers, che nella band ricopre il ruolo di chitarrista e sitarista.
Un po’ di storia. Il fondatore dei Dantalian’s Chariot è Zoot Money, al secolo George Bruno Money.
Zoot Money è stato un prezzemolo negli ambienti del rock inglese degli anni Sessanta e Settanta; più o meno lo troviamo dappertutto, fra collaborazioni, partecipazioni ai concerti e presenze quale session man, presso i nomi più importanti della scena inglese: Rolling Stones, Steve Marriott, Animals, Pink Floyd, Lonnie Donegan, Georgia Fame, Kevin Ayers, Peter Green, Spencer Davis Group, Alexis Korner, Kevin Coyne e diversi altri.
Le origini musicali di Zoot Money sono nel jazz e nel rhythm&blues: nei primi anni Sessanta ha già firmato un suo gruppo, la Big Roll Band, con cui inizia a farsi conoscere nel giro dei locali e dei pub londinesi. Man mano che passano gli anni, la Big Roll Band si fa un nome negli ambienti musicali e Zoot Money diventa un personaggio di culto nella Swinging London degli anni Sessanta.
Attraverso diversi cambi di formazione, la Big Roll Band evolve nei Dantalian’s Chariot. Money aveva conosciuto Andy Summers (il cui vero nome è Andy Somers), un chitarrista proveniente a sua volta dal jazz, e lo introdusse nella Big Roll Band, insieme al batterista Colin Allen e al bassista Pat Donaldson. Quindi cambia la ragione sociale da Big Roll Band a Dantalian’s Chariot, dando una deciso cambio di rotta verso la psichedelia.
Il nome Dantalian’s Chariot è stato ispirato da un libro risalente al Medioevo che tratta di stregoneria, intitolato La Chiave Minore di Salomone, che narra di una genealogia di diavoli fra i quali troviamo il duca Dantalion.
I Dantalian’s Chariot sono esistiti nell’arco di un anno cruciale per la storia della musica: il 1967, l’anno in cui la psichedelia diventa il vessillo ufficiale della controcultura giovanile. Subito si imposero come una delle formazioni più originali della scena lisergica inglese. I loro concerti erano caratterizzati da un fantasioso e variopinto spettacolo di luci e spesso si presentavano sul palco vestiti interamente di bianco.
Mi sono sempre chiesto se i Dantalian’s Chariot rientrino nel freakbeat, e la risposta che mi sono dato dopo vari ascolti è un sì con riserva. Qui si impone una spiegazione per chi è a digiuno. Il freakbeat è un genere rock figlio tipico della terra d’Albione, sviluppatosi nella seconda metà degli anni Sessanta. Ai tempi non si chiamava così: il termine venne coniato molti anni dopo da un giornalista musicale inglese.
Quella che a prima vista era una risposta inglese al garage rock americano in realtà fu un genere più complesso e articolato di quanto si possa immaginare, in cui l’impronta europea era marcata. Dal punto di vista strettamente musicale, il freakbeat è il tramite tra il beat inglese della prima metà dei Sixties e il rock psichedelico della seconda metà dello stesso decennio. Il suono è composto dall’utilizzo di effetti chitarristici lisergici dalle caratteristiche fuzzin’ che “sporca” gli arrangiamenti beat più puliti di stampo beatlesiano. Ma, più che ai Beatles, si stringeva ai primi Who e ai primi Kinks e, cosa fondamentale per gli sviluppi futuri, particolare cura veniva data alla produzione e agli effetti creati in studio di registrazione.
Meno grezzo del garage americano e più ricercato, il freakbeat prediligeva la canzone della durata media di tre minuti, ma nella quale si conservava una variegata gamma di elementi. E l’elemento psichedelico era il fine di tutto. Il freakbeat è una filiazione psichedelica del beat inglese, un movimento che in Inghilterra ha avuto un seguito enorme, grazie a Beatles, Kinks e diverse altre compagini, e non bisogna trascurare quell’importante stagione che è stata il Merseybeat, che ha delineato le linee in termini di status controculturale giovanile per l’Inghilterra del futuro.
