Baret Magarian: Il segreto di una buona narrazione è mantenere sempre le cose in movimento

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Questa intervista con Baret Magarian è stata realizzata soprattutto in italiano*. Devo dire che non sono riuscita a farlo parlare del suo romanzo Le macchinazioni, né a capire in quale anno ha deciso di trasferirsi in Italia. Immaginavo che mi raccontasse di più sulla sua storia d’amore con la lingua italiana e sulle amicizie letterarie che ha stretto a Firenze, dove ha scelto di vivere; ma no: ha voluto rimanere misterioso e, scherzando, mi ha detto solo il titolo della sua autobiografia, che non si sa se un giorno verrà scritta – un bel titolo, lo devo ammettere, in cui è presente il nome di una cittadina toscana che lo affascina molto come suono. “Hmmm… Bel titolo, gli ho risposto, ma non so come si venderà…”. E lui, ridendo: “Con grande difficoltà”.
Volevo che mi raccontasse di più sulle letture che ha fatto, perché già prima di proporgli di intervistarlo sapevo che aveva letto alcune sue poesie al British Institute di Firenze e dei brani dei suoi racconti alla chiesa anglicana di St. Mark, sempre a Firenze. Eh no: lui non ha voluto ritornare al passato anche se ci sarebbero state da raccontare cose belle. Solo una volta, nei nostri discorsi, mi ha menzionato il suo monologo “The Pain Tapestry”, che è stato da lui stesso messo in scena in italiano a Torino e a Firenze, con l’attore italo-americano Roberto Zibetti. La stessa opera è stata rappresentata in inglese a Reykjavik, in Islanda, davanti a un pubblico numeroso. Infatti abbiamo realizzato questa intervista nel periodo in cui le letture venivano realizzate soprattutto online, viste le condizioni imposte dalla serie di lockdown.
Mi rendo conto che trasmetterò poco, quasi nulla, del suo sense of humor, di cui si renderà conto adeguatamente chi leggerà le sue opere e chi lo conosce di persona. Ma un accenno ve lo vorrei dare,  autore permettendo… Quando stavamo per scegliere la foto che accompagna questa intervista gli ho detto che ci voleva una foto attraente, e lui: “Possiamo usare photoshop per cambiare alcuni dettagli? Naso meno grosso… più capelli…”.

Melodramma, thriller, confessione, enigma – qualcuno ha dato queste etichette di genere ai tuoi racconti, che variano da uno all’altro. “Il primo racconto è già un breve film”, si legge in un commento su Amazon.  Dimmi un po’, che effetto ti fanno le comparazioni che alcuni fanno con Samuel Becket, Woody Allen e Billy Wilder? E quel è il tuo regista preferito, tra loro tre?
Ovviamente non merito questi confronti! Ma è molto bello essere paragonati ad artisti così grandi. Penso che Wilder sia un genio assoluto; e io sono in soggezione per la sua gamma di pellicole diverse, per la sua versatilità e arguzia – poteva fare qualsiasi cosa. Il mio film preferito di Wilder è probabilmente Prima pagina – semplicemente meraviglioso.

Provi nostalgia per i cinema, scomparsi dai centri cittadini?
Sì, provo tristezza per la scomparsa dei cinema: mi sono sempre sembrati luoghi magici, a metà strada tra sogno e realtà. Sono come custodi di sogni, uteri, caverne. Ci permettono di essere anonimi, vagando nell’oscurità. Spero davvero che questa pandemia non significhi la fine dei cinema. Ne morirei.

Hai una tua traduzione italiana del titolo della raccolta “Melting Point”?
Punto di Fusione, ma è un po’ bruttino, credo[1].

