Stare a cavallo della vita indomita: intervista a Franz Krauspenhaar

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Non sempre rileggo i libri, capita di rado, tranne che con Caproni: Caproni mi consola, mi riporta allo stato di tranquillità, ma insomma, sono fatti miei quali farmaci utilizzo per superare le turbolenze della vita. Tuttavia questa estate, facendo ordine dopo un faticosissimo trasloco, e ancora fatti miei, direte, m’è tornato tra le mani Effekappa (Zona) di Franz Krauspehnaar, una raccolta poetica edita nel 2011. La poesia non invecchia e nei versi di Franz ho ritrovato con piacere il graffio e l’ironia che lo caratterizzano, sia come narratore che come poeta. Franz maneggia la parola con audacia trasformando la materia drammatica, ci offre i propri occhi per vedere; l’io è anche il mezzo su cui viaggiare e non ci sono veli a coprire la realtà: tutto è esposto con onestà. È una poesia che fa i conti con la morte, con la solitudine, col dolore, attraverso il racconto del padre ad esempio, ma non solo; tematica, quella paterna, che ricorre in altri scritti dell’autore. «Un uomo paziente ha pazienza, /finché la pazienza gli volge le spalle, /e l’abbandona per sempre: d’inverno, nel vento.»: quando il lettore intraprenderà il proprio viaggio con Krauspenhaar dovrà essere cosciente che non si fermerà fino a destinazione. Forse è questo l’unico rischio che si corre: salire a bordo della vita indomita, fare esperienza concreta della solitudine. Effekappa è certamente l’autore stesso ma nelle sfumature crude del racconto, messo nelle mani di tutti, è un ego che s’annienta per lasciare luce alle parole. Un buon monito contro l’individualismo imperante. 

  1. Biografia e poesia sono collegate?

Molto spesso. Nel mio caso sempre, come se i miei pensieri e la mia vita cercassero una ultima via d’uscita per farsi capire da qualcuno. Negli ultimi tempi ho abbandonato la poesia, l’ultimo libro è del 2016. Ho scritto delle cose che mi portano a un informale che non mi rappresenta, e dunque le ho abbandonate. È come se in cinque libri avessi esaurito le cose da dire in questa forma. In fondo non rinnego niente, ma per avere un po’ di visibilità non so bene cosa bisogna fare. Forse perché sono essenzialmente un romanziere e negli ultimi anni un musicista. Forse basterebbero due libri per avere di me un’idea sufficiente: Effekappa (Zona, 2011), e Le belle stagioni (Marco Saya, 2014), un libro lungo, un poema in prosa poetica che è anche un romanzo in versi, e racconta un anno della mia vita attraverso il passare delle stagioni, con passaggi di tempo nel passato remoto, specie di un Medioevo shakespeariano. Per certa buona critica non è passato inosservato, ma il mondo della poesia italiana, diciamo così, è troppo sfaccettato. Me la cavo, forse, con eleganza.

  1. «Noi siamo gli scrivani/per vendetta»: dimmi, si scrive per vendetta?

A volte sì, per colmare un grande vuoto, per riprendersi in un mondo fantastico quello che in un mondo reale, che a volte ci è stato avverso, ci è stato sottratto. Non tanto la felicità, che non attiene alla poesia, quanto una forte identità.

  1. Quando la letteratura tradisce?

Quando diventa solo prodotto industriale, o somiglia a un cesto di paglia senza niente sopra, un cesto abbandonato in un magazzino abbandonato.

  1. Essere degli sperimentatori nella lingua e nello stile penalizza?

A volte no, ma è raro. Io ultimamente, parlo soprattutto di romanzi, sono stato fin troppo parco di parole e descrizioni, ho voluto parlare in estrema sintesi. In seguito sono tornato a un libro, il prossimo, uscita 2020, molto più ricco di sensazioni, cambi di tempo, digressioni. Quello di Brasilia (Castelvecchi) per me è stato un esperimento, tirare una storia al limite del non detto, del mistero non svelato, della sparizione dei personaggi senza una spiegazione.