I Dantalian’s Chariot rientrano nel freakbeat inglese a tutti gli effetti, perché in loro si riscontrano le caratteristiche riconducibili al genere, però contemporaneamente superate, perché possiedono una visione più sperimentale nella scrittura compositiva dei brani; per essere precisi, sono il freakbeat inglese portato ai suoi massimi sviluppi, perché l’elemento psichedelico e lisergico sopravanza quello più beat e pop e viene meno quella continuità con il beat inglese della prima metà degli anni Sessanta. Mantengono comunque il legame con il freakbeat, lo dimostra anche il fatto che il brano d’apertura del loro album, Madman Running Through The Fields, è finito nella raccolta Nuggets II della Rhino Records (basilare!), perché Zoot Money prima di tutto proviene da quell brodo di coltura musicale.
Però quando Money venne influenzato dalla stagione lisergica ed ebbe una tale ispirazione da convertirsi al verbo psichedelico, cambiando il nome alla sua creatura musicale, ebbe un’intuizione che lo spinse ancora più avanti di tanti suoi colleghi: votarsi al nuovo linguaggio creando in sound che prendesse il freakbeat e lo sviluppasse nella direzione di una psichedelia accentuata.
Chiarito questo punto, la questione più importante non è in che misura i Dantalian’s Chariot appartengano al freakbeat, ma l’impatto che gli stessi hanno provocato. Pur essendo durati solo un anno e pur essendo una band di culto molto oscura[1] hanno avuto un ruolo seminale, lo stesso dei Beatles con l’album Revolver, disco che trovo ben più fondamentale per la psichedelia inglese del celebrato Sgt. Pepper’s.
A puntare su di loro fu John Peel, il lungimirante deejay radiofonico inglese, agitatore di decenni di underground e scopritore di talenti. Peel aveva capito che il rhythm&blues alla base del beat inglese si stava adagiando ormai su moduli consolidati che rischiavano di rasentare lo stereotipo: la novità andava cercata altrove, nel sottobosco freakbeat che stava macerando sull’influenza portata dai gruppi americani, il retroterra da cui era germinata la psichedelia inglese.
Con i loro spettacoli originali a base di luci colorate (anticipatori anche in questo dei Pink Floyd), col loro look stravagante, i Dantalian’s Chariot erano ai suoi occhi un gruppo originale, custode del nuovo che avanzava e che andava assolutamente valorizzato. Insieme a John Peel l’aveva capito anche Zoot Money, il bandleader, e l’intesa fra i due fu totale.
I Dantalian’s Chariot sono stati dei pionieri, giunti prima di band come i Pink Floyd e i Tomorrow, che vengono definiti gli iniziatori del Magistero Psichedelico in Terra d’Albione. I Dantalian’s Chariot arrivarono prima: Revolver dei Beatles e Chariot Rising dei Dantalian’s Chariot sono due album la cui importanza è stata preponderante per lo sviluppo della civiltà lisergica britannica, purtroppo il secondo vedrà la luce solo parecchi anni dopo.
Ed è con questa band che Andy Summers inizia veramente a farsi strada nell’ambiente musicale inglese: dopo lo scioglimento della band passò dapprima presso le corti di Eric Burdon, Soft Machine e Kevin Ayers, quindi presso l’ambiente canterburiano, in cui conobbe Mike Howlett, ex bassista dei Gong, grazie al quale entrerà negli Strontium 90, il gruppo pre-Police nel quale già militavano Stewart Copeland e Gordon Sumner, meglio conosciuto col nome di Sting.
Anche gli Strontium 90 incisero un solo album, Police Academy, con parte delle tracce incise dal vivo, che venne pubblicato solo nel 1997 (si vede che era destino che le creature preesistenti ai Police rimanessero chiuse nei cassetti). Per l’esattezza furono un progetto parallelo ai neonati Police, non propriamente la band madre dalla quale questi ultimi si generarono. I Police esistevano già, ed erano un trio composti da Sting, Copeland e il chitarrista Henri Padovani. Ma, entrambi stregati dal suono di Summers alla chitarra, gli proposero di entrare in pianta stabile nei Police al posto del poco più che mediocre; e così nacquero i Police universalmente noti.
D’altro canto anche Sting e Copeland erano musicisti già esperti e maturi, come Andy Summers. Il primo aveva iniziato come musucista jazz e poi si era unito ai Last Exit, una formazione di jazz-rock attiva a metà anni Settanta (da non confondere con i ben più avanguardistici ed estremi Last Exit di Peter Brötzmann e Bill Laswell). Il secondo aveva fatto parte dei leggendari Curved Air e ne aveva anche sposato la bandleader Sonja Kristina (e per questo anche i Curved Air entrano a tutto spiano nel family tree dei Police).
