Ostia

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Pier Paolo Pasolini, vero e proprio Maestro per un autore con cui ha collaborato per i dialoghi dei romanzi e come consulente dei primi film, è la grande ombra protettrice del sorprendente debutto alla regia di Sergio Citti.

Il regista friulano scrive e sceneggia (insieme a Citti) una storia dolente e drammatica, inserendo elementi da fiaba nera, da racconto metaforico struggente, impregnato sia di realismo che di poesia. La location è Ostia – luogo dal quale Citti non si è mai separato -, sul finire degli anni Sessanta, in una realtà ancora dominata da borgate e ladruncoli, senzatetto e precari, analfabetismo e ignoranza.

Rabbino (Citti) e Bandiera (Terzieff) sono due fratelli che vivono inconsapevolmente la loro omosessualità e un legame che li vede uniti sin dall’infanzia.  L’incontro con Monica (Sanders), una donna trovata per caso, distesa da sembrare morta in un campo di papaveri e margherite, cambia la loro esistenza, sconvolgendola alle radici. I due fratelli conducono Monica nella loro povera casa, ma sono gli amici Fiorino (Davoli), Baffo (Picone) e Aria (Del Prete) a farci l’amore, mentre loro restano in cucina a ubriacarsi di pessimo vino. A questo punto comincia una strana convivenza tra Monica, Rabbino e Bandiera, che trattano la donna come una sorella minore, raccontandosi (in flashback fiabeschi) le vicende del passato. Monica narra la triste violenza carnale subita da parte del padre (Maggiorani), primo uomo della sua vita, dopo aver rischiato di essere stuprata da un soldato di passaggio. A loro volta, Bandiera e Rabbino narrano di un padre anarchico e ubriacone, di una madre cattolica (finita in manicomio), di una pecora che amavano divorata da famelici parenti e del giorno in cui uccisero il padre spingendolo dalla finestra. Il film procede con la gita a Ostia, sul mare, il bagno nuda della ragazza, il fuoco per scaldarla, una solidarietà tra compagni di sventura che giorno dopo giorno diventa sempre più insolita e salda. Si cambia del tutto ambiente, vediamo i due fratelli scontare un periodo di galera per aver commesso un non ben precisato reato. Nella cella solitaria rivivono ricordi e prime esperienze, confessano peccati al cappellano, infine ricevono la visita di Monica che pare voler diventare la donna di Bandiera. Cominciano i primi dissidi tra fratelli, e quando escono di prigione tutto sfocia nel cupo dramma, per la gelosia di Rabbino nei confronti di Bandiera, dopo una nuova gita al mare che finisce nel terribile fratricidio annunciato.

Ostia è un film pasoliniano, figlio della sua scrittura e della sua concezione della vita, che Citti sposa completamente per riprodurre uno spaccato esistenziale della Roma anni Sessanta, tra povertà, borgate e desolazione. La fotografia intensa di Mario Mancini immortala la borgata che si risveglia, stupendi paesaggi marini tra degrado e bellezza, campagna bruciata dal sole, povere case cadenti e interni in abbandono. Il montaggio compassato di Nino Baragli e Carlo Reali contribuiscr a conferire un tono languido al film, sceneggiato come una fiaba nera, mai del tutto realistica, ma intrisa dei tipici contenuti metaforici e poetici che Pasolini inserisce nelle sue opere. La colonna sonora è ancora una volta pasoliniana, perché passa senza soluzione di continuità dagli stornelli romaneschi ai canti gregoriani, con accenni di musica popolare e canti anarchici che sottolineano – per contrasto – lo svolgersi degli eventi.

Attori scelti con cura, da Franco Citti – esperto di simili ruoli dopo Accattone, Una vita violenta, Mamma Roma… – al teatrale Laurent Terzieff, per finire con un’intensa Anita Sanders, fotomodella svedese che recita in una manciata di pellicole (dal 1964 al 1975) per poi (purtroppo) lasciare il cinema. Ricordiamo la Sanders in alcuni film di autori come Tinto Brass (Nerosubianco), Pasolini (I racconti di Cantherbury), Paolo Spinola (La fuga, La donna invisibile), Pupi Avati (Thomas), per finire con Silvio Amodio (Quell’età maliziosa). Aiuto regista di Citti per Casotto, una delle sue ultime presenze nel mondo del cinema, qui non ha bisogno di molte parole per dare anima e cuore a un personaggio di donna diabolica che distrugge un rapporto idilliaco tra fratelli. Franco Citti è ormai attore maturo, non è più il debuttante geniale di Accattone, la scuola di Pasolini l’ha formato: dopo Una vita violenta, Mamma Roma, Edipo Re, Porcile e altre pellicole di spessore dove interpreta sempre il ruolo del piccolo malfattore, a lui molto congeniale. Laurent Terzieff (doppiato da Sergio Citti) è un attore francese che non lavora molto in Italia ma che risulta perfetto per il ruolo di malandrino romanesco, sia per la fisicità lunga e allampanata che per l’espressività mimica. Tra le curiosità ricordiamo Leonardo Maggiorani, protagonista di Ladri di biciclette, interprete del ruolo più negativo del film, quel padre violentatore che nei passaggi televisivi scompare nella scena infame (tra l’altro stemperata in campo lungo), rendendo quel segmento di pellicola poco comprensibile.