Il libro ha una postfazione dello scrittore inglese Jonathan Coe. Che cosa ti ha colpito di questo scrittore e amico, come lettore e anche come scrittore?
Coe è meravigliosamente umano; comprende il cuore umano e le sue fragilità, le sue aspirazioni, i suoi desideri e impulsi verso la nostalgia e il passato, e le pene dell’amore e del desiderio. È anche un maestro della trama: sa costruire istintivamente l’architettura di un libro, è un meraviglioso manipolatore della coincidenza, delle svolte e del sovvertimento dell’attesa. Alla fine riesce a sposare tanti generi diversi mettendoli insieme in modo fluido e discreto. Mi ha insegnato moltissimo, ed è anche una persona meravigliosamente generosa e gentile.

Hai un racconto preferito tra i dieci nel libro o tra tutti quelli che hai scritto?
La mia storia preferita in Melting Point è probabilmente “The Watery Gowns”, che parla di una subacquea di acque profonde che può liberarsi dalla goffaggine solo quando è immersa nell’acqua. È un personaggio femminile per cui provo un grande affetto. Mi è piaciuto molto scrivere quella storia, e il modo in cui passa da uno stato d’animo di orrore a uno di festa.

Ti attirano le invenzioni narrative originali? Le cerchi o le trovi?
Entrambe le cose, suppongo: cerco sempre di sorprendere il lettore senza ricorrere a trucchi a buon mercato o a manipolazioni. Il segreto di una buona narrazione è mantenere sempre le cose in movimento e in cambiamento. Se riesci a fare queste due cose, stai facendo molto bene!

Tu sei di origine armena… Che cosa hai conservato di quelle terre?
Sono nato a Londra ma la mia origine è essenzialmente armena. I miei genitori mi parlavano in armeno, andavo regolarmente alla chiesa armena a Kensington, mia madre preparava cibo armeno – davvero delizioso! Mia madre è nata in Siria, e da bambina si è trasferita con i suoi genitori a Cipro, dopo che a suo padre era stata offerta la posizione di prete armeno a Nicosia. Mio padre è nato a Nicosia, dove lavorava nel settore assicurativo. I miei genitori si incontrarono lì, poi emigrarono nel Regno Unito a causa della minaccia di un’invasione turca dell’isola, effettivamente avvenuta nel 1974. Però  la mia educazione è stata tipicamente britannica, il che significava morire congelati sui campi da gioco durante il brutale inverno, scrivere righe in detenzione e sadici maestri di scuola che non troverebbero mai lavoro al giorno d’oggi. Ero uno scolaro molto infelice a cui non piacevano le docce comuni con gli altri ragazzi e non ero bravo nei giochi o nell’esercizio fisico. Di conseguenza, naturalmente, volevo diventare uno scrittore. Tutto ha perfettamente senso! Ma avverto che il mio cuore è rimasto soprattutto armeno … e la mia sensibilità e forse più armena che inglese – direi che la mia scrittura è malinconica, e anche visionaria, e questi due elementi sono più armeni che inglesi…

La situazione in Armenia, da tempo, non è delle più serene… Che cosa ne pensi ?
La recente guerra tra Armenia e Azerbaigian è stata un tragico e terribile promemoria che le forze turche dello sciovinismo non sono rimaste a lungo dormienti. Nonostante gli sforzi eroici e incredibili dei soldati armeni, il loro straordinario coraggio e la loro forza, l’Azerbaigian, come il barboncino della Turchia, è riuscito a prendere il sopravvento in maniera schiacciante nella guerra grazie alle risorse militari a sua disposizione e al sostegno della Turchia. Ancora una volta abbiamo visto che Turchia e Azerbaigian non si fermeranno davanti a nulla nel loro tentativo di terrorizzare, distruggere e sradicare un popolo pacifico. Hanno torturato, mutilato, decapitato e ucciso gli armeni del Nagorno-Karabakh. Hanno deturpato un’antica cultura spirituale che si trova all’estremo opposto delle loro eredità culturali, segnate come sono da lunghi periodi di ferocia. La Turchia dovrebbe essere immediatamente espulsa dalla Nato, in quanto si è dimostrata assolutamente incapace di seguire le regole di una società civile. Gli armeni sono stati nuovamente derubati della terra, massacrati sistematicamente, e le loro anime sono state lacerate da quelle forze in modo schiacciante. In tutto il mondo gli armeni hanno espresso la loro opposizione a questa guerra, ma la loro voce è stata ignorata: dal Regno Unito, dall’America, dalle potenze europee e dai politici, che erano troppo ipocriti, troppo deboli e troppo mendaci per intervenire e fermare una guerra illegale e malvagia, progettata per gonfiare l’ego demente di Erdogan e sostenere il nazionalismo tossico del nuovo impero turco che lui spera di forgiare. L’Armenia non dimenticherà mai queste atrocità e questo attacco alla sua gente, alla sua cultura e alla sua identità. E lo sciovinismo turco non se ne andrà. L’Europa dovrebbe fare attenzione.

