For ten years, I’ve never been able to make up my mind if I’m a punk rocker or a soul boy, so why not be both?
(Andrew Innes – Primal Scream)
1989.
Da qualche parte nelle Midlands britanniche un furgone sta viaggiando a tutta velocità verso sud.
Il chiassoso clangore che alimenta la sua marcia sembra quasi voler esorcizzare le campagne e le sagome monolitiche di una gloria industriale ormai lontana. Troppo silenzio tutt’attorno. Troppo buio. Meglio accelerare. Meglio tirare fino alle luci di Londra, al loro movimento, alla loro capacità di restituire alla retina un’ipotesi plausibile di presente, di futuro. L’interno puzza di quella variante di muffa mista fumo e sudore che solo chi ha passato la giovinezza a torturare strumenti in umide sale prova può sopportare. Andrew Innes è al volante, alla sua sinistra Bobby Gillespie è stretto nella sua magrezza. Nei sedili posteriori il resto della band: Robert Young, Henry Olsen, Phillip Tomanov. I Primal Scream del 1989. Un’istantanea mossa e apparentemente poco significativa di un cliché del rock’n’roll: scarse soddisfazioni emotive, ancor meno economiche.
La band sta portando in giro il nuovo disco Primal Scream, una svolta hi-energy rock’n’roll alla MC5 dopo un esordio dalle tinte indie pop psichedeliche. La cosa non sembra interessare granché né all’influente stampa britannica né al pubblico. Hanno appena suonato a Hull City o Leeds o Stoke on Trent. Non importa dove: quello che conta è suonare ovunque, impacchettare tutto al volo e tonare a Londra. La scena clubbing della capitale è troppo in fermento per permettersi di buttare una notte in una bettola delle Midlands: meglio una manciata di ore tirate al volante dritti fino allo Shoom, al Gossip o all’Heaven, dove una covata di dj (Paul Oakenfold, Alex Paterson, Danny Rampling e Andrew Weatherall) sta letteralmente mettendo sottosopra il concetto di ballo: la acid house di Chicago e Detroit domina il dance floor, e una nuova droga mette tutti d’accordo nei corridoi e nei bagni: l’MDMA. Non è semplicemente la consacrazione di un trend musicale, è l’affermazione (da lì a poco planetaria) di una vera e propria sottocultura. Non accadeva dai tempi del Punk.
Scremadelica sta tutto qui, e più nello specifico nel vocalizzo sommerso da beat e echi dub al minuto 4:07 di Don’t Fight it, Fell it: “Rama lama lama fa fa fa – Gonna get high ’til the day I die”.
Gli MC5, il rock’n’roll primordiale, il proto-punk, la protesta che lacera la Detroit del 1967 (Rama Lama Fa Fa Fa è la quarta traccia del loro capolavoro, Kick Out The Jams – 1969) e l’edonismo, il nichilismo di panna montata della Generazione Ecstasy (Gonna get high ‘til the day I die): il desiderio e la realizzazione di sentirsi al di là del proprio corpo, universo in comunione, di sentire i colori e vedere l’amore. In altre parole: chitarre come mitra e MDMA. Così lontano, così vicino.
Non si tratta semplicemente di portare il rock in discoteca: a quello c’erano già arrivati Aerosmith e Run DMC nel 1986 con il rifacimento di Walk This Way (originariamente pubblicata in Toys in the Attic del 1975) o, in modo più scaltro, contemporaneo e seminale i Beastie Boys guidati da Rick Rubin con (You Gotta) Fight for Your Right (to Party) o No Sleep Till Brooklyn. Screamadelica è diverso: la coniugazione univoca di due mondi è più urgenza reale che estetica; non è una posa, è lo scivolare naturalmente da un emisfero dei propri ascolti all’altro. È scendere dal palco (il luogo in cui la musica suonata innalza i propri miti) dopo un’ora di infuocato rock’n’roll e buttarsi in pista (il luogo in cui la musica non suonata celebra i suoi veri protagonisti: la gente).
Così basta poco a far sì che, tra una pasticca e un salto nel dance floor, i dj diventino conoscenze, frequentazioni e inevitabilmente collaborazioni, a maggior ragione per una band mentalmente aperta come i Primal Scream.
L’astro nascente di campionatori e piatti Andrew Weatherall decide di mettere le mani su I’m loosing more than I’ll ever have, una ballata dal midollo Jagger-Richards contenuta in Primal Scream. La destruttura e la ricompone attorno a loops ritmici e vocali fino a trasfigurarla in un estratto di modernità: Loaded. Pubblicato nel Febbraio del 1990, nel breve volgere di qualche settimana Loaded diventa IL pezzo da ballare dell’underground londinese. In un modus che ricalca i primi vagiti della disco music, si diffonde senza alcuna spinta promozionale esterna, piazzandosi nella Top 20 britannica solo grazie al passaparola entusiasta di dj e raver. La prima pietra angolare su cui poggerà l’intero Screamadelica è stata posata, e i successivi tre singoli (Come Together, Higher Than the Sun, Don’t Fight it, Fell it) completeranno l’opera, cementando le coordinate stilistiche di questa svolta acida e consolidando i numeri con cui i Primal Scream si affacciano al 1991.
Le restanti sei tracce che compongono l’album vengono scritte in pochi mesi e sono tutt’altro che dei riempitivi. L’attacco è consegnato a Movin’ On Up, un gospel di pura gioia punteggiato di percussioni che vede alla produzione Jimmy Miller, già dietro il banco nei cinque album consecutivi più importanti della storia del rock (da Beggars Banquet del 1968 a Goats Head Soup del 1973, tutti a firma Rolling Stones). A seguire una trasfigurata cover di Slip Inside This House dei 13th Floor Elevator, che mantiene il suo accento psichedelico originario nonostante le tonnellate di echo e groove che la avvolgono. Inner Flight culla sospesa come il punto più profondo di un trip dove tutto è ovatta e percezioni rallentate, mentre Damaged ci riporta là dove gli Stones hanno fatto scuola, l’acido lascia l’altare a pianoforte e chitarra in oltre cinque minuti di rara bellezza.
I’m Coming Down rievoca l’indolenza dei Jesus & Mary Chain (di cui Gillespie è stato batterista) prima di lasciare spazio ad uno dei sax meno banali della musica pop. La chiusura è tutta per Shine Like Stars, con gli echi acidi che vanno dissolvendosi come il viaggio che poco a poco abbandona le membra e la psiche. La lucidità che ritorna con un senso di purezza sa di infanzia, come un’alba sulla spiaggia ghiaiosa di una Brighton qualunque, mentre i rumori della notte si fanno lontani e la prima luce del giorno restituisce la giusta definizione allo sguardo interiore ed esteriore.
Il 23 settembre 1991, Screamadelica raggiunge i negozi di dischi in compagnia di un altro masterpiece della musica alternativa, Nevermind dei Nirvana (i due dischi si contenderanno le playlist britanniche di fine anno: Select e Melody Maker prediligono gli Scream, NME i Nirvana). La spensieratezza high dei Primal Scream è al suo culmine: ben presto l’MDMA lascerà il passo all’eroina e al suo inevitabile down.