Cristo si è fermato a Eboli

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Il romanzo Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e il film che Francesco Rosi ne ha tratto presentano differenze e similitudini significative.
Innanzitutto, il romanzo è una narrazione autobiografica che racconta l’esperienza dello scrittore nel paese lucano di Gagliano (nome fittizio dietro cui si cela Aliano), ov’era stato confinato dal regime fascista a causa delle sue attività politiche. Il romanzo è una riflessione sulle condizioni di povertà e arretratezza del Sud Italia, sulla durezza della vita dei contadini e sulla mancanza di sviluppo sociale ed economico.
Il film, invece, si concentra principalmente sul tema della giustizia sociale e politica, esplorando la lotta dei contadini lucani contro i latifondisti e il governo fascista negli anni Trenta. Il protagonista è il medico comunista Carlo Levi (un magistrale Gian Maria Volonté), che viene esiliato a Gagliano e scopre la realtà dei contadini lucani.

In entrambe le opere c’è una forte critica nei confronti della società italiana e delle sue disuguaglianze. Tuttavia, il romanzo è più incentrato sulla descrizione della vita quotidiana e delle persone che ha incontrato durante il suo esilio, mentre il film più focalizzato sul conflitto tra i contadini e il governo fascista.
La trasposizione di Francesco Rosi si discosta anche nella rappresentazione dei personaggi, e il tono è drammatico, mentre il romanzo presenta un punto di vista più pacato e riflessivo.
Scritto in modo delicato e lirico, con una prosa che sa catturare l’essenza del luogo e delle persone che lo abitano, è un’importante testimonianza di un’epoca difficile della storia italiana, in cui il Sud era caratterizzato da un forte divario economico e sociale rispetto al Nord.

Levi mostra grande sensibilità nel dipingere la bellezza della natura e della cultura del Sud, ma allo stesso tempo non nasconde la durezza della vita dei contadini, la loro povertà e la loro sofferenza, filtrata dal suo punto di vista di uomo colto e impegnato politicamente. È un libro che riesce a toccare le corde più profonde dell’animo, suscitando emozioni forti e riflessioni profonde sulla condizione umana e sulla società in cui viviamo. Per apprezzarne appieno la bellezza e la potenza evocativa, va letto con calma e attenzione,

Il film, pur infedele, resta un capolavoro del cinema italiano. La regia di Rosi è impeccabile, con una fotografia volutamente in sottotono (di Pasqualino De Santis) che sa cogliere la bellezza e l’austerità del paesaggio lucano e una colonna sonora (di Piero Piccioni) evocativa che ben sottolinea la drammaticità della situazione senza mai diventare invadente.

Consiglierei di affrontare a mente aperta ambedue le opere, magari a cominciare dal film: il godimento ne sarà raddoppiato.

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