Tuttavia, il nuovo presidente statunitense Biden ha definito le cose con i loro vero nome…
Trovo estremamente incoraggiante e anche molto significativo che il presidente Biden abbia riconosciuto formalmente il genocidio armeno. Questo invia un segnale molto chiaro alla Turchia, che non può più provare a rivedere e distorcere i fatti del passato: la sua negazione del genocidio non può più essere tollerata. Penso che ora la Turchia sarà costretta a fare finalmente ammenda per le atrocità che ha perpetrato contro il popolo armeno sia recentemente, sia storicamente, durante il genocidio del 1915.

Leggendo la tua novella Specchio e Ombra mi chiedo: è più facile o più divertente scirvere in terza persona per una donna?
È stato molto divertente scrivere in terza persona per la protagonista Bryony, una ricca donna inglese che vive a Venezia. Per qualche ragione ho sentito che Bryony era piuttosto facile da immaginare e scrivere, e il racconto era relativamente facile da eseguire e comporre. In un certo senso, suppongo di essere abbastanza femminile da poter occupare il punto di vista di una donna in modo abbastanza intuitivo e naturale. Che io capisca o meno le donne, questa è una storia diversa!

Quanti soggiorni a Venezia ti sono “costati” per scrivere la novella ambientata a Venezia? Oppure quanto tempo ritenevi necessario e opportuno per scriverla?
Sono stato a Venezia molte volte, ed è un luogo che amo, ovviamente. Ma chi non ama Venezia? Suppongo di esserci dovuto andare una mezza dozzina di volte circa, per essere in grado di sentire che avrei potuto scrivere facilmente ed efficacemente sulla città. Certo è molto difficile scrivere di Venezia senza ricorrere ai cliché: ma suppongo sia difficile per qualsiasi argomento.

“Venezia è incredibile” mi hai detto, ma sono curiosa: non volevi andare ad abitare lì? Ti sei accontentato di scriverne, hai scelto la finzione piuttosto che la vita di ogni giorno nella città lagunare… Come mai le hai preferito Firenze?
Amo troppo Venezia per volerci vivere. Firenze è meno magica, direi, e più abitabile: è una città più funzionale, più reale di Venezia. Penso che, se vivessi a Venezia, perderei ogni contatto con la realtà, il che avrebbe il suo fascino, ma probabilmente sarebbe fatale e deturpante nel conteggio finale. Forse Venezia è un po’ come un’amante, e Firenze un po’ come un moglie, per cosi dire… E Londra? Londra è un po’ come il postino!

Ci sarà per Firenze un romanzo come quello che hai scritto per Londra?
Ho un’idea per un romanzo ambientato a Firenze che è piuttosto ambiziosa. Non so se riuscirò mai a scriverla, però. Sarebbe fantascienza universitaria in termini di genere, è così che la chiamo – è una mia invenzione: Campus sci-fi!

