L’esule, colui che si allontana volontariamente o forzatamente dalla propria patria, è uno dei protagonisti del nostro tempo, specialmente se per “patria” intendiamo il mondo di appartenenza nel senso più vasto: cultura, idee e morale. É l’essere della trasformazione, colui che è diverso da ciò che avrebbe potuto essere se non avesse vissuto l’esperienza dell’allontanamento.
Per questo il migrante è forse una delle figure centrali di definizione del XXI secolo. Milioni di uomini e donne vivono questa prova che, al di là dell’esperire l’emigrazione in un Paese diverso dal proprio, rappresenta il momento, inevitabilmente violento, del cambiamento di sé. Un emigrante soffre un molteplice sconvolgimento: perde il proprio luogo di origine e di appartenenza, entra in un altro linguaggio e si trova circondato da uomini con comportamenti sociali e codici molto diversi dai suoi. Questo è ciò che rende gli emigranti figure tanto importanti: perché le radici, la lingua e le norme sociali sono tre delle principali parti della definizione di ciò che un essere umano è. L’emigrante, una volta che le ha negate tutte e tre, è obbligato a trovare nuovi modi di descrivere se stesso e di essere uomo.
L’ingresso del nuovo nel mondo non è facile: il rischio non è solo quello della vita, ma anche quello della perdita totale di sé, e spesso si soccombe di fronte alla prova.
L’esule è colui che sperimenta la condizione drammatica dell’assenza, che si stacca da un Paese e perde il retroterra culturale che lo identifica, perché l’emigrazione è, in un primo momento, un gesto violento di privazione, e solo chi riesce a trasformarsi, e ricreare uno spazio al quale appoggiarsi, si può salvare.
La città si collega in modo ripetuto alla questione dell’immigrazione, poiché è essa stessa un luogo del passaggio ed è una meta dell’arrivo. É il luogo in cui “accadono le cose”, e può avere una valenza evocativa inquietante, perché profondamente associata al senso di confusione e di smarrimento;o, al contrario, esaltante, perché diventa il luogo reale e metaforico dell’incontro, dove acquista significato la compresenza e si concentrano in sé i concetti di molteplicità, di coesistenza di realtà incompatibili e diversità di fedi e di culture.
Le città diventano quindi luogo del tutto, perché, come le vite, sono affollate di persone, di fatti, di cose che concorrono a ricomporre un mosaico grandioso. E la città mondo è un elemento di questo nuovo creato. La metropoli diventa luogo dell’incontro, e perciò è anche luogo dell’emigrato che entra in contatto con realtà nuove e che si relativizza.
Lo spirito umano è sempre lo stesso, ma adotta, nelle sue migrazioni, forme sempre variabili. Il nuovo e più enigmatico prodotto del nostro tempo è il migrante, che ripropone il mondo attraverso un’ altra visione, quella di chi parte dall’esperienza dello sradicamento, della separazione e della metamorfosi.
Penso che il problema che si deve porre la letteratura oggi sia quello di rinnovare un linguaggio ed esplorare scritture che esprimano un tentativo di re-impossessarsi delle cose e di un mondo che è anche quello “dell’altro”, per dimostrare che la morale e la realtà sono esperienze interne ad una cultura e sono mutevoli, piuttosto che esterne e assolute.
In questo tempo noi siamo testimoni di un’epopea, vediamo scorrere davanti a noi l’epoca della gioventù martoriata, della ricerca e della disperazione, non tanto per ciò che chi fugge si lascia alle spalle, ma per l’ineluttabilità della spinta a muoversi.
Così come l’Iliade e l’Odissea sono i miti fondanti di una cultura e di una civiltà, ed i loro protagonisti rappresentano i campioni, eroi luminosi o al contrario oscuri di quello scontro, la nostra sarà ricordata come l’epoca delle grandi migrazioni, e ciò che ancora dobbiamo scrivere sarà la narrazione della nascita di una nuova civiltà, la definizione di una nuova letteratura e forse di un nuovo canone letterario.
Noi possiamo solo testimoniare e combattere sul fronte di ciò che crediamo essere la nostra guerra, e solo scegliere cosa essere tra gli uomini. Non fermeremo nessuno, non è possibile farlo. Il tempo e la storia non si arrestano.
Un giorno saranno altri a ricordarsi di noi.