  1. Un “buon poeta” può essere anche un “buon narratore” o viceversa?

È abbastanza raro. I poeti praticano il loro sport, i narratori uno sport completamente diverso. Io come poeta sento l’influsso, fortemente, del mio sport più praticato, la narrativa. Ma fare tutte e due le cose può essere molto arricchente.

  1. Franz Kafka è motore propulsore di “EffeKappa”?

In filigrana. La casa editrice Zona ha fatto una copertina geniale mettendo insieme la mia faccia con quella di Kafka e giocando con le iniziali. Certo qualcosa di kafkiano c’è, quello è un libro che mi racconta in diverse sfaccettature: tragico, drammatico, ironico, comico, giocoso.

  1. «Io modesto? È il solo difetto che mi onoro di non avere.» (Gabriele D’Annunzio)

Questa raccolta inizia con una dichiarazione di immodestia che mi ha colpito e divertito. La modestia è falsità?
Ma no, ce ne fosse di più si vivrebbe tutti meglio. Se ci fosse soprattutto più umiltà, quella vera, che può essere anche violenta. Invece tutti puntano al programma di Fabio Fazio, dove, per dirla in maniera sintetica, di vero e sincero non c’è mai stato un emerito cazzo.

  1. Scrivi da molti anni, non ti chiederò che cosa secondo te manca alla letteratura oggi, piuttosto cosa bisognerebbe eliminare?

I libri inutili, che non ti danno nulla. Bisognerebbe separare i veicoli di intrattenimento. Il cinema e la tv si occupano di intrattenimento, anche d’arte, e se vuoi approfondire in tutti i sensi compri un libro. Mandare a morte tutto lo schifo che toglie aria e spazio, tutte le porcherie. Gli ignoranti, i coglioni comprino i dvd, per loro è già tanto. È una proposta irrealizzabile, perché tutto è votato al guadagno.
I libri peggiori sono quelli in finta pelle, quelli che vincono i premi perché sembrano di letteratura e invece sono delle storielle estrogenate dagli editor e propalate dai giornali del gruppo di riferimento. Non faccio nomi, perché dovrei passare in modalità violenta e io, da un po’ di anni a questa parte, ho raggiunto una certa saggezza pacificatoria, ma non ancora la disillusione. Diciamo che per i 15 o 16 libri che ho pubblicato meriterei di più, ma penso molto di più a quello che sto scrivendo o che devo ancora cominciare a scrivere. Non bisogna fermarsi mai veramente.

Qui, due poesie di Franz Krauspenhaar:
Per vendetta
Bambino cattivo

Nota biografica

Franz Krauspenhaar, nato a Milano il 12.11.1960, scrittore, poeta e musicista elettronico, ha partecipato più che altro nel decennio passato a varie antologie di racconti. È stato per qualche anno redattore dei blog Nazione Indiana e La poesia e lo spirito.
Ha collaborato a Stilos, Il Napoletano, altri siti internet e attualmente scrive di letteratura per il sito Pangea.
In campo musicale ha pubblicato per Believe Music quattro dischi digitali di musica electronic-progressive col nome d’arte di Nerolux.

Pubblicazioni e collaborazioni

Romanzi
Avanzi di balera (Addictions, 2000)
Le cose come stanno (Baldini&Castoldi, 2003)
Cattivo sangue (Baldini Castoldi Dalai, 2005)
Era mio padre (Fazi, 2008)
L’inquieto vivere segreto (Transeuropa, 2009)
1975 (Caratteri Mobili, 2010)
La passione del calcio (Perdisa, 2010)
1975 (CaratteriMobili, 2010)
Un viaggio con Francis Bacon (Zona, 2011)
Le monetine del Raphaël (Gaffi, 2012)
Le prove di esilio (Sillabe di Sale, 2015 – con Michele Cacccamo)
Grandi momenti (Neo., 2016)
Un affresco in nero (Il Seme Bianco, 2017)
Brasilia (Castelvecchi, 2018)

Poesia
Franzwolf (Manifattura Torino Poesia, 2009)
Effekappa (Zona, 2011)
Biscotti selvaggi (Marco Saya, 2013)
Le belle stagioni (Marco Saya, 2014)
Capelli struggenti (Marco Saya, 2016)

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