La cattiva strada

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La cattiveria è una strada maestra

Antologia di racconti, La cattiva strada ricorda, a tratti, una ballardiana mostra delle atrocità e affonda le unghie nel nostro inconscio più profondo. Abbiamo a che fare con un caso di vampirismo che si manifesta nella più assoluta normalità suburbana (Mi basta il mirto!, di Giulia Abbate), un cinico professionista delle omelie funebri (Una parola per tutti, di Michele Piccolino), la sinistra sostituzione di un erede (Di padre in figlio, di Bruno Vitiello), due omicidi con moventi sovrapposti (La sottile arte della ristrutturazione, di Claudio Asciuti), un’ipotesi terrificante sulla genesi del romanzo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson (Fanny Osbourne e il mistero di Edward Hidden, di Danilo Arona), l’idiozia catodica (Sguardi, di Andrea Angiolino), una prigione virtuale nella quale i corpi dei detenuti sono dati a nolo (Adattabilità, di Vincenzo Bosica), il cinismo indifferente di fronte alle disgrazie altrui (Te lo ricordi Mario?, di Piero Cavallotti), un demone che possiede gli altrui corpi solo per autodistruggersi (Sballo!, di Dario Tonani), i biechi complotti dietro a un esperimento di ronde padane (Progetto Ronda, di Giancluca Mercadante), la regressione di un gruppo umano di fronte all’isolamento (Effetto tunnel, di Francesco Grasso), lo sfruttamento di una figlia da parte del padre (La paghetta, di Paolo Alberti), una losca missione di sterminio senza testimoni (Brocco ha un amico, di Italo Bonera), la passione tra un pedofilo e la sua vittima, che si evolve negli anni (Cieli strappati, di Vittorio Catani), alcuni risvolti del più grande genocidio della storia, quello del Rwanda (Mille colline, di Franco Ricciardiello), un’inchiesta letale tra vicini di casa (Il sondaggio, di Marco Passarello), l’indimenticabile lezione data a uno stupratore seriale (Viola, di Gian Filippo Pizzo) e l’evasione da un carcere informatico (Liberi tutti, di Oskar Felix Drago). Gian Filippo Pizzo fa da collettore a una delle migliori raccolte di racconti degli ultimi anni, confermandosi antologista d’eccezione, oltre che autore di livello. E confermando quanto sia grave la mancanza dell’editoria italiana nell’investire di più sulla narrativa breve.

L’orrore, non quello fantastico ma quello quotidiano, alberga dentro ognuno di noi: un lato oscuro, una cattiva strada intrapresa dalla nostra società intera con la pretesa di essere nel giusto o, per lo meno, di essere legittimata a compiere le peggiori efferatezze nel nome di questo o di quel principio. Una guerra civile dove tutti sono nemici di tutti, perché le fazioni in campo appartengono allo stesso paesaggio morale: quello dell’essere umano.

Non è un caso che Danilo Arona, in uno fra i migliori racconti dell’antologia, prenda come testimone l’inventore del dualismo tra Jekyll e Hyde, simbolo di un’interiorità guasta che agisce sotto la spinta delle pulsioni più distruttive e fa dell’aggressività, esercitata a tutti i livelli, la propria arma migliore. Se è la morale a fare da spartiacque tra ciò che è buono e ciò che è malvagio, oggi quel confine è stato quasi del tutto cancellato; quasi, perché i racconti presentati sono ancora in grado di farci indignare, come lo splendido Te lo ricordi Mario? di Piero Cavallotti, vera e propria pietra miliare di questa raccolta insieme a Mille colline di Franco Ricciardiello.

I benpensanti potrebbero obiettare che La cattiva strada sia un’opera letteraria nociva, poiché dare spazio al male rischia di pervertire il bene, facendolo soccombere; e invece uno dei pregi del libro è proprio quello di aprire una crepa nel moralismo ipocrita, quello che non è mai disposto ad ammettere i moventi che stanno dietro a molte, troppe delle nostre azioni. La durezza delle situazioni presentate ha una forza d’urto dirompente, in grado di scardinare i più vieti alibi dei quali ci ammantiamo definendoli ragioni. La rispettabilità di certo non ci fa bella figura, e le regole sociali dimostrano la loro labilità quando il flusso impetuoso delle correnti represse esplode in situazioni estreme, come nel mirabile Effetto tunnel di Francesco Grasso: la verità appare dietro alla maschera e l’autoindulgenza non può più essere propinata di fronte alla gravità degli atti commessi. La trasgressione fine a se stessa diventa regressione, e la metà oscura che alberga in noi può risvegliarsi in qualsiasi momento, trasformandoci da esseri umani che fingono di non possedere un lato bestiale in bestie che fingono di essere umane. Del resto, come sosteneva Stevenson, la nostra dualità si forma attraverso l’educazione, costruendo una gabbia che imprigioni la nostra materia prima: un paravento per nascondere la nostra vera natura, una serie di regole di convivenza per tenere a bada l’abisso.

La cattiva strada altro non è che un viaggio dentro noi stessi, un processo nel quale l’imputato è l’umanità stessa. Al punto che alla fine della lettura, non resta che chiederci: l’orrore che ci suscitano questi racconti è reale o soltanto di facciata?