Questa è, in breve, la storia del family tree dei Police. Torniamo quindi ai Dantalian’s Chariot.
L’album Chariot Rising è una raccolta di dieci brani registrati dai Dantalian’s Chariot durante il 1967, l’anno di vita della band, ma venne pubblicato solo molti anni dopo, nel 1996. Per tutto questo tempo rimase un disco mai venuto alla luce, e le sue matrici rimasero chiuse in qualche cassetto, mai dissepolte. Solo il brano Madman Running Through The Fields era stato pubblicato come 45 gir. È davvero un peccato, perché è un documento sonoro dall’alto valore storico. Ci è voluto il lodevole impegno della piccola label Wooden Hill, che ha recuperato quei nastri, li ha restaurati e ha creato l’album da pubblicare.
Se è vero che la storia dell’umanità si ricostruisce dai documenti giunti fino a noi, è altrettanto vero che la scoperta di un nuovo documento può rimettere in discussione autorevoli assunti storici. Nel nostro caso la pubblicazione di Chariot Rising è stata la scoperta archeologica di un documento sonoro che testimonia l’alba della psichedelia inglese.
Volendo trovare un difetto in quest’album è una certa discontinuità nella successione dei brani, ma occorre tener presente che questo disco viene pubblicato tre decenni dopo la sua registrazione, ed è il risultato di una raccolta di brani provenienti da nastri differenti e assemblati successivamente.
Perché queste registrazioni sono rimaste nei cassetti per tre decenni? Dopo il fiasco di vendite del 45 giri Madman Running Through The Fields, la Columbia scaricò la band, rifiutandosi di investire ancora in un progetto che ormai riteneva fallimentare. Conseguenze naturali furono lo scioglimento della band e la scomparsa dei nastri, che rimasero ad ammuffire negli archivi (è il capitalismo, bellezza!). Purtroppo i Dantalian’s Chariot pagarono lo scotto di essere una formazione troppo avanti per essere adeguatamente valorizzata dalle menti ottuse dei manager della Columbia, un destino simile a quello di parecchie altre formazioni dell’epoca. E Andy Summers dovette smazzarsi ancora una decina d’anni di gavetta prima di sfondare con i Police.
La copertina è in linea con la cultura lisergica del tempo, però, concepita in vitro, risulta un po’ artificiosa. Creata a tavolino in un’epoca differente (e in altre edizioni è del tutto differente), prende la foto dei quattro membri abbigliati con le camicie variopinte dell’epoca che troviamo nel 45 giri Madman Running Through The Fields e la rivisita con una grafica debitrice dell’effetto multicolor delle luci psichedeliche sulle quattro figure, con scritte ondulate. Lo scopo palese è di comunicare l’effetto lisergico di quegli anni in una visual art che riassuma il contenuto del disco.
Madman Running Through The Fields, il loro brano più noto, è stato l’unico singolo pubblicato dalla band, e oggi è un oggetto per feticisti. Una scia cosmica di tastiera apre il brano, un anticipo delle future avventure pinkfloydiane e cosmiche tedesche, subito seguito da un dondolante basso a rotta di collo. Quindi parte alla grande un inno spaziale di proto-psych cosmica lanciato come un razzo nel cielo, interrotto a metà da una breve divagazione pastoral-bucolica per flauto per poi riprendere scatenato e cosmico-pulsante come prima. Un brano decisamente avanti per quei tempi, e non solo per la psichedelia: le brevi pause prefigurano una prassi legata al progressive rock.
Sun Came Burning Through My Cloud, lato b del singolo, è una rilassata ballad dall’atmosfera solare e profumata di un aerea essenza flower power. Il canto è decisamente più melodico e aggraziato e pare di ascoltare un madrigale dai tratti solari e arcadici, adatto per una comune hippie in mezzo alla natura. Gli arrangiamenti sono aggraziati: un principio di chitarra acustica e piccole percussioni metalliche che invitano alla pace bucolica.
World War Tree. Un organo minaccioso e granguignolesco introduce quest’heavy-psych ante-litteram. A fare la parte del leone sono le chitarre elettriche Fender che, tra distorsioni e scalmanati wah-wah, invadono l’etere con una grinta acid rock. Sono le coordinate che gruppi come Litter, Iron Butterfly e Blue Cheer codificheranno a breve. Però, a dimostrazione dell’obliqua e sghemba linea della band, troviamo in questo marasma sonoro psicotico un flauto da marcetta militare. Il cantato è corale e invasato e il finale è un’esplosione entropica del caos più allucinato.