Mi hai detto: “La nostra epoca non è l’epoca dei romanzi”. Credi davvero che non ci saranno lettori per i romanzi che la nostra epoca provoca a scrivere?
Ovviamente ci sono lettori di romanzi e ci sono anche grandi romanzi, ma penso che il romanzo come forma non sia più in sintonia con lo zeitgeist, forse perché non c’è più lo zeitgeist in quanto tutto è troppo affollato, troppo veloce, troppo travolgente, troppo fuso e mutevole. Il romanzo era fantastico per il diciannovesimo secolo: la forma d’arte perfetta per riflettere quei tempi. Immagino che al giorno d’oggi la forma che riflette i tempi odierni sia un video di due minuti pubblicato su youtube. Lo trovo piuttosto triste, a dire il vero.

Poi ci servono sempre le comparazioni… ormai i modelli per scrivere un romanzo innovativo sembra che siano esauriti. Ti lusinga il fatto che qualcuno ti trova simile a Kafka o a Calvino?
Ovviamente sono molto lusingato. Kafka ha avuto una grande influenza su di me quando ero più giovane e mi ha insegnato come fondere il mondo della realtà e il sogno. Calvino non lo conosco molto bene, ma il suo libro Se una notte d’inverno un viaggiatore è meravigliosamente ricco e innovativo. Queste grandi anime hanno lasciato tracce di se stesse nelle loro opere, e questo è un grande dono per noi.

Come si fa l’editing di un romanzo di seicento? Mi sembra un’impresa da titani…
Sì, in effetti! Con il sudore, il sangue e le lacrime, come ha detto Mr. Churchill.

Poi a me un romanzo di seicento pagine, così corposo, sembra l’equivalente di una piramide egiziana… ah ah. Come si costruisce, come si realizza? Ci sono sempre degli spigoli evidenti: ti preoccupi di come li sentiranno i lettori?
Non voglio spaventare il lettore con un libro di molte pagine. Nel caso delle Macchinazioni non so bene cosa sia successo – la storia ha continuato a crescere e ha iniziato a prendere vita, come si suol dire. Ma credo fermamente che la lunghezza sia giustificata e che debba essere ampia per poter funzionare e coinvolgere completamente il lettore, per portarlo completamente in quel mondo.

Mi hai già detto che ti ci sono voluti cinque anni per scriverlo, un anno per pensarlo e più tempo per essere pubblicato…
Sì.

Hai mai pensato di andare in una delle grandi agenzie letterarie di Londra e di trovarti un bravo agente?
Gli agenti di Londra mi considerano l’equivalente letterario di qualcuno affetto da lebbra in piena regola.

Leggi i romanzi premiati? Quelli che vincono i premi letterari famosi e poi si trovano in vetrina di tutte le librerie?
No. Non mi interessa, anche se l’anno scorso ho letto The North Water, che è stato elencato a lungo per il Booker Prize. Ho pensato che fosse davvero molto buono.

Alla fine non possiamo che parlare del tuo rapporto con la poesia, delle tue “bestie preferite” e di come hai lavorato, o collaborato, con i traduttori italiani delle tue poesie.
La poesia è difficile da tradurre – non potrei mai farlo, quindi ho una grande ammirazione per chi è maestro in quest’arte difficile, come il nostro comune amico Andrea Sirotti. Sono stato fortunato per il mio volume di poesie, perché avevo dei grandi traduttori: Andrea, Martha Canfield, Sylvia Zanotto e Andrea Spadola. Sono stato proprio viziato!
La poesia è più essenziale della finzione, più semplice, più sincera e si presta meno a trucchi ed espedienti. La poesia è come la sabbia, il mare, il vino, il sangue, il pane. È materia dell’esistenza: marina la vita con le sue lacrime e la sua umidità. Tutte le cose più essenziali nella vita scorrono: l’acqua dei fiumi e dei mari, il sangue nelle nostre vene, il movimento della danza della poesia.

Quale poeta ti fa ridere di più e perché?
Non trovo molto umorismo nei poeti, anche se suppongo che ci siano alcuni sprazzi di umorismo malinconico in Larkin, Carol Ann Duffy, Dickinson.

