In occasione dell’uscita delle antologie La cattiva strada (edizioni Delmiglio) e Il prezzo del futuro (edizioni La Ponga), ambedue curate da Gian Filippo Pizzo, abbiamo incontrato, oltre al curatore, i due editori (Emanuele Del Miglio e Stefano Tevini), la traduttrice Silvia Castoldi e quattro degli autori: Italo Bonera, Piero Cavallotti, Marco Passarello e Dario Tonani. L’intervista è stata condotta da Irene Panighetti e Heiko H. Caimi.
Irene Panighetti (IP): Pizzo, perché lo scritto di un autore dovrebbe restare in mente? E che aspetto vorresti fosse ricordato del tuo racconto inserito in La cattiva strada?
Gian Filippo Pizzo: Premetto che, secondo molti, il curatore di un’antologia non dovrebbe pubblicare un proprio scritto nella stessa; secondo me invece non c’è nulla di male nel farlo: mi è capitato di creare antologie e di metterci un racconto perché pensavo ci stesse bene e perché volevo mostrare il mio punto di vista; non quello della prefazione, come antologista, ma quello narrativo. Il mio è un racconto noir che ho scritto in occasione di alcuni episodi di stupro avvenuti a Roma: ci ho messo molta rabbia anche se poi, essendo un tipo molto pacifico, non la esterno troppo nello scrivere.
Heiko H. Caimi (HHC): Italo, per questa antologia hai consegnato il racconto Brocco, un amico, che è legato alla cosmogonia del romanzo Io non sono come voi e della raccolta Cielo e ferro.
Italo Bonera: Esatto, è uscita un’altra antologia che apparteneva allo stesso mondo in cui è ambientato Brocco, un amico. Ma questo racconto l’avevo promesso a Gian Filippo, quindi è rimasto qui. Mi piaceva l’idea di un protagonista ingenuo, di una vittima predestinata -perché se sei una brava persona sei una vittima- e che, nonostante faccia parte dei servi del potere, viene sacrificata; mentre dall’altra parte, dove c’è il vero potere, c’è il falso amico di Brocco e ci sono la cattiveria e la crudeltà; “la crudeltà al potere” è uno dei temi che sono generalmente presenti nelle cose che scrivo.
HHC: In ambedue le antologie c’è un racconto di Pietro Cavallotti. Ne Il prezzo del futuro c’è un racconto dal titolo Robin Hood il cui protagonista è un hacker che riesce a ridistribuire equamente la ricchezza…
Piero Cavalotti: È la storia di un hacker che riesce, non si sa bene come, ad entrare nei conti neri delle grandi multinazionali, dei grandi evasori e a ridistribuire queste immense fortune in centinaia di migliaia di conti correnti di pensionati, di cassintegrati, di precari. Per me è stato uno sfogo, un modo per dare vita a una fantasia non manifestabile nella realtà.
HHC: Anche in Te lo ricordi Mario?, inserito in La cattiva strada, non c’è Robin Hood, ma è come se ci fosse…
Cavallotti: Esattamente. In questo racconto, non fantascientifico e non ambientato nel futuro, un pensionato è stato truffato dalla sua banca, che a suo tempo gli vendette delle obbligazioni argentine, mandandolo in rovina e portandolo piano piano a spegnersi fino a morire. Mi è stato chiesto cosa volevo che restasse di quel racconto; una sola cosa: tanta rabbia. Perché anche io sono stato Mario, anche io sono stato truffato in questo senso; quindi tanta rabbia verso il potere, verso un capitalismo sempre meno umano che non si fa scrupolo a calpestare la dignità e la vita di tantissime persone.
HHC: Invece Marco Pasasarello, per La cattiva strada, ha scritto un racconto cattivissimo, nel quale è facile identificarsi, perché c’è un uomo molto scontento dei propri vicini, finché non gli arriva una telefonata in cui deve rispondere a un sondaggio su di loro e ha finalmente la possibilità di sfogarsi; salvo che questo sfogo comincia ad avere delle conseguenze…
Marco Passarello: Risale al tempo della salita al potere di Berlusconi, quando i sondaggi erano diventati il centro della politica: sondaggi fatti per giustificare le scelte politiche. Con questo racconto ho voluto fare una metafora: il protagonista è un uomo che ha paura di tutto, odia tutto quello che gli sta attorno perché è un uomo sfortunato, un uomo con una visione ristretta delle cose; attraverso la misteriosa voce che lo sonda attraverso il telefono, lui riversa tutto il suo odio verso l’esterno, ma questo odio gli ritorna indietro, perché il mondo che lo circonda diventa sempre più simile alla sua visione, come un feedback di paura e odio che si realizza.
IP: Ti è piaciuto scrivere da cattivo?
Passarello: Mi piace, ed è sicuramente bello mettere in scena personaggi cattivi; un po’ perché è liberatorio, consente di mandare fuori parti di noi stessi che di solito sono sotto controllo: si vive attraverso il personaggio la cattiveria che non ci si permette di vivere nella realtà. La cattiveria probabilmente è molto più interessante da narrare che non la bontà, e in qualche modo colpisce la fantasia; è meno spontanea: possiamo essere cattivi in tanti modi diversi.