This Island. Effetti sonori che riproducono il frangersi di onde marine sugli scogli di un’isola aprono al momento più misterioso e inquietante dell’album. È un brano strumentale che vede la presenza di una rarefazione metafisica a base di organo, note di sitar che si perdono in un orizzonte vasto e selvaggio come echi d’Oriente e creano una soglia verso un insondabile ultramondo, accompagnato da voci angeliche che da lontano intonano un coro che sembra provenire da una gerarchia celestiale di arcangeli. È una prefigurazione di future avventure come A Saucerful Of Secrets dei Pink Floyd o delle metafisiche suite degli Ash Ra Tempel. This Island sembra voler instaurare un contatto con l’aldilà e il sitar, che fa eco e si perde nella vastità, è l’invito a un esercizio meditativo fra l’elemento terreno di un paesaggio marino forastico e l’elemento ultraterreno di una dimensione vedica.
Fourpenny Bus Ride mantieneunl contatto più saldo con il freak-beat. È strutturato su un sound ispirato ai Kinks. Di più: sembrano proprio i Kinks che si siano fatti un’avventura a base di acido. Il pezzo mostra una ritmica serrata di batteria e un cantato che è puramente alla Ray Davies. Piuttosto grezzo nelle parti di chitarra, ma comunque calato in una dose di acido, da adepti al culto lisergico.
Four Fireman. Siamo dalle parti di una ballad lisergica in modalità di adagio andante. È uno psych-pop di estrazione freak-beat ma dall’andamento un po’ inquietante grazie a un cantato a più voci da cui traspare un senso d’angoscia, accentuato da un ossessivo giro di chitarra in loop. Ancora di più verso il finale, quando si assiste a un crescendo che poi muore in un tripudio di voci a cappella.
Decisamente più serena e rilassata è l’atmosfera di Recapture The Thrill, una ballata folk lisergica. È un brano costruito su begli impasti vocali ad alto tasso di lirismo madrigalesco innestati su un ritmo legato a un folk danzante, quasi a guisa di valzer. Le parti vocali, dominanti su quelle strumentali, riescono comunque a infondere un certo senso di straniamento e la canzone anticipa certe tendenze che saranno tipiche di certo psych-folk deviato, ad esempio Kevin Coyne. Nel complesso è un bel madrigale venato di nostalgia.
Soma, Part 1 & 2. Non poteva mancare la presenza di una mini-suite. È un’improvvisazione che crea uno sposalizio fra la cultura indiana e certo folk inglese baroccheggiante. Il brano è dominato dal suono del sitar, che si mescola a quello del flauto e agli arpeggi di chitarra acustica, in modo da creare un originale sincretismo celtopastorale-indiano. A un certo punto prende le redini il flauto, che si esibisce in un accordo improvvisato di stampo jazz, quindi il sitar entra in questo gioco improvvisativo, subito seguito dalla chitarra; questa parte è dominata da un’improvvisazione jazzata e anche il sitar, strumento legato alla musica indiana, si adegua creando un’originale fusione indo-jazz. La parte finale è un colpo di scena inaspettato: sorretta da severi tamburi da selva impenetrabile, consiste in una lisergica improvvisazione cui tutti gli strumenti sinora coinvolti in un mantra tribale atto a evocare qualche oscura divinità pagana. È un brano che reinterpreta a suo modo il concetto di raga lisergico e gli imprime un taglio jazzato, frutto delle origini musicali dei membri della band.
Coffee Song è una sghemba psych-folk song che ha un andamento lento e sostenuto, retto da un solido giro di chitarra acustica. Le parti vocali consistono in un coro che esegue una litania lisergica con l’afflato di un canto gregoriano. Piccole percussioni metalliche creano un ritmo greve che dà al brano un certo tono marziale calato in una severità folk quasi dark, che ispira immagini di un mantrico folk nei boschi in cui sono coinvolti adepti di un culto pagano.
High Flying Bird, l’ultimo brano dell’album, è una sognante canzone liserguca impregnata di aromi jazzati e rivestita di una calda atmosfera solare. Sono le tastiere a dare un tocco jazzy, poi imitate dalla chitarra, che esegue un accordo dai fraseggi jazz che dà un tocco di vaporosità all’intero brano, fino a farsi più evanescente per infine svanire nell’etere. Il cantato è significativo, sospeso fra l’onirico e il morbido crooning jazzy.