Un fanciullo, abbandonato in tenera età, una volta cresciuto uccide il padre e possiede – inconsapevolmente, senza conoscerne l’identità – la propria madre.
Siamo a Tebe? Stiamo parlando di Edipo, Laio e Giocasta? Non proprio. In realtà, all’interno del graphic novel La vita bastarda di Gianni Allegra ci troviamo in un’immaginifica Sicilia senza legge, dominata dalla mafia e dalla violenza, terra senza speranza nella quale non sembrano esserci altro che corruzione, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, totale degrado; e l’Edipo di Allegra è il giovane Totuccio, personaggio bipolare alla ricerca di un equilibrio a metà strada tra due antipodi: da una parte il garbato adolescente innamorato dei suoi tre cani e sensibile al potere salvifico della poesia, dall’altro Minkiaman, il supereroe spietato e senza scrupoli capace di rispondere alla violenza dei “cattivi” con una violenza ancor maggiore.
Brutalità, sesso nel senso sporco del termine, abusi e orrori per tutto il racconto. E allora… che bisogno c’era di un rassicurante lieto fine?