Ti piacerebbe tradurre poesie di autori italiani dall’italiano all’inglese?
Per anni avrei voluto provare a farlo, e ho concluso che era una cosa piuttosto impegnativa. Perché ho sempre voglia di approfondire e, per tradurre la poesia di un poeta italiano, mi sentirei obbligato a leggere tutte le sue poesie, tutti i suoi libri e anche le nuove poesie inedite – in breve, a conoscere la sua poetica. Ci vogliono molto tempo e dedizione, che dubito di essere in grado di dare. Ciò nonostante ho tradotto una sequenza di quattro poesie del giovane poeta italiano Matteo Galluzzo dal titolo “Il gioco di Adamo”, quattro brevi poesie che erano inedite, ma, mentre lavoravo alle traduzioni, da diverse settimane, sono state pubblicate in italiano dalla rivista cartacea “Atelier”, che conosco. Per fortuna Galluzzo ha un’ottima conoscenza della lingua inglese ed è stato d’aiuto con alcuni suggerimenti, e credo che le traduzioni in inglese alla fine ci soddisferanno entrambi.

Però hai tradotto in italiano una poesia di Fiona Sampson “La natura del gotico”…
Sì, questa è stata una sfida, perché quella poesia è molto fluida nell’originale inglese e non era facile renderla bene in italiano, ma credo di esserci riuscito. Sampson è tradotta in molte lingue, ma è ancora poco nota come poeta in Italia, dove molti la conoscono per la sua biografia di Mary Shelley,  tradotta e pubblicata in italiano qualche anno fa. Sono felice di aver dato il mio contributo per farla conosce agli amanti italiani della poesia: anche come poeta è assai abile e sensibile. E mi sono impegnato per tradurre anche alcune poesie di Tatev Chakhian, una giovane poeta armena che vive in Polonia; una sua poesia è intitolata proprio “Ode ai traduttori”, e mi è piaciuta particolarmente. Però devo dire che le ho tradotte dalle versioni inglesi dell’autrice.

Insomma, traduttori si nasce o si diventa?
Penso che tutti i grandi talenti debbano probabilmente la loro parte più essenziale al fatto di esserci nati. Il talento, di conseguenza, non può essere insegnato, ma la disciplina e la tecnica possono essere acquisite e perfezionate attraverso il duro lavoro! Tuttavia è sempre una lotta essere bravi, in ​​qualsiasi attività. Non puoi riposare sugli allori e devi essere costantemente vigile, devi avere le antenne accese!


*Un grazie di cuore a Heiko H. Caimi per la revisione della versione italiana dell’intervista.

[1] Inoltre si perderebbe il gioco di parole con “Melting Pot”, molto adeguato all’opera (ndDE).
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Emilia Mirazchiyska (1972) vive e lavora a Sofia, Bulgaria, dove è nata. È editore e direttore della piccola casa editrice Scalino, che include a catalogo anche due antologie in italiano da lei curate: “Maternità possibili” (insieme a Rayna Castoldi, 2011) e “Saluti a Dickens – 15 storie di Natale” (2012). Oltre ad aver insegnato per anni storia dell’arte al Liceo Italiano di Sofia, è traduttrice: a sua firma la versione tradotta del primo romanzo di Francesca Lancini “Senza tacchi” (Bompiani, 2011) e la prima parte del libro di poesie di Dome Bulfaro “Marcia film” (Scalino, 2016). Ha inoltre tradotto dal bulgaro all’italiano con diversi co-traduttori/poeti italiani i libri di alcuni importanti poeti bulgari: Vladimir Levchev (il cui libro antologico di poesie “Amore in piazza” è pubblicato in Italia da Terra d’ulivi edizioni, febbraio 2016, nella loro traduzione con Fabio Izzo); Beloslava Dimitrova (“La natura selvaggia”, pubblicato in Italia da Arcipelago itaca edizioni, febbraio 2017, nella loro traduzione con Danilo Mandolini); Aksinia Mihaylova (“Nel delta del mondo”, pubblicato in Italia da Edizioni Kolibris, maggio 2017, nella loro traduzione con Francesco Tomada).

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