Soggiorno di un appartamento borghese. Un uomo, sulla quarantina, in jeans e camicia di cotone, siede sul divano con il computer portatile sulle ginocchia. Ticchetta concentrato sui tasti. Ai suoi piedi, su un tappeto, un bambino di circa sei o sette anni sembra tutto preso a giocare con pupazzetti di plastica che riproducono mostri ributtanti. Invece…
«Papà, ma tu che lavoro fai?».
L’uomo alza per un istante gli occhi dallo schermo.
«Come che lavoro faccio, Marcolino? Faccio lo scrittore, no?».
Se davvero ha sperato di cavarsela così a buon mercato, si è sbagliato di grosso.
«Mmm… sì, ma… cioè… cosa vuol dire che fai lo scrittore?».
«Vuol dire che scrivo delle storie che poi vengono pubblicate».
Sembra una buona risposta. Ma quella che appare una buona risposta dal punto di vista di un adulto, può non esserlo da quello di un bambino.
«Scrivi delle storie…».
«Sì».
«E dove le trovi queste storie?».
«Non le trovo. Le invento».
«Allora sei un inventore!».
«No… sì… in un certo senso… Vabbè, diciamo che non si dice inventore di storie ma si dice scrittore».
«Sì ma, dopo che hai scritto la storia, sui fogli… cosa fai?».
L’uomo alza gli occhi al cielo. Ha capito che sarà dura venirne fuori e tornare al racconto che stava provando a buttar giù.
«Beh sai, c’è molto lavoro per arrivare a pubblicare un libro…».
«Ah, cioè, bisogna prendere i fogli e incollarli…».
«No, no, che cosa c’entra! Mica le faccio io queste cose!».
«Non sei capace? Le fa mamma?».
«No… cioè, non importa se sarei capace o no di farlo. Queste cose le fa il tipografo».
«Il ti.. il pi… go… frago…». Il bambino guarda il papà in attesa di aiuto.
«Tipografo, Marcolino. Sì, insomma, quello che ha le macchine per stampare i fogli, tagliarli e incollarli insieme… che poi a essere precisi si dice rilegare…».
«Regalare?».
«No regalare: rilegare!».
«Ah, però… che bel lavoro il pipografo!».
«Tipografo!».
«Sì, proprio un bel lavoro quello».
«Anche lo scrittore però non è male, non trovi?».
«Sì, abbastanza… però sono belle le macchine che tagliano i fogli e poi li rigl… li rigle…».
«Li rilegano».
«Ri-le-ga-no! Giusto?».
«Giusto».
«Quindi è il tipografo che fa i libri per davvero. Tu scrivi solo la storia…».
L’uomo si agita sul divano. Il portatile ballonzola pericolosamente sulle sue ginocchia.
«Ti sembra poco?».
«No, no… serve anche quello, sennò il tipografo non avrebbe niente da ri-le-ga-re».
«Direi proprio di no!».
«E dopo che il libro è pronto, tutto bello ri-le-ga-to, cosa ci fai? Lo metti sulla libreria in salotto?».
«No, Marcolino. Una copia la tengo lì per ricordo, ma il tipografo non ne stampa una sola: ne stampa tante!».
«Dieci?».
«No, molte di più».
Il bambino si guarda istintivamente le mani e i piedi, contando come gli hanno insegnato a scuola. «Venti?».
«Di solito ne stampa almeno mille».
«Sono tantissimissimissime?».
«Sono tante, sì».
«E dove li conservi tutti questi libri?».
«Ma no, non li conservo io!».
«Ce li ha il nonno in campagna?».
«No, Marcolino. I libri dopo che sono stati stampati vengono portati dentro dei grandi depositi».
«Beh, anche il nonno ha un garage grande!», tiene a precisare il piccolino.
«Sì, ma i depositi dei libri devono essere più grandi, perché ci sono tanti scrittori».
«Ah. Allora lo scrittore è un lavoro facile, lo fanno tutti».
Di nuovo l’uomo alza gli occhi al cielo. «No, non lo fanno tutti!».
«Insomma, i libri li portano nei depositi e restano là…».
«No, non restano là. Poi li portano nelle librerie. Ti ricordi quella che sta in centro dove andiamo a prendere i libri di favole?».
«Quella vicino al gelataio?».
«Sì, quella…».
Gli occhi del bambino si illuminano. «Vicino al gelataio che fa il cioccolato e la fragola?».
«Sì…».
«Che bel lavoro il gelataio!».
«Sì… è un bel lavoro…», ammette l’uomo, sconsolato.
«Perché non fai il gelataio?».
«Perché faccio lo scrittore!».
«Fai lo scrittore perché non sai fare i gelati?».
Per un istante l’uomo non può fare a meno di pensare che è un vero peccato che il mondo sia così cambiato negli ultimi trent’anni; e invidia suo nonno che, quando i nipoti rompevano le scatole, poteva esibirsi nella sua famosa frase: “i bambini devono parlare solo quando pisciano le galline!”. Poi si impone di restare calmo e prova persino a sorridere.
«Faccio lo scrittore perché mi piace scrivere!».
«Ma li sai fare i gelati?».
«No, non li so fare!».
«Ah ecco, mi pareva…», commenta il bambino, rassegnato.
«Gelatai ce ne sono tanti», ribatte l’uomo, vagamente offeso.
«Anche di scrittori. L’hai detto tu che ci sono dei depositi pieni di libri!».
La logica del piccolo è maledettamente stringente. L’uomo non sa cosa ribattere. Così prova a passare oltre: «Sì, ehm… d’accordo… ma poi i libri vanno in libreria».
«Vicino alla gelateria…».
«Ok, ma la gelateria non è importante».
«Lo dici tu! Me lo compri un gelato oggi pomeriggio?».
L’uomo si rende conto che è a un passo dalla sconfitta. «Va bene, te lo compro! Comunque, come dicevo, i libri vanno in libreria. Dove le persone li comprano».
«Li comprano?!».
«E certo, sennò che li scrivo a fare?».
«Avevi detto che scrivevi perché ti piace scrivere!», protesta il bambino.
Al che l’uomo tenta un ultimo guizzo: «Vero. Ma se vogliamo avere i soldi per comprare il gelato bisogna che il papà i libri non solo li scriva, ma li venda anche…».
«Aspetta, ho capito!».
«Hai capito?».
«Sì: tu vendi libri, ecco cosa fai di lavoro!».
«Ossignore…!».
L’uomo si arrende. Inutile continuare. Non prova nemmeno a controbattere.
Il bambino riprende in mano i suoi mostri. Sembra di nuovo lontano mille miglia da lì. Invece…
«Quando usciamo a comprare il gelato?»
FINE