Lo psicologo Philip Zimbardo esplora uno dei lati più oscuri della natura umana: come persone ordinarie possano trasformarsi, in determinate circostanze, in agenti del male. Zimbardo, famoso per l’esperimento carcerario di Stanford del 1971[1], mette a nudo le dinamiche di potere, autorità e conformismo che portano individui apparentemente normali a compiere atti terribili.
Il saggio si muove tra l’analisi di casi reali, come le torture di Abu Ghraib, e riflessioni profonde su cosa significhi essere “cattivi”. La tesi centrale è che il male non nasce da anomalie individuali, ma da un ambiente sociale tossico che piega le persone a ruoli e comportamenti distruttivi. Zimbardo ci invita a riflettere sull’importanza delle circostanze e dei contesti, senza sminuire la responsabilità individuale.
Un’opera inquietante ma fondamentale per comprendere il potenziale oscuro insito in ciascuno di noi.