Sceneggiatura e dialoghi sono molto curati, con alcune sequenze teatrali indimenticabili come quando Franco Citti si guarda allo specchio e si interroga sul senso della propria esistenza; ma non è da meno il valzer dei fratelli accompagnato dalla ragazza che suona la fisarmonica. Espressioni romanesche veraci come “È meglio puzza’ di vino che d’acqua santa!”, “Gesù Nazareno, primo martire del Paradiso!”, “Il peccato lo fa chi fa ruba’, no chi ruba!”,  rendono realistico un film che a tratti raggiunge vette liriche difficilmente eguagliabili. I dialoghi tra fratelli sono di poche parole, rapidi ed essenziali, spesso veri e propri monologhi: “Mi piacerebbe torna’ ragazzini … le more che ci siamo magnati!”, mormora Citti disteso sulla branda della prigione.

La forza del film sta nelle immagini evocative, tra la campagna bruciata dal sole che lascia il posto a un lungomare che si apre tra condomini popolari, e dissolvenze studiate, compassate panoramiche su bellezza e degrado. Non sono da meno i dialoghi brevi, secchi e realistici, vera e propria connotazione di stile, che Citti rende in maniera perfetta da un punto di vista cinematografico.

l finale è cinema puro, dopo l’eccidio e la scomparsa della donna – come dissolta dopo aver eseguito il suo compito -, vediamo Rabbino vegliare il corpo del fratello mentre un’umanità distratta frequenta la spiaggia popolare; infine, con il favore delle tenebre, Rabbino prende la via del mare, abbandona il corpo massacrato al largo, e quando rientra vediamo Ostia destarsi davanti ai suoi occhi. Stile di regia maturo, al punto da chiedersi quanto abbia contribuito la collaborazione di Pasolini alla buona riuscita del prodotto, comunque molto personale, caratterizzato da flashback – racconto e da sequenze rapide, secche, incisive, senza lasciarsi prendere la mano dal melodramma.

Ostia è un coacervo di temi pasoliniani come l’amore gay (sofferto, inconscio), l’indifferenza borghese, l’incomunicabilità, il rapporto con un padre padrone (forse ricordo della difficile vita con il padre), le relazioni incestuose, l’amore carnale, il carcere, la borgata, i ragazzi di vita… Tutto trattato con poesia e leggerezza, con toni da commedia popolare e fiaba fantastica che lasciano il posto a brevi quanto intense parti drammatiche.

Ostia è cinema nichilista e senza speranza, una tragedia greca in tempi moderni, vera e vissuta, poetica del sottoproletariato urbano e di un mondo che ha sempre rappresentato la vita quotidiana del regista e del suo Maestro.


Regia: Sergio Citti. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti. Fotografia: Mario Mancini. Montaggio: Nino Baragli, Carlo Reali. Aiuto Regia: Claudio Duccini. Assistente Regia: Furio Cinelli Pancani. Segretaria di Edizione: Laura Curreli. Operatori alla Macchina: Remo Grisanti, Fernando Gallandt. Assistente Operatore: Gianlorenzo Battaglia. Ispettore di Produzione: Ferruccio Mosca. Trucco: Gloria Granati. Parrucchiera. Antonia Martinelli. Sarta: Augusta Morelli. Fonico: Angelo Spadoni. Fotografo di Scena: Divo Cavicchioli. Scenografo: Claudio Giambianco. Architetto/Costumista: Mario Ambrosino. Musica: Francesco De Masi. Edizioni Musicali: Nazionalmusic (Milano). Direttore dci Produzione: Salvatore Gerbino. Supervisione Tecnica e Artistica: Pier Paolo Pasolini. Teatri di Posa: Elios Film. Pellicola: Kodak.  Girato: Eastmancolor, Technicolor, Techniscope. Presentato da Pier Paolo Pasolini. Distribuzione: A. Mancori, A. M. Chretien. Interpreti: Franco Citti (Rabbino), Laurent Terzieff (Bandiera), Anita Sanders (Monica), Ninetto Davoli (Fiorino), Lamberto Maggiorani (padre di Monica), Celestino Compagnoni (padre di Bandiera e Rabbino), Luisa Tirinnanzi (madre di Bandiera e Rabbino), Settimio Picone (Baffo), Alberto Del Prete (Aria), Giulio Simonetti (soldato), Fernando Piergentili, Sandro Giordani, Gianni Pulone, Gualtiero Fiorentino, Alberto Chiapparelli, Giovanni Contino, Filippo Costanzo (Rabbino bambino) e Marizio Bianconi (Bandiera bambino). Anno: 1970.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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