L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

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L’ineleganza del vuoto

Una portinaia, acuta e sprezzante osservatrice della varia umanità che la circonda, dissimula la passione per i classici della letteratura e della musica con un atteggiamento dimesso, mentre stringe una bizzarra amicizia con una ragazzina dalle tendenze suicide e un altrettanto strambo signore giapponese, col quale potrebbe condividere ben più che l’interesse della musica sinfonica.

Romanzo furbo, scorrevole ma dalla narrazione fastidiosamente compiaciuta, che a una lettura attenta si rivela essere un Harmony truccato da romanzo filosofico, straripante di cliché e costruito in modo da suscitare superficiali solidarietà nei confronti di improbabili personaggi che, nel loro voler essere originali, sono più stereotipati che mai, finendo per risultare molto spesso insopportabili. Superficiale anche il modo con cui vengono introdotti e trattati certi argomenti, tra cui quello della cultura giapponese, ridotta a una manciata di citazioni per caratterizzare la ragazzina depressa, identificata con una lettrice di manga dai quali vorrebbe apprendere l’arte del seppuku.

Anche le altre pretese filosofiche del romanzo si traducono in qualche massima di saggezza da settimanale femminile, mirando a illudere il lettore di poter condividere il mondo interiore dei personaggi, mentre è la relazione tra i due adulti che lentamente finisce per occupare tuta la scena, in un crescendo di melensaggini alle quali pone un freno un finale altrettanto intuibile.

Niente più di una lettura da spiaggia, gradevole ma vuota: chi desidera impegno e tematiche importanti, cerchi altrove.

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