Un medico legale rimane ossessionato da un cadavere anonimo che arriva nell’obitorio dove lavora. Decide di condurre una sua indagine personale per stabilirne l’identità, seguendo le tracce di una vita apparentemente estranea, appartenente a una persona misteriosa e sconosciuta. Il suo viaggio lo porta a incontrare vari personaggi, tra cui un vecchio amico giornalista, una donna che dice di essere la sorella del morto, e un poeta portoghese che lo guida verso la verità. Ma scoprirà che il defunto aveva una doppia esistenza, tra la realtà e l’immaginazione. Esattamente, verrebbe da pensare, come Antonio Tabucchi e il suo protagonista, che si lascia trascinare in una vicenda sospesa tra realismo e fantastico.
Progetto molto ambizioso, Il filo dell’orizzonte è un romanzo pretenzioso, che promette molto e mantiene fino a un certo punto, come quasi tutti i libri dell’autore pisano. La trama si basa su un mistero che dovrebbe coinvolgerci, ma che invece si rivela vaporoso e inconcludente. Lo stile dell’autore è artificioso, zeppo (ma dovrei dire zuppo) di citazioni e riferimenti culturali che nulla aggiungono alla storia, se non quella patina di snobismo che tanto piace ai radical chic. Il finale è deludente e sbrigativo, quasi Tabucchi fosse ansioso di concludere per passare ad altro – del resto fu autore molto prolifico, troppo rispetto alle sue reali capacità.
L’ennesima occasione sprecata che parte da premesse feconde finendo invece per dimostrare che non sempre dove c’è fumo c’è arrosto. Deludente.