IP: Che cos’è la cattiveria, se si può definirla cattiveria? E può essere usata come genere letterario?
Dario Tonani: La cattiva strada dimostra che la cattiveria può essere un amalgama per trattare un’antologia. Se la bontà costa cara, pazienza: impegno, coraggio, perseveranza. La cattiveria no: è gratis, vale quello che riesce a generare, un bel gruzzolo o una montagna di sensi di colpa. Tutti noi autori abbiamo esibito qualcosa che normalmente riserviamo al nostro pudore, al nostro desiderio di nasconderci. Il tema proprosto da Gian Filippo è stato quello di tirare fuori il peggio dalle nostre anime: il meglio come scrittori e il peggio come sentimenti.
IP: Funziona come categoria letteraria?
Pizzo: Non lo so: in fondo i cattivi ci sono da sempre nella letteratura, dall’Odissea e dall’Iliade; se non ci fossero i cattivi non ci sarebbero i buoni. Qui, in particolare, non ci sono i buoni, che sono comunque vittime. Non c’è un episodio di bontà che contrasti, non ci sono la bontà che trionfa o la redenzione del colpevole.
IP: Che cosa vuol dire essere cattivi?
Cavallotti: Ci sono tante sfaccettature, naturalmente, però la persona deve essere colpita laddove manca di rispetto agli altri. Parlando di cattiveria e di cattivi c’è il grosso rischio di trasformare il cattivo in qualcosa di interessante; invece qui, e nell’altra antologia, ho voluto fare racconti con cattivi come oggetto di disprezzo, non di interesse.
Pizzo: Ho cominciato questa antologia avendo come esempi il racconto di Piero e quello di Delmiglio. Mi ero focalizzato sulla cattiveria da parte della società, da parte del potere economico, sociale: dove è folla, non è solo potere, ma l’incoscienza della moltitudine.
Tonani: A mio giudizio il cattivo è un personaggio intricatamente interessante. Una letteratura e un cinema con solo personaggi buoni sarebbe assolutamente monocorde e noiosa; la cattiveria, da sola, è quantomeno una storia, per cui ci si diverte molto a creare personaggi cattivi. La bontà da sola non starebbe in piedi: ha bisogno di un lato oscuro con cui confrontarsi.
Pizzo: Per questa antologia molti autori mi hanno detto “no, io un racconto sulla cattiveria proprio non lo voglio scrivere”. In diversi mi hanno detto che non gli andava come tema.
IP: Ma perché dovrebbe essere un problema se piacciono gli eroi cattivi?
Passarello: Dipende da come piacciono. A me piace molto questa nuova tendenza della TV, in particolare americana, di mettere il cattivo come protagonista: il semplice villain, l’antagonista, ha stancato perché non è abbastanza profondo. Secondo me una cosa molto bella è poter riuscire a vedere la cattiveria in noi stessi: immedesimarsi e capire che cos’è la cattiveria. Ecco perché Breaking Bad, tanto per citare una serie TV che tutti conoscono, è un capolavoro: Walter White, il protagonista, è una persona normale che diventa cattiva, e uno spettatore si può chiedere: “nella stessa situazione farei le stesse cose?”. Questo, secondo me, è il senso di avere un personaggio cattivo per cui parteggiare, per cui immedesimarsi: chiedersi se queste scelte, che noi giudichiamo come cattive dall’esterno, poi sono veramente qualcosa che ci è estraneo, o qualcosa che ci appartiene.
Delmiglio: Credo che un tratto comune del cattivo sia la mancanza di empatia, l’incapacità di sentire di fondo; può esistere una cattiveria che è motivata o immotivata, oppure attiva o passiva; quello che ti riga la macchina e quello che, se stai male, si gira dall’altra parte. Ci sono tanti modi per essere cattivi. E comunque la cattiveria interessa, lo dimostrano i giornali. Non leggerete mai: “bravissimo, ha lavorato trentanni ed è arrivato alla pensione”.
Da sempre il cattivo interessa perché è pericoloso e misterioso.
Tonani: Agganciandomi a quello che ha detto Emanuele, vorrei fare un paragone tra la cattiveria e il buio. Il buio è molto più seducente della luce, dove tutto appare come è: nel buio c’è mistero, c’è la volontà del singolo di vedere certe cose, di percepirle, di toccarle, di annusarle. Il cattivo replica il buio che è così seducente, mentre la luce del buono è lì. È quel personaggio che si mette tra l’ingresso e l’uscita del tunnel, che è mistero, minaccia, agguato Il cattivo lo riconduciamo al lato buio, all’oscurità, al fatto che non siamo in grado di vedere il suo vero essere, il suo profilo, i suoi contorni; in questo credo che il buio e il cattivo siano due facce della stessa medaglia, ed è la ragione perché per cui ci cono grande interesse e seduzione nei confronti del cattivo e del lato buio.
FINE
Editing intervista: Alice Corrò
Per leggere la prima parte dell’intervista clicca qui:https://www.inkroci.it/racconti-brevi/interviste-a-scrittori-famosi/il-futuro-e-una-